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Sulle distanze legali esistono diverse nozioni di costruzione ai fini civilistici e amministrativi

Utilissima la sentenza di Cassazione Civile n. 12712/2024, riguardante la definizione e l’ambito applicativo di costruzione ai fini delle distanze legali. Si torna nuovamente sull’argomento perchè la chiarezza di questa sentenza è utile per comprendere come e quando applicare le distanze tra costruzioni, distanza dai confini e similari sui vari manufatti edilizi.

Per prima cosa occorre distinguere tra le nozioni di costruzione ed edificio: quest’ultimo rappresenta una particolare sottocategoria di costruzione, senza coincidere con essa. Il fatto è che invece qualcuno potrebbe scambiare le due definizioni, pertanto facciamo un esempio:

  • edificio: particolare tipologia di costruzione, costituita dai vari elementi;
  • muro di cinta o muro di terrapieno: non è un edificio, bensì costruzione;

A livello normativo il dubbio sparisce citando la definizione contenuta nel Regolamento Edilizio Tipo nazionale alla voce n. 32 dell’Allegato A:

Edificio: Costruzione stabile, dotata di copertura e comunque appoggiata o infissa al suolo, isolata da strade o da aree libere, oppure separata da altre costruzioni mediante strutture verticali che si elevano senza soluzione di continuità dalle fondamenta al tetto, funzionalmente indipendente, accessibile alle persone e destinata alla soddisfazione di esigenze perduranti nel tempo.

Tale definizione è preceduta da quella sulle distanze in genere (voce n. 30), che sembra avere un focus diverso da quello civilistico analizzato in seguito:

Lunghezza del segmento minimo che congiunge l’edificio con il confine di riferimento (di proprietà, stradale, tra edifici o costruzioni, tra i fronti, di zona o di ambito urbanistico, ecc.), in modo che ogni punto della sua sagoma rispetti la distanza prescritta.

La costruzione ai fini delle distanze legali

Se da una parte il Regolamento Edilizio Tipo nazionale sembra aver focalizzato maggiormente l’edificio in materia di distanza (senza tuttavia escludere il riferimento alle costruzioni), in ambito civilistico è prevista una definizione autonoma. Per comprendere meglio, occorre riportare un passaggio contenuto nella predetta sentenza n. 12712/2024:

In tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell’art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore” (vedi anche Cass. Civ. n. 23843/2018, n. 144/2016, n. 19530/2005).

Si evince chiaramente che i regolamenti edilizi comunali non possono modificare la definizione di costruzione ai fini delle distanze legali, perchè non è consentito farlo; possono eventualmente stabilire in via restrittiva distanze maggiori rispetto a quelle ordinarie e nazionali.

In senso conforme sulla definizione di costruzione, si è espresso anche il Consiglio di Stato, specificando che, in ambito edilizio, la nozione di costruzionesi identifica d’altra parte con qualsiasi trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, intesa come modifica dello stato dei luoghi caratterizzata da stabilità, a prescindere dai materiali usati, quando si tratti di soddisfare esigenze oggettivamente non precarie del soggetto che tale trasformazione ponga in essere (Cons. di Stato n. 586/2021, n. 5393/2017, n. 419/2003). E’ sottinteso che quest’ultimo orientamento debba essere coordinato e sovrapposto anche con la sopravvenuta definizione di “Distanze” nel Regolamento Edilizio Tipo.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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