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condono edilizio frontespizio

Inammissibile ridurre la volumetria demolendo porzioni di edificio per rientrare nei limiti di volume imposti dai condoni

Anche la legge n. 105/2024 “Salva Casa” non ha inciso a posteriori sulle norme di sanatoria edilizia straordinaria, meglio note come “condono edilizio”: tale legge è riuscita a inserire nel DPR 380/01, all’articolo 36-bis c.2, una ridotta possibilità di sanatoria edilizia ordinaria condizionata all’esecuzione di opere postume all’istanza, sia per adeguamento che per rimozione di parti illecite.

Al di fuori di questa disposizione l‘ordinamento non ammette possibilità di effettuare opere di aggiustamento per le sanatorie edilizie ordinarie e di condono edilizio. Conseguentemente non sono previste opere finalizzate a riportare la configurazione effettiva dell’immobile nell’alveo dei requisiti imposti dalle leggi n. 47/85, 724/94 e 326/03, effettuate posteriormente alla presentazione della domanda. Volendo richiamare un esempio, il più noto è la riduzione della volumetria esuberante i limiti imposti dai cosiddetti Secondo e Terzo Condono (L. 724/94 e 326/03), ovvero i classici 750 metri cubi. Sul principio è tornata ad esprimersi in senso confermativo la sentenza di Cassazione Penale n. 1234/2025, sulla fattispecie di domanda presentata ai sensi del terzo condono D.L. 269/03 (convertito in L. 326/03). La sentenza ha anche ripreso come fondamento i medesimi principi valevoli anche per il secondo condono L. 724/94, che si riportano integralmente:

«Secondo un principio costantemente affermato in giurisprudenza, la volumetria eccedente i limiti previsti dall’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge» (vedi anche Cass. Pen. n. 43933/2021, n. 4222/2023, n. 28533/2024).

Viene esclusa la possibilità di fare interventi riduttivi volumetrici, in quanto si configurano come opere postume all’istanza: durante la pendenza di condono non sono ammesse opere ulteriori, e su questo aspetto si rammenta che si sono formati orientamenti giurisprudenziali poco diversi:

Sempre nella predetta sentenza, è stato richiamato il principio generale che vieta lo svolgimento di opere postume allo scopo di ricondurre l’opera illecita nel perimetro di ingresso al condono, facendo riferimento alla norma della L. 724/94, la prima che ha istituito un limite volumetrico di 750 metri cubi alle istanze:

«il chiarissimo tenore della disposizione citata [l’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724] consente la sanatoria delle sole opere ultimate che possedessero, alla data indicata del 31 dicembre 1993, i requisiti da essa previsti, non essendo ovviamente consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi per renderli conformi alla disciplina in parola. Le uniche possibilità di successivo intervento sugli stessi, non incompatibili con la sanatoria, sono quelle previste dall’art. 35, comma 14, l. 47 del 1985 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive) e dall’art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (per analoghi rilievi cfr., nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St., sent. n. 665 del 01/02/2018). Ammettere lavori – sia pur di demolizione – che modifichino il manufatto abusivo, alterandone significativamente la struttura e riducendone la volumetria, al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente in allora non lo sarebbe stato costituisce indebito aggiramento della disciplina legale poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi» (così Sez. 3, n. 43933 del 2022, cit.).

La suddetta sentenza ha esteso lo stesso principio stabilito per la L. 724/94 alle istanze presentate ai sensi del terzo condono L. 326/03, contenente l’ulteriore limite volumetrico globale di 3.000 metri cubi, oltre a quello di 750 mc:

«5.2. Il principio appena indicato ha trovato e, ad avviso del Collegio, deve trovare applicazione anche con riguardo alla disciplina della condonabilità delle opere abusive di cui al d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, invocata in questa sede (cfr., in questo senso, Sez. 3, n. 31783 del 07/06/2022, Barone, non massimata).
Invero, l’art. 32 d.l. cit., al comma 25, richiama espressamente la disciplina di cui all’art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e quindi ne mutua la regolamentazione e le condizioni di ammissibilità, salvo le specificazioni da esso espressamente previste, e che attengono al computo della cubatura massima condonabile, oltre che, ovviamente, al termine entro il quale debbono essere stati ultimati i lavori abusivi. L’art. 32 d.l. cit., infatti, prevede: «Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 mc per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi».
Inoltre, anche in relazione alla disciplina di cui al d.l. n. 269 del 2003 si pone l’esigenza di evitare lavori, sia pur di demolizione, che modifichino il manufatto abusivo al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente in quel momento non lo sarebbe stato: anche con riferimento a tale disciplina, infatti, l’ammissibilità di modifiche successive del manufatto abusivo comporterebbe uno spostamento in avanti nel tempo, e senza limiti, del termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, e, perciò, un “indebito aggiramento” della stessa.»
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Motivo per cui non sono ammissibili opere postume di adattamento dello stato dei luoghi ai requisiti imposti dalla legge sul condono.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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