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edifici degradati

Manufatti compiuti al rustico o degradati risultano in contrasto col paesaggio tutelato, dovendo riguardare opere già completate

Già è abbastanza dura ottenere pareri favorevoli, nulla osta o valutazioni positive di compatibilità paesaggistica.

Ma quando si tratta di manufatti non completati e oggetto di condono edilizio, il gioco diventa difficile per non dire impossibile.

Al netto di tutte quelle condizioni e normative di condono edilizio che escludono a priori la condonabilità di opere e manufatti in presenza di vari vincoli, parliamo delle costruzioni non completate e situate in zone sottoposte a vincolo e tutela del D.Lgs. 42/2004, il famoso “Codice”.

Tempo fa avevo già parlato di un caso simile trattato nella sentenza del Consiglio di Stato n. 2478/2015, qui affronto un caso analogo trattato ai giorni nostri sempre dal CdS con sentenza n. 8333/2020.


La fattispecie: manufatto precario e situazione di degrado in zona vincolo paesaggistico

Da quanto si evince la costruzione oggetto di domanda di condono presentata nel 1986 riguardava un edificio avente natura precaria, e ciò ha comportato pure il deterioramento in pochi anni, anche in relazione ai materiali utilizzati (copertura in lastre prefabbricate e muri in blocchi di cemento prefabbricati). Risulta che si trattasse di una baracca di cantiere usata come alloggio provvisorio per il custode relativa ad un centro residenziale.

Tuttavia dopo anni l’istruttoria per il suo rilascio ottiene il parere sfavorevole di cui all’art. 32 legge 47/1985, in quanto il “manufatto si presenta in struttura precaria e fatiscente, inidonea ad essere resa agibile se non con interventi radicali, oltre a non essere compatibile, allo stato attuale, con i valori ambientali dell’ambito di appartenenza”.

Nonostante la difesa abbia sollevato la completezza della documentazione e l’intervenuto silenzio assenso sulla istanza, sia il TAR che il Consiglio di Stato confermano la legittimità del diniego alla domanda di condono conseguente al parere sfavorevole.

Tra le motivazioni che convalidano il diniego e parere sfavorevole nella predetta sentenza del Consiglio di Stato, ritengo siano da evidenziare:

  • principio tempus regit actum: l’obbligo di pronuncia da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza del vincolo al momento in cui deve essere valutata la domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo, in quanto tale valutazione corrisponde alla esigenza di vagliare l’attuale compatibilità, con il vincolo, dei manufatti realizzati abusivamente (cfr. anche Cons. Stato n. 2372/2020, n. 1338/2014).
  • Il parere reso (in senso negativo) ai sensi dell’art. 32 L. 47/1985, come le autorizzazioni paesaggistiche, costituisce espressione di un potere di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in relazione ai profili di manifesta irragionevolezza, irrazionalità, contraddittorietà, errore di fatto (Cons. Stato n. 1102/2019);
  • il riferimento all’aspetto fatiscente del manufatto comportante opere rilevanti di ristrutturazione edilizia già comportava un giudizio negativo in ordine alla compatibilità del manufatto con il paesaggio tutelato, né un tale giudizio avrebbe potuto essere espresso in relazione ad un futuro stato del manufatto, dovendo il condono riguardare opere già completate.
  • Esclusa disciplina di completamento postumo di manufatti al rustico ex art. 35 L. 47/85, ammissibile per immobili completi di copertura e tamponature, quindi sostanzialmente da rifinire con le intonacature, le pavimentazioni, gli infissi e le tramezzature interne (Cons. Stato n. 2160/2020; n. 1834/2020; n. 588/2020, n. 7282/2019).

Conclusioni

Per edifici situati in zone sottoposte a vincolo paesaggistico (ma anche similari, vedi enti parco), la conclusione positiva del condono edilizio non è proprio semplice.

A maggior ragione se si presentano in condizioni di fatiscenza, abbandono o non completate: infatti sono tutte caratteristiche che alimentano la motivazione negativa e il parere contrario da richiedere alle competenti Soprintendenze o enti vari.

Infatti neanche il primo Condono Edilizio della L. 47/85 rappresenta una garanzia per ottenerne il suo rilascio; in altre parole non va inteso come una sanatoria “tout court” e a prescindere di tutto, perchè ci possono essere diverse casistiche dove si può rendere necessaria una valutazione discrezionale.

E il ragionamento si estende anche nei casi di sopravvenienza o istituzione di nuovi vincoli sugli immobili, anche a decenni di distanza dalla presentazione.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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