Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
La scelta dei locali non prescinde dalla corretta destinazione d’uso, discorso a parte per associazione promozione sociale
La questione è sicuramente emersa ogni volta in cui una moschea apre i battenti in un territorio
Aggiornamento: la norma è stata abrogata e assorbita nel D.Lgs. n. 117/2017 con decorrenza dal 6 dicembre 2017, per cui quanto segue è da riferirsi non più vigente.
In seguito la deregulation speciale riservata alle A.P.S. è stata perfino ampliata col Codice del Terzo Settore D.Lgs. 117/2017, inserendo una norma analoga con l’articolo 71 vigente dal 3 agosto 2017 e abrogando l’intera previgente L. 383/2000:
«1. Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.».
1. sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore.
Detto questo, torniamo alla previgente versione dell’abrogata L. 383/2000.
In pochi sapranno che alle associazioni di promozione sociale non sono posti vincoli o limitazioni stringenti nella scelta della destinazione d’uso dei locali in cui svolgere l’attività.
Intanto partiamo dalla definizione e inquadramento dell’attività di associazione di promozione sociale secondo la L. 383/2000, una norma dedicata a questo tipo di attività:
“Sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati”.
Ai fini della localizzazione di queste attività è previsto e riservato un particolare regime, spesso oggetto di contestazioni nelle sede giudiziarie amministrative, e questo regime consente una maggiore libertà di ubicazione e avviamento per questo tipo di associazione, come previsto dall’art. 32 comma 4 della stessa legge:
4. La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d’uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.
Sul tema della destinazione d’uso e mutamenti consigliamo questi articoli.
All’associazione promozione sociale è conferita maggiore libertà di collocazione
La natura di associazione di promozione sociale consentirebbe di localizzare la propria sede e i locali ove si svolgono le sue attività in qualsiasi zona del territorio comunale, indipendentemente dalla destinazione impressa dallo strumento urbanistico, aggirando gli eventuali piani delle funzioni o strumenti urbanistici comunali.
Il valore della promozione culturale e sociale è costituzionalmente garantito, e in via del tutto inconsueta, sembra superare quello del Governo del territorio, inteso come insieme di politiche volte a governare l’assetto e lo sviluppo ordinato di esso.
Altro aspetto riguarda il rapporto con le destinazioni d’uso funzionali o urbanisticamente rilevanti, già individuate dalla giurisprudenza di merito e normate da pochi anni dal TUE art. 23/ter.
Si crea quindi un regime di “mutamento libero” di destinazione d’uso a favore di questi enti?
A mio avviso no. Vediamo perchè.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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