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L’attuale normativa riserva un trattamento diversificato per gli abusi compiuti nelle zone omogenee A

Com’è noto i centri storici vengono tutelati con maggiore intensità rispetto alle altre zone omogenee del DM 1444/68. 

Lo stesso D.M. 1444/1968 prevede che per tali zone i limiti di densità edilizia e di altezza siano più restrittivi rispetto alle altre, e si preoccupa di salvaguardarne l’assetto vigente; esso non consente di modificare le distanze fra gli edifici esistenti, consente invece di non localizzarvi gli standard urbanistici minimi “per ragioni di rispetto ambientale e di salvaguardia delle caratteristiche, della conformazione e delle funzioni della zona stessa”.

Proprio per l’oggettiva peculiarità, stratificazione e storicizzazione consolidata di questa zona, il legislatore ha inteso porre una maggiore tutela, in termini restrittivi, sia sul cambio della destinazione d’uso (leggi l’approfondimento) sia sulle procedure di sanatoria edilizia per agli abusi comminati in queste zone.

La maggiore restrizione si applica sugli interventi abusivi compiuti sugli immobili situati in zone omogenee A diversi da quelli di assenza o totale difformità dal permesso di costruire o con variazioni essenziali, e non soggetti ai vincoli del Codice dei Beni culturali D.Lgs. 42/2004.

Focalizziamo meglio, prendendo in esame due tipologie di abuso edilizio “meno gravi” rispetto a quelle previste dagli artt. 31 e 32 del TUE:

  • Art. 33 c.4 TUE, ristrutturazione edilizia “pesante” abusiva di cui all’art. 10 c.1 TUE:   
    Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede all’amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente; 
  • Art. 37 c.3 TUE, interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA di cui all’art. 22 TUE:
    Qualora gli interventi di cui al comma 2 sono eseguiti su immobili, anche non vincolati, compresi nelle zone indicate nella lettera A dell’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, il dirigente o il responsabile dell’ufficio richiede al Ministero per i beni e le attività culturali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al comma 1. Se il parere non viene reso entro sessanta giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile dell’ufficio provvede autonomamente. In tali casi non trova applicazione la sanzione pecuniaria da 516 a 10329 euro di cui al comma 2.

Il legislatore ha inteso conferire maggiore tutela alla preservazione e trasformazione illecita nei centri storici.

In tal senso ha deciso di porre una precisa condizione vincolante, leggermente diversificata nelle due suddette ipotesi di illecito edilizio:

  • Ristrutturazione pesante abusiva: ottenere parere vincolante dalla PA competente nella tutela dei beni culturali (e quindi Soprintendenza), col quale sarà valutata e prescritta la rimessa in pristino o di sanzione pecuniaria alternativa; se il parere non sopraggiunge in novanta giorni il dirigente comunale provvede autonomamente; 
  • Abusi in assenza o difformità da SCIA: ottenere parere vincolante dal Mibact (qui è espressamente indicato) con cui sarà prescritta rimessa in pristino o sanzione pecuniaria alternativa; in questo caso il termine per rendere il parere è ridotto a sessanta giorni, oltre il quale il dirigente comunale opera autonomamente.

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Negli immobili, anche non vincolati dal Codice dei beni culturali, situati nelle zone omogenee A e oggetto di ristrutturazioni non consentite, il legislatore ha ritenuto che in ordine alla sanzione dev’essere prioritariamente ponderata la scelta tra quella della restituzione in pristino e quella pecuniaria (Cons. di Stato VI n. 890/2017, n. 1084/2014).

Ciò rilevato, non vi è motivo per affermare che la ratio ispirante la norma venga a cadere per il solo fatto che quanto alla sanzione decide il competente ufficio comunale, senza il parere della Soprintendenza, per l’inutile decorso del relativo termine, significando la norma che in questa ipotesi l’Ufficio è legittimato a provvedere in mancanza del parere, e quindi “autonomamente”, ma non che ciò escluda la valutazione della scelta in questione la quale, in caso contrario, risulterebbe necessaria e vincolante soltanto ove intervenga la Soprintendenza e, immotivatamente, non necessaria quando l’Ufficio competente provveda senza il relativo parere, nonostante si tratti dei medesimi immobili (Cons. di Stato VI n. 890/2017, n. 1084/2014).

Considerato dunque che la restituzione in pristino, sanzione non a caso elencata per prima nell’art. 33, comma 4, cit. testo unico, costituisce lo strumento normale per “riportare lo stato di fatto al paradigma legittimamente delineato per lo sviluppo edilizio del territorio” (Cons. Stato, sez. VI, sent. 27 marzo 2012 n. 1793), nella specie si deve ritenere, secondo la ratio propria della norma, che nel provvedimento sanzionatorio debba risultare comunque valutata l’ipotesi del ricorso alla sanzione pecuniaria, in assenza del relativo parere dell’organo preposto alla tutela dei beni culturali e ambientali (Cons. di Stato VI n. 890/2017, n. 1084/2014).

La valutazione del parere vincolante è di natura discrezionale, anche se deve essere adeguatamente motivata

La discrezionalità di valutazione relativa ad aspetti prettamente estetici può deviare molto da un principio di oggettiva analisi, proprio perchè fuoriesce da canoni di formalità e deputata interamente su canone sostanziale, seppur di parte.

La valutazione discrezionale in tal senso può “sporcarsi” eccessivamente del senso personale, soggettivo ed emozionale degli occhi di chi guarda l’oggetto di richiesta.

In questi casi il problema si sposta sul piano dell’adeguatezza o meno delle motivazioni espresse in caso di parere negativo nei confronti di questi due tipi di abuso edilizio.

Le ristrutturazioni e opere edilizie “minori” abusive compiute in centro storico possono trovare uno sgambetto inaspettato.

Se da una parte le ristrutturazioni edilizie “pesanti” compiute nelle zone omogenee A meritano trattazione più attenta perchè possono comportare modifiche di sagoma e di volume, il discorso diventa più critico se consideriamo il range di opere edilizie “minori” soggette al regime più mite della SCIA ordinaria (esclusa quindi la Super-Scia alternativa al PdC).

Per esempio, nel momento in cui scrivo, una ristrutturazione edilizia “leggera” abusiva soggiace ugualmente al parere vincolante del Mibact.

Parimenti anche la modifica di prospetto implicante opere strutturali; certo, le modifiche di prospetto in centro storico meritano maggiore attenzione e tutela per la peculiarità del contesto, ancorché non vincolato.

Certo anche che la discrezionalità nelle procedure valutative può riservare sorprese di vario genere, posto che esprimersi in maniera “il più oggettivo” possibile nelle secche del decoro, dell’estetica, dell’armonia architettonica e inserimento nel contesto, è un bel daffare, da entrambe le parti.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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