Cassazione chiarisce disciplina mutamento destinazione per appartamenti uso ricettivo turistico
Le ultime modifiche al TUE non semplificano i cambi d’uso in zone omogenee A
Negli ultimi giorni su molti portali capeggia il presunto cambio d’uso semplificato in centro storico
Non so se la recente modifica della definizione di Restauro e Risanamento conservativo sia stata fatta dal Parlamento per salvare le chiappe a qualcuno a Firenze.
Se anche fosse, occorre far presente a coloro che battono notizie in fretta e furia per una manciata di Like, che le cose stanno assai diversamente.
Il caso “Tornabuoni” di Firenze insegna, ma c’è anche nutrita giurisprudenza sul versante amministrativo proprio in merito ai confini applicativi della Ristrutturazione edilizia (consiglio approfondimento).
Premessa: lo scorso 23 giugno è entrata in vigore una modifica al Testo Unico per l’edilizia DPR 380/01, apportata con la c.d. Manovrina 2017.
La modifica riguardava la sola definizione di Restauro e Risanamento conservativo di cui all’art. 3 comma 1 lettera C del TUE, e nient’altro; la modifica consente a questa categoria di intervento anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché:
- compatibili con gli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo edilizio;
- conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi.
Questa variazione non implica in automatico la sua applicazione anche, e soprattutto, agli immobili situati nei centri storici (o meglio, nelle cosiddette Zone Omogenee A di cui al DM 1444/68).
Nei centri storici il cambio di destinazione d’uso rientra in ristrutturazione edilizia “pesante” soggetta a Permesso di Costruire
Nel TUE all’articolo 10 comma 1 lettera C è individuata la categoria di ristrutturazione edilizia rilevante, detta anche “ricostruttiva”; in essa si legge una versione aggiuntiva a quella già indicata nell’articolo 3 comma 1 lettera D del TUE.
Abbiamo già detto più volte che questa tipologia di ristrutturazione edilizia “pesante” è un sottoinsieme della più ampia categoria di ristrutturazione edilizia, per la quale sono state appunto delineati i limiti applicativi.
La definizione di ristrutturazione edilizia “pesante”, nonchè soggetta al Permesso di Costruire, contempla varie condizioni disgiunte, analizziamo prima la sua descrizione (art. 10 c.1 lett C):
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonchè gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
Il periodo “ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso” è sufficiente da solo a rendere necessario il Permesso di Costruire e, contestualmente, ad inquadrarlo come ristrutturazione edilizia pesante.
Le altre condizioni di modifica volumetrica complessiva o dei prospetti possono essere considerate congiunte e disgiunte all’ipotesi di cambio d’uso.
Gli interventi edilizi nei centri storici hanno un diverso trattamento di tutela rispetto alle altre zone
In questa direzione anche la Cassazione si è espressa in maniera esplicita, dichiarando illegittimo il cambio di destinazione d’uso effettuato in centro storico mediante restauro e risanamento conservativo, tra l’altro depositando semplice Denuncia di inizio attività (Cass. Pen. III n. 6873/2017).
In particolare in questa sentenza la Cassazione scrive testualmente:
Resta, in ogni caso, il fatto che gli interventi di restauro e risanamento conservativo richiedono sempre il permesso di costruire quando riguardano immobili ricadenti in zona omogenea A dei quali venga mutata la destinazione d’uso anche all’interno della medesima categoria funzionale.
Addirittura si esprime nella maniera più categorica possibile, ovvero che ciò vale anche per cambi di destinazione d’uso compiuti all’interno della stessa categoria funzionale, quindi ciò esula l’art. 23/ter del TUE in materia di categorie urbanisticamente rilevanti.
Il fatto che l’art. 10 c.2 del TUE preveda che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a SCIA (una volta era DIA)”, non ha rilevanza sul precedente comma.
Come appare evidente, la norma collega il pagamento del contributo di costruzione al rilascio del permesso di costruire; in altre parole, è per quelle opere per la cui realizzazione la legge prevede tale titolo autorizzatorio che il contributo di costruzione è dovuto.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità di permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” e, in primo luogo, qualifica tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico – edilizio, o anche su uno solo dei due (Cons. di Stato IV n. 2567/2017).
Quindi, in via residuale, alle regioni è sì consentito legiferare sui mutamenti d’uso, tranne in quelli operanti nelle zone omogenee A.
Ciò vale quindi non solo centri storici, ma anche le zone assimilabili ad esse, ad esempio nuclei storici in territorio agricolo.
Tra l’altro vale come norma di principio su cui il regime di legislazione concorrente in materia di governo del territorio non può scalfirla.
Salvo effetti collaterali, ovviamente.
Sulle altre tipologie di intervento edilizio soggette a SCIA e da compiersi nelle zone omogenee A consiglio questo specifico approfondimento.
P.S: approfitto per segnalarti che questo tema è trattato anche nel Corso online sul Decreto ‘Scia 2’.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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