Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
La categoria in visura catastale non corrisponde automaticamente alla destinazione d’uso di tipo urbanistico
Spesso sono confuse e considerate la stessa cosa dalla committenza per pura semplicità
Nell’immaginario collettivo si fa spesso riferimento alle categorie catastali per indicare la destinazione d’uso ufficiale dell’immobile.
Tutto questo è sbagliato, troppe volte il committente proprietario promuove in vendita l’immobile facendo riferimento ai soli dati catastali, ad esempio alla categorie catastali A/2, A/3, A/4, C/3, C/6.
Tutte le varie categorie riportate nelle visure catastali relative al singolo immobile non rappresentano la destinazione d’uso ufficiale, cioè quella che invece risulta dalle pratiche edilizie e dalle pratiche di Agibilità – Abitabilità.
Forse dovremmo meglio dire che la destinazione d’uso da intendersi come legittima è quella che risulta dai titoli abilitativi come permessi di costruire, Scia, concessioni, condoni, sanatorie e quant’altro.
Ancora più chiaramente essa si può desumere da un documento ufficiale, che è appunto la dichiarazione o certificazione di agibilità/abitabilità rilasciata nei tempi pregressi.
Ciò vale quando questa esista, potrebbero presentarsi casi in cui non esiste perché non è stata rilasciata, non è stata richiesta o addirittura non ci sono ancora i presupposti per ottenerla.
La categoria catastale non combacia con la destinazione d’uso
Bisogna però precisare che Catasto e urbanistica sono due mondi separati e poco comunicanti fra di loro.
Leggendo molti piani regolatori e regolamenti edilizi in Italia si può leggere una frequente indicazione, cioè che in assenza di documentazione urbanistica o pratiche edilizie che comprovanti la destinazione d’uso, si può fare riferimento alle documentazioni catastali.
Si tratta di una prassi positiva, considerato che negli anni trenta fu effettuato un censimento generale del patrimonio edilizio esistente con l’istituzione del nuovo catasto edilizio urbano.
Detto questo, se il committente viene in ufficio dicendoti che ha un immobile in categoria A/3, cioè catastalmente abitazione economica, non significa automaticamente che l’immobile sia residenziale anche da un punto di vista urbanistico e amministrativo
Potrebbe infatti capitare che per qualche strana ragione l’immobile avesse un’altra destinazione, ad esempio ufficio oppure commerciale da un punto di vista urbanistico; ammettiamo pure che con semplice accatastamento sia stato portato a destinazione abitativa senza pratiche edilizie.
Mutamento di destinazione d’uso recenti col solo catasto possono essere insufficienti
In base alle norme, ai regolamenti edilizi del comune e in base al piano regolatore, occorre fare attenzione che il solo cambio di destinazione d’uso non sia avvenuto solo con la variazione catastale. Piuttosto bisogna verificare che ci sia un collegamento “in parallelo” col regime abilitativo delle pratiche edilizie, altrimenti sono dolori.
Ultima annotazione: possono presentarsi tranquillamente disallineamenti tra catasto e urbanistica soprattutto per tempi andati. Mi riferisco soprattutto a epoche anteriori al 1977, cioè da quando è stata istituita la concessione edilizia che ha cambiato molto il regime delle pratiche
edilizie e del settore immobiliare.
Riassumendo, le destinazioni d’uso indicate nelle visure catastali come categorie catastali non sono automaticamente le destinazioni d’uso urbanistiche, e soprattutto non lo sono automaticamente.
Occorre fare un doppio riscontro e verificare entrambi i settori.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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