Per la Cassazione qualifica ristrutturazione se mantiene caratteristiche identitarie con edifici anche dopo DL 76/2020

Escluso dall’edilizia libera installare manufatti simili, neppure a rotazione, derogabili strutture ricettive all’aperto
Posizionare manufatti apparentemente di carattere temporaneo potrebbe risultare una soluzione, anche per avere un tetto sulla testa oppure per altri scopi (uso amatoriale di territorio o appoggio per periodo feriale). Occorre confermare quanto stabilito da normativa e giurisprudenza: la collocazione di manufatti, abitazioni e costruzioni di ogni tipo con caratteristiche di mobilità non rientra in edilizia libera, e sono assoggettate allo stesso regime delle nuove costruzioni stabili e permanenti al suolo, assoggettandole all’ottenimento del Permesso di Costruire. Per prima cosa bisogna partire dalla nozione normativa contenuta a livello nazionale nell’articolo 3 comma 1 lettera e.5) del D.P.R. 380/01:
e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti;
La casa mobile, anche se dotata di ruote, di per sè non è inquadrabile tra le opere dirette a soddisfare esigenze meramente temporanee, e tanto meno come manufatto amovibile: la nozione di amovibilità oltre a basarsi sulla sua facilità, richiede un impatto irrilevante sul territorio, senza invece comportare alcuna sua trasformazione concreta e/o funzionale.
Intanto lin base alla definizione contenuta nell’articolo 3 T.U.E., nella vigente versione modificata dall’articolo 10 D.L. n. 76/2020, il requisito di precarietà è richiesto solo per le funzioni diverse dal ricettivo all’aperto (escludendo quindi tutte le altre tipologie al chiuso), mentre per le unità mobili site in strutture turistiche autorizzate è sufficiente la mancanza di un collegamento permanente con il terreno, oltre al rispetto delle caratteristiche tecniche previste dalla legislazione regionale. Per esempio, il D.L. 76/2020 ha sottratto dal regime autorizzativo edilizio le tende e unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione e loro pertinenze ed accessori collocate in via continuativa all’aperto per la sosta ed il soggiorno dei turisti, entro il perimetro dei campeggi previamente autorizzati verso i profili urbanistici, edilizi e paesaggistici. La norma, attinente al profilo urbanistico-edilizio, demanda alle normative di settore delle Regioni la definizione più articolata delle caratteristiche costruttive e della tipologia degli allestimenti mobili inidonei a determinare una trasformazione stabile del territorio.
Pertanto, la clausola residuale prevista dall’art. 3, comma 1 lett. e), d.p.r 380/2001, qualifica come nuova costruzione le opere di installazione manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, tra cui rientrano anche le finalità di carattere ricettivo. (Cons. di Stato n. 7942/2024, n. 2368/2023; con specifico riguardo al posizionamento di strutture mobili in assenza di titolo edilizio, cfr. Cons. di Stato n. 10958/2023). Di conseguenza, le opere costituenti nuova costruzione richiedono sempre permesso di costruire ai sensi dell’articolo 10 comma 1 del D.P.R. 380/01.
E’ da ritenere corretto che, in quelle poche ipotesi consentite alle strutture ricettive all’aperto, non debbano essere accompagnate da altre opere, perfino di natura accessoria, in grado di trasformare in via permanente il territorio: meglio evitare solette di cemento armato, platea, elementi appoggiati o altre forme di impermeabilizzazione del suolo, come anche la posa in opera di impianti di vario tipo. Esse violerebbero comunque il criterio di facile amovibilità. Inoltre, anche in questo ambito si deve raccomandare anche il rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza urbanistico-edilizia, prime tra tutti quelle sui vincoli e sul paesaggio.
Caratteristiche precarietà e giurisprudenza amministrativa su case mobili
La giurisprudenza formatasi in relazione a tale normativa precisa che un’opera edilizia per essere considerata precaria deve riscontrare due criteri discretivi:
- criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo;
- criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un’esigenza temporanea.
Sulla qualifica di queste opere, e in particolare verso le case mobili, la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato si è pronunciata in senso sfavorevole verso l’assoggettamento ad attività edilizia libera affrontando più profili:
il carattere precario di un manufatto deve essere valutato non con riferimento al tipo di materiale utilizzato per la sua realizzazione, ma avendo riguardo all’uso cui lo stesso è destinato, nel senso che, se le opere sono dirette al soddisfacimento di esigenze stabili e permanenti, deve escludersene la natura precaria, a prescindere dai materiali utilizzati e dalla tecnica costruttiva applicata; la precarietà non va, infatti, confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (cfr. da ultimo, Cons. di Stato n. 7942/2024, n. 2368/2023).
Ciò significa che le case mobili non sono riconducibili al regime dell’edilizia libera quando non presentino caratteristiche tali da risultare sostanzialmente assimilabili gli edifici, come tali capaci di elidere sostanzialmente la loro naturale connotazione differenziale in termini.
Nel caso in cui dette strutture mobili non siano destinate ad una occupazione transitoria del suolo, ma ad una utilizzazione perdurante nel tempo, l’alterazione del territorio non può considerarsi temporanea, precaria o irrilevante, anche e soprattutto a fini paesaggistici (Cons. di Stato n. 4103/2024, n. 2276/2024, n. 4116/2015). Va da sé che l’aspetto della permanenza nel tempo delle strutture va valutato “nella sostanza e sul campo”, posto che, ad esempio, l’amovibilità dal suolo dei manufatti non è da sola sufficiente ad escludere la permanenza, rilevando piuttosto la presenza di collegamenti a sottoservizi, quali fognature, energia elettrica, gas, ecc. o dall’esistenza di qualsiasi altra circostanza in grado di far desumere una destinazione dei manufatti ad esigenze stabili e permanenti nel tempo.
Volendo fare un altro esempio, l’asservimento di un c.d. “camion negozio”, tipo quelli utilizzati per il commercio su aree pubbliche, a cassa dell’esercizio di vicinato all’aperto, con tanto di registratore per le ricevute, evoca chiaramente la lettera e.5) del comma 1 dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, che assoggetta a tale titolo l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, tra le quali annovera perfino «roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro» (vedi Cons. di Stato n. 1639/2025).
Cassazione penale su case mobili e manufatti precari
Anche la giurisprudenza penale risulta conforme all’orientamento rigido già stabilito dal Consiglio di Stato, affermando che la nozione di “precarietà strutturale” è inconferente rispetto all’indagine circa la non temporanea trasformazione del territorio che necessita del permesso di costruire (Cass. Pen. n. 50773/2023, n. 5821/2019, n. 966/2014, n. 22054/2009) e che, quanto alla “precarietà funzionale” dei manufatti, essa va rapportata a esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolve (Cass. Pen. n. 50773/2023, n. 36107/2016, n. 22054/2009).
In materia edilizia, ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibílità, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera assolve. In senso assolutamente conforme si è espressa anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (sentenza n. 10008/2023), secondo cui la precarietà di un manufatto non dipende dai materiali utilizzati o dal suo sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall’uso al quale il manufatto stesso è destinato; pertanto, essa va esclusa quando trattasi di struttura destinata a dare un’utilità prolungata nel tempo, indipendentemente dalla facilità della sua rimozione, a nulla rilevando la temporaneità della destinazione data all’opera del proprietario, in quanto occorre valutare la stessa alla luce della sua obiettiva e intrinseca destinazione naturale. Ancora di recente, in assoluta continuità con i principi sopra espressi si è ribadito che la natura precaria di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (Cass. Pen n. 18266/2023, n. 966/2014). La precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Cass. Pen. n. 50773/2023).
Del resto l’argomento è già stato chiarito anche dalla Corte costituzionale, che in proposito ha osservato che «la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell’intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso» (Corte Costituzionale n. 278/2010, n. 189/2015).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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