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La variazione da un uso a scarso impatto ambientale verso uno ad alta incidenza antropica comporta aggravamento del peso urbanistico.

Il caso frequente è il passaggio da uso rurale ad uso civile, orientamento rimarcato giustamente dalla sentenza di Cassazione

Ricevo spesso quesiti in merito alla famigerata “deruralizzazione”  ovvero la trasformazione edilizia, con o senza opere, che comporta il passaggio dalla destinazione rurale verso una appartenente all’insieme delle categorie civili, quali ad esempio abitazione, magazzino, produttivo artigianale, turistico, ecc.
Le conclusioni a cui giunge la sentenza n. 43111 del 07 aprile 2015 emessa dalla sez. III della Cassazione Penale sono condivisibili.

Nel caso di specie è stata effettuata la trasformazione di un preesistente manufatto rurale, di due fabbricati in muratura aventi l’uno superficie di 140 mq e l’altro di 14 mq, ciascuno dell’altezza media pari a m 2,40, nonchè di una tettoia inclinata pari a 93 mq (successivamente eliminata dal proprietario), e altre opere e impianti che rendeva di fatto l’uso “potenziale” in civile abitazione.

Tale plesso ricadeva tra l’altro in zona vincolata paesaggisticamente.

La Corte nel respingere la tesi del proprietario, non condivide l’inquadramento di tali opere nella categoria di intervento del restauro e risanamento conservativo, soprattutto in un’ottica di reato penale ex art. 44 DPR 380/01.

In particolare la Corte ha tenuto conto delle sostanziali modifiche introdotto dallo “Sblocca Italia” con L. 164/2014 (non ritenendole sufficienti all’argomentazione) con cui è stato esteso il frazionamento alla categoria degli interventi di manutenzione straordinaria, a condizione che non vi sia modifiche volumetriche e di destinazione d’uso (Cfr. Cassazione Penale sez. III, n. 3953 del 28 gennaio 2015).

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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