Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
La destinazione d’uso e’ un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile e risponde a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione o di attuazione
Lo strumento urbanistico individua le destinazioni d’uso di zona in funzione delle caratteristiche infrastrutturali e dotazioni territoriali.
Ricordo bene il tema di esame assegnatomi per l’esame di abilitazione di Urbanista nel 2007: la destinazione d’uso. Parliamo quindi di questa materia di non facile trattazione. In questo articolo non parliamo di destinazione d’uso catastale, ma puramente urbanistica, quella “comunale” per intendersi.
Lo strumento urbanistico, il Piano Regolatore comunale per intenderci, individua gli aspetti funzionali degli immobili e dei tessuti insediativi, specificando le destinazioni di zona in considerazione della differenziazione infrastrutturale del territorio, prevista e disciplinata dalla normativa sugli standard, diversi per qualità e quantità proprio a seconda della diversa destinazione di zona.
L’organizzazione del territorio comunale e la sua gestione avviene attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d’uso in tutte le loro possibili relazioni; da questa impostazione emerge che le modifiche non consentite incidono negativamente sull’organizzazione dei servizi, alterando appunto il complessivo assetto territoriale, inteso come equilibrio dei pesi e carichi urbanistici.
Lo strumento urbanistico rappresenta l’atto di destinazione generica ed esso trova attuazione nelle prescrizioni imposte dal titolo che abilita a costruire, quale atto di destinazione specifica che vincola il titolare ed i suoi aventi causa (Cass. Pen. III n. 9894 del 5 marzo 2009).
La destinazione d’uso del singolo edificio è coordinata alla zonizzazione urbanistica
Possono conseguentemente distinguersi:
- una destinazione d’uso urbanistica, relativa alle categorie specificate dalla legge e dal D.M. n. 1444 del 1968;
- una destinazione d’uso edilizio, che attiene al singolo edificio ed alle sue capacita’ funzionali.
Si ha quindi la duplice esigenza coordinare la destinazione d’uso del singolo immobile con la zonizzazione funzionale, quest’ultima affidata alla funzione regolatrice degli standard urbanistici e della differenziazione infrastrutturale del territorio.
Questo rapporto duale di destinazione d’uso tra singolo edificio/unità immobiliare e la sua zona urbanistica incide sulla rilevanza con quest’ultima.
Infatti la giurisprudenza aveva anticipato da anni il tema del mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, cioè quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico.
Diciamo meglio: la questione della rilevanza della destinazione d’uso immobiliare trae inizio con la prima legge sul Condono Edilizio L. 47/85 art. 8, col quale è classificato come variazione essenziale (abuso grave) il mutamento della destinazione d’uso comportante variazione degli standards urbanistici del DM 1444/68. Quel principio è pervenuto ai giorni nostri nel Testo Unico DPR 380/01, senza specificare la questione dei mutamenti d’uso tra categorie rilevanti.
Mutamento di destinazione d’uso tra categorie rilevanti recepita a posteriori
Il cambio di destinazione d’uso giuridicamente rilevante si ha solo tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, tenuto conto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico – contributivi, stanti le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria (Cass. Pen. III n. 9894 del 5 marzo 2009).
Anche la giurisprudenza amministrativa afferma in maniera costante che:
«la richiesta di cambio della destinazione d’uso di un fabbricato, qualora non inerisca all’ambito delle modificazioni astrattamente possibili in una determinata zona urbanistica, ma sia volta a realizzare un uso del tutto difforme da quelli ammessi, si pone in insanabile contrasto con lo strumento urbanistico, posto che, in tal caso, si tratta non di una mera modificazione formale destinata a muoversi tra i possibili usi del territorio consentiti dal piano, bensì in un’alterazione idonea ad incidere significativamente sulla destinazione funzionale ammessa dal piano regolatore e tale, quindi, da alterare gli equilibri prefigurati in quella sede» (Consiglio di Stato V n. 24 del 3/1/1998).
Il cambio di destinazione d’uso (anche) senza opere non costituisce un’attività del tutto priva di vincoli: infatti risulterebbero colpite le regole generali finalizzate ad assicurare un corretto ed ordinato assetto del territorio, con conseguente concreto ed inevitabile pericolo di compromissione degli equilibri prefigurati dalla strumentazione urbanistica (Cons. Stato n. 759 del 25 maggio 2012, Cass. Pen. III n. 5712/2014).
Potrebbe perfino risultare pregiudicato anche l’interesse patrimoniale dell’ente comunale perché i soggetti proprietari potrebbero chiedere il rilascio di un titolo edilizio che sconta il pagamento di un minor contributo per il basso carico urbanistico, per poi mutare liberamente e gratuitamente la destinazione d’uso originaria senza corrispondere i maggiori oneri che derivano dal maggior carico urbanistico (Cass. Pen. III n. 5712/2014).
La modifica della destinazione d’uso è giuridicamente rilevante se disomogenea alle categorie previste dagli strumenti urbanistici
La regolamentazione dei mutamenti di destinazione d’uso fin dalla L. 47/85 sono divenuti materia delegata alle regioni, le quali hanno provveduto coi proprie leggi a regolamentare la materia. In sostanza alle Regioni è consentito stabilire quali mutamenti d’uso di immobili o loro parti, connessi o non connessi a opere edilizie, siano subordinati a Permesso di Costruire o DIA/SCIA.
In assenza di un oggettivo aggravamento del carico urbanistico, non si sconfina nel cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante.
Quindi è giuridicamente rilevante il solo mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, in quanto nelle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi alla luce delle sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria.
Leggi anche: Cambio di destinazione d’uso senza opere nella stessa categoria funzionale
Nel settembre 2014 il provvedimento “Sblocca Italia” ha specificato in maniera espressa il nuovo concetto di “Mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante“, di fatto recependo quel costante orientamento giurisprudenziale instauratosi da anni.
Fu introdotto col nuovo art. 23/ter del Testo Unico dell’edilizia DPR 380/01, che ha definito le categorie funzionali (modificate durante la conversione del decreto Sblocca Italia):
- residenziale;
- turistico-ricettiva;
- produttiva e direzionale;
- commerciale;
- rurale;
Il provvedimento inquadra come cambio di destinazione d’uso rilevante il passaggio tra diverse categorie funzionali, con o senza opere edilizie. Lo stesso articolo disponeva un’importante distinzione sull’ammissibilità di mutamento d’uso in relazione alle categorie funzionali:
- mutamento tra diverse categorie funzionali: condizionato dalle previsioni degli strumenti urbanistici generali e attuativi;
- mutamento all’interno della stessa categoria funzionale: sempre consentito;
Cambio di Destinazione d’uso con opere: quale pratica edilizia utilizzare?
Premessa: ciò che segue ha valore fintanto non entreranno in vigore gli effetti uniformatori del Decreto Scia 2.
Il mutamento di destinazione d’uso si annovera nella categoria di intervento della ristrutturazione edilizia.
Giova ricordare anche la Cass. Pen. III 9894/2009, che in tema di reati edilizi configura ipotesi di ristrutturazione edilizia il mutamento di destinazione d’uso effettuato con opere.
Ciò è in piena sintonia con l’attuale classificazione delle categorie di interventi previste dall’art. 3 comma 1 lettera D del DPR 380/01, che definisce la ristrutturazione edilizia come un intervento rivolto a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.
Pertanto, a livello nazionale e in assenza di disposizioni regionali, il solo mutamento di destinazione d’uso è assoggettato a:
- D.I.A. (ora SCIA): purché intervenga nell’ambito della stessa categoria urbanistica;
- Permesso di Costruire: fuori dalle zone omogenee A (centri storici) se avente passaggio di categoria urbanisticamente rilevanti;
- Permesso di Costruire: all’interno delle zone omogenee A (centri storici) anche all’interno di una stessa categoria urbanistica omogenea;
- Permesso di Costruire: in tutte il territorio se effettuato contestualmente ad una ristrutturazione edilizia “pesante” (art. 10 DPR 380/01) cioè comportanti modifiche di volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti;
- Permesso di Costruire: gli interventi comportanti modifica di sagoma di immobili sottoposti a vincoli del Codice dei beni culturali (paesaggistici compresi);
Il cambio di destinazione d’uso: manutenzione, restauro o ristrutturazione?
Per una corretta individuazione della categoria di intervento, con l’attuale ordinamento anteriore all’imminente entrata in esercizio dello ‘Scia 2’, si deve procedere con un ragionamento.
Il mutamento di destinazione d’uso, fatto salvo legislazioni regionali, non può rientrare nel regime dell’edilizia libera, e tanto meno nella CILA.
Non può rientrare nella categoria di manutenzione straordinaria, in quanto attualmente l’art. 3 comma 1 lettera B dispone perentoriamente che:
« le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni di uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unita’ immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unita’ immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso; »
In questa descrizione è scritta ben due volte l’esclusione di qualsivoglia modifica della destinazione d’uso, anche per i casi di frazionamento e fusione “leggeri” introdotti con lo Sblocca Italia e oggetto del tanto criticato spot televisivo.
Più difficile inquadrare univocamente il cambio d’uso la categoria tra restauro/ risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia.
- restauro e di risanamento conservativo: trattasi di interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili.
Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio.
La descrizione di restauro e risanamento lascia molte strade al cambio d’uso, condizionando l’esecuzione di opere compatibili con l’organismo stesso e alla sua ratio principale, ovvero la conservazione. Il valore della compatibilità dell’intervento è duplice, cioè sul piano esecutivo (opere edilizie) e funzionale (destinazioni d’uso compatibili con le caratteristiche dell’organismo).
In presenza di queste condizioni, e fatti salvi gli aspetti espressi al precedente paragrafo (Permessi e DIA/SCIA), è possibile effettuare il cambio di destinazione attraverso il restauro e risanamento conservativo.
Passiamo a disaminare la categoria della ristrutturazione edilizia e il rapporto col mutamento d’uso. L’attuale descrizione della ristrutturazione in primis consiste:
- ristrutturazione edilizia: trattasi di interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
Questa categoria ha delimitazioni assai più ampie e in grado di farvi rientrare una larga fetta di interventi “pesanti” o sostanziali, tra cui il cambio di destinazione d’uso.
La ristrutturazione prevede “interventi” effettuati con un insieme sistematico di opere che porti ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente.
In assenza di specifica normativa regionale, sicuramente un intervento edilizio “rilevante” contestuale ad opere edilizie fisiche incidenti su sagoma, volumetria e aumento di carico urbanistico, rientra nella ristrutturazione edilizia “pesante” di cui all’art. 10 del DPR 380/01, quindi soggetto a Permesso di Costruire.
E ovviamente il discorso è diverso per i frazionamenti o accorpamenti “leggeri” senza opere strutturali, previsti espressamente nella manutenzione straordinaria, come anzi detto.
Tuttavia: il mutamento di destinazione d’uso all’interno della stessa categoria rilevante, effettuato senza opere, può essere inquadrato come ristrutturazione edilizia?
A mio avviso NI.
- No, perchè effettuato senza opere, cosa che invece è espressamente indicata nella ristrutturazione edilizia;
- Si, perchè comunque comportante modifica dell’organismo edilizio.
Mi sento di condividere l’opinione conclusiva, che il dubbio si scioglie affermando che (in assenza di norme regionali) il cambio di destinazione d’uso senza opere sia una categoria d’intervento non autonoma e assimilabile alla ristrutturazione edilizia; la sua onerosità rimane intaccata a prescindere, come previsto dalle norme.
Non c’è da sottovalutare una considerazione importante: l’art. 3 comma 1 lettera E prevede espressamente che gli interventi non inquadrabili nelle categorie canoniche di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro/risanamento conservativo e ristrutturazione edilizia, debbano essere assimilati nell’intervento di nuova costruzione:
e) “interventi di nuova costruzione”, quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. (omissis)…
Non mi è mai capitato di conoscere un solo caso pratico o di giurisprudenza “estremo” in cui il cambio di destinazione d’uso senza opere sia stato inquadrato e assoggettato a nuova costruzione.
Certo è che, attualmente, la normativa prevede che in via residuale gli interventi edilizi non specificati dalle norme del TUE debbano essere effettuati con SCIA.
Tutti i diritti sono riservati – all rights reserved
CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
CONTATTI E CONSULENZE
Articoli recenti
- CILAS Superbonus presuppone (davvero) legittimità dell’immobile
- Centri storici, siti Unesco e vincoli culturali: condizioni e regole
- Truffa con immobile viziato da abusi edilizi sottaciuti
- Pergotenda, Edilizia libera requisiti e divieto chiusura (dopo Salva Casa)
- Preliminare di vendita, vincoli nascosti e risoluzione per inadempimento
- Conformità Catastale, atto definitivo e preliminare di vendita