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Mutamento d’uso è incompatibile col concetto di manutenzione e può configurare aumento di superficie utile

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 11390/2023 ha escluso dalla Sanatoria paesaggistica il cambio d’uso da autorimessa frazionata in due monolocali, in quanto ascrivibile ad aumento di superficie analogamente ai cambi d’uso urbanisticamente rilevanti. Si è posto nuovamente il problema degli incrementi di superfici utili e volume nella Compatibilità paesaggistica, anche con modifiche funzionali, che portano all’improcedibilità ex articolo 167 c.4 D.Lgs. 42/2004.

Nemmeno a farlo apposta pochi giorni fa avevo pubblicato un post proprio sul mutamento di destinazione d’uso da stalla a residenziale, sul quale il Consiglio di Stato ha ritenuto di qualificarlo addirittura come categoria di nuova costruzione anziché di ristrutturazione edilizia.

Pur essendo i profili urbanistici e paesaggistici autonomi tra loro, ogni tanto alcune nozioni vengono connesso tra loro: ed è ciò che è successo anche nella predetta sentenza.

Questa ipotesi di insanabilità paesaggistica relativa al solo cambio d’uso, anche senza opere, l’avevo già preannunciata possibile nel mio recente libro “Mutamento d’uso immobiliare” acquistabile su Amazon.

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Esclusione interventi edilizi diversi da manutenzione DPR 380/01

Il Consiglio di Stato nella fattispecie ha applicato il canone ermeneutico di ordine generale: quello secondo cui le disposizioni di carattere eccettuale (quali il comma 4 dell’articolo 167 D.Lgs. 42/2004) sono di stretta interpretazione e non debbono avere quale effetto quello di ampliare la portata delle deroghe oltre quanto strettamente consentito dal portato testuale della disposizione oggetto di interpretazione.

A fronte di due possibili interpretazioni (entrambe astrattamente plausibili) del richiamato comma 4 l’interprete deve dunque privilegiare quella maggiormente conforme al principio di tendenziale inestensibilità delle ipotesi di autorizzazione postuma in sanatoria rispetto a quella tendenzialmente difforme rispetto a tale principio.

Tale cambio d’uso, anche senza concreto aumento di superficie o volume (costruttivamente parlando), ha comportato incremento della superficie utile in termini abitativi: ancorché qualificabili di invarianza di superficie, gli stessi non erano ascrivibili al novero degli ‘interventi minori’ di cui all’articolo 167, comma 4 del decreto legislativo n. 42/2004.

Nella fattispecie sono stati effettuati anche interventi edilizi di modesta rilevanza (modifiche interne e di prospetto), che ai sensi dell’articolo 167 c.4 lettera c) del D.Lgs. 42/2004 non possono essere riconducibili alla nozione di manutenzione ordinaria e straordinaria definite dall’articolo 3 c.1 lettere a) e b) del DPR 380/01:

4. L’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei seguenti casi:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.

Cambio d’uso e aumento superficie “virtuale”

Il Consiglio di Stato formula una motivazione basandosi su quella già consolidata in ambito urbanistico edilizio:

Va richiamato al riguardo il consolidato orientamento secondo cui gli interventi che alterano, anche sotto il profilo della distribuzione interna e del concreto utilizzo, l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportano – inter alia – la modifica e ridistribuzione funzionale dei volumi esistenti, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia. In particolare, interventi che abbiano quale conseguenza quella di alterare l’originaria consistenza fisica dell’immobile con la modifica dell’originaria destinazione d’uso sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo (Cons. di Stato n. 11390/2023, n. 1813/2022).

Si arriva alla conclusione che le condizioni di accesso all’Accertamento di Compatibilità paesaggistica ex articolo 167 D.Lgs. 42/2004 debbano essere valutate congiuntamente, comportando l’improcedibilità per tutti gli illeciti edilizi diversi e superiori alle categorie di intervento edilizio elencate all’articolo 3 comma 1 D.P.R. 380/01. E’ anche vero che alcuni mutamenti funzionali rientrerebbero nella manutenzione straordinaria, ma certamente quelli urbanisticamente rilevanti saranno ostativi.

Praticamente un altro bel giro di vite restrittivo, considerato che le ristrutturazioni edilizie diverrebbero insanabili paesaggisticamente.

DPR 31/2017: la semplificazione paesaggistica non serve?

Occorre precisare che nella predetta sentenza di Consiglio di Stato n. 11390/2023 nulla è stato sollevato in merito al regolamento di autorizzazione paesaggistica con procedimento semplificato.

Rammento infatti che nell’Allegato A del D.P.R. 31/2017 esiste una specifica categoria di intervento esonerata dall’autorizzazione paesaggistica ordinaria e autorizzazione paesaggistica semplificata, l’unica riguardante i cambi di destinazione d’uso:

A.1. Opere interne che non alterano l’aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico‐edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d’uso;

In primo luogo questa categoria non si è configurata in quanto contestato nella sentenza, in quanto vi sono state effettuate anche opere di prospetto, condizione sufficiente per uscire dalla predetta categoria A.1.

In secondo luogo non è di particolare aiuto l’articolo 17 del medesimo D.P.R. 31/2017, in quanto il comma 1 ribadisce il severo rinvio alla regola generale dell’unica procedura di Sanatoria paesaggistica dell’articolo 167 del Codice, anche per opere rientranti in “paesaggistica libera” (con tutte le preoccupazioni che suscita).

Art. 17 Rinvio all’articolo 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
1. Nel caso di violazione degli obblighi previsti dal presente decreto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 181 del Codice, si applica l’articolo 167 del Codice. In tali casi l’autorità preposta alla gestione del vincolo e il Soprintendente, nell’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 167, comma 4, del Codice, dispongono la rimessione in pristino solo quando non sia in alcun modo possibile dettare prescrizioni che consentano la compatibilità paesaggistica dell’intervento e delle opere.
2. Non può disporsi la rimessione in pristino nel caso di interventi e opere ricompresi nell’ambito di applicazione dell’articolo 2 del presente decreto e realizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente regolamento non soggette ad altro titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica.

Come eccezione a tale regola è prevista la rimessa in pristino soltanto quando non sia dettare prescrizioni (e quindi adeguarle) per renderle compatibili alla paesaggistica. Ma non si è detto tante volte che le sanatorie e procedimenti di regolarizzazione edilizia non ammettono opere di adeguamento o modifiche?

Infine, non soccorre molto neppure il comma 2 dell’articolo 17 DPR 31/2017, relativo agli stessi interventi compiuti ante sua entrata in vigore: esso ammetterebbe l’esclusione della rimessa in pristino, ma condizionata soltanto ai casi di interventi rientranti “paesaggisticamente liberi” e non soggetti ad altri titolo abilitativo all’infuori dell’autorizzazione paesaggistica (quindi si parla di interventi in edilizia libera previsti dall’articolo 6 D.P.R. 380/01 e nel Glossario?

A me pare che la gestione di tutte queste norme edilizie stia sfuggendo di controllo.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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