Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
Le norme sopravvenute spesso innovano dimenticandosi dello stato pregresso
Il cambio di destinazione è divenuto negli ultimi decenni una tipologia di intervento oggetto di scontro per oneri e finalità di fruizione
Bisogna premettere che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante si intende solo quello che avviene tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, cioè in grado di incidere implicitamente o meno sulla fruizione dei servizi collettivi materiali (standard urbanistici e dotazioni territoriali) e immateriali (servizi alla persona, alla famiglia e produttivi).
Fatto salvo diversa legislazione regionale e locale, occorre tenere conto che nell’ambito delle stesse categorie urbanisticamente rilevanti si possono avere mutamenti d’uso di fatto, ma non diversi regimi urbanistici, anche sotto un profilo di oneri di urbanizzazione.
Ciò in quanto restano le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria (Cass. Pen. III n. 38005/2013), tema ampiamente dibattuti in questo blog e ripreso dalla normativa nel TUE all’art. 23/ter, dopo che appunto la giurisprudenza manteneva da tempo la suddetta linea.
E’ sempre la solita problematica del c.d. carico urbanistico e degli effetti che si hanno sul territorio e collettività.
Problema di non poco conto: la prima volta che la normativa parla di cambio di destinazione d’uso è appunto la L. 10/1977 “Bucalossi”, quella sopratutto nota per aver introdotto la concessione edilizia onerosa, e gli oneri di urbanizzazione nonchè contributo sul costo di costruzione.
E’ quindi da capire come comportarsi oggi, da “contemporanei”, rispetto a tutti i cambi di destinazione d’uso effettuati in epoca remota, soprattutto anteriore nel periodo intercorrente tra L. 1150/42 e L. 10/77.
La risposta che formulo ricalca quanto derivante da sede giurisprudenziale.
La normativa da applicarsi all’intervento modificativo (anche per la determinazione del contributo di costruzione e per l’eventuale conguaglio del contributo originariamente versato) è quella vigente al momento in cui detto intervento viene attuato.
Quindi, in base al principio tempus regit actum, può ritenersi “libero” soltanto il mutamento senza modifiche di carattere edilizio intervenuto nel periodo compreso tra la vigenza della legge n. 1150/1942, come modificata dalla legge n. 765/1967, e la legge n. 10/1977, nel quale non veniva imposta alcuna previa autorizzazione nel caso in cui il cambio di destinazione venisse attuato senza opere (Cass. Pen. III n. 38005/2013, Cass. Pen. III n. 10477/2015).
Qualora, invece, il mutamento di destinazione è stato attuato in epoca successiva all’entrata in vigore sia della legge statale n. 10/1977 sia della normativa regionale e di quella comunale di recepimento, sicché per l’intervento effettivamente eseguito in nessun caso poteva intervenire alcun valido titolo abilitante, stante il contrasto con le previsioni di piano e, conseguentemente, con la determinazione degli standard (Cass. Pen. III n. 38005/2013, Cass. Pen. III n. 10477/2015).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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