Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
Le modifiche di destinazione d’uso sono collegate alle previsioni degli strumenti urbanistici.
Nella regione Lazio il cambio di destinazione d’uso incontra un limite nelle categorie previste dai PRG nelle specifiche zone.
Attualmente nel Lazio è in corso un profondo ripensamento della normativa urbanistica (vedi Rigenerazione Urbana), e in materia vige ancora oggi (26 nov 2017) la L.R. 36/1987 nella versione modificata dai successivi provvedimenti, da ultimo modificata dall’articolo 35 L.R. Lazio n. 15/2008.
In particolare nel territorio del Lazio e di Roma Capitale vige il seguente articolo 7 della L.R. 36/1987:
Art. 7
Gli strumenti urbanistici generali debbono, per ciascuna delle zone omogenee previste dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, stabilire le categorie di destinazione d’ uso ammesse con riferimento a quelle previste dagli articoli 14 e 15 della legge regionale 12 settembre 1977, n. 35.
I piani particolareggiati e gli altri strumenti attuativi potranno, nell’ambito di ciascuna delle categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, procedere all’indicazione di più’ specifiche destinazioni d’ uso.
Le modifiche di destinazione d’ uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposito permesso di costruire mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette a denuncia di attività da parte del sindaco.
Nei centri storici, come definiti dall’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e’ di norma vietato il mutamento delle destinazioni d’uso residenziali.
Per l’ attuazione dei piani di zona per l’ edilizia economica e popolare, approvati o da approvarsi ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167 e successive modificazioni ed integrazioni, nei comuni capoluogo di provincia, le aree con destinazione non residenziale assegnate in diritto di proprietà od in diritto di superficie, qualora non a servizio delle residenze, non possono superare, in termini volumetrici, il 10 per cento di quelle residenziali, con esclusione delle volumetrie già autorizzate.
Questa impostazione sembra di per sé delegare interamente la disciplina dei cambi di destinazione d’uso agli strumenti urbanistici e piani regolatori del Comune.
Quindi nel Lazio si demanda l’intera disciplina al Comune attraverso il PRG e strumenti attuativi, cosa che invece in Toscana da alcuni decenni viene normata specificando con maggior apertura la disciplina del cambio destinazione d’uso in particolare prevedendo una serie di categorie d’uso funzionali connesse alla pianificazione comunale delle funzioni.
L’art. 7 della Legge regionale Lazio n. 36/1987 sembra aver recepito così la potestà regionale sui mutamenti d’uso, effettuati con o senza opere edilizie, avviata con l’art. 8 della L. 47/85 e travasata poi nel Testo Unico per l’edilizia DPR 380/01.
Essi vengono peraltro riferiti agli articoli 14 e 15 della L.R. Lazio 35/1977, relativi alla determinazione del contributo per le spese di urbanizzazione, che sostanzialmente recepiscono e integrano i dettami dell’art. 10 L. 10/1977 “Bucalossi”.
Alcuni aspetti della L.R. Lazio 36/1987 meritano particolare focalizzazione.
Il terzo comma compie una distinzione sul piano del regime amministrativo, subordinando i mutamenti di destinazione d’uso con o senza opere a:
- Permesso di Costruire: quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale;
- Denuncia di Attività da parte del Sindaco (oggi sostituita da SCIA): quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria;
Prima di proseguire, osservo con una domanda: cosa sia la cosiddetta Denuncia di Attività DEL Sindaco, non è dato sapere. Intendevano forse scrivere Denuncia di Inizio Attività ? Forse un refuso o superficialità del Legislatore del Lazio. Ma è palese che andava letto come in chiave di residualità, cioè che tale ipotesi sia esclusa dall’edilizia “autorizzativa” e soggetta a quella “comunicativa” una volta della DIA e oggi SCIA.
Facciamo un salto indietro nel tempo e vediamo la versione originaria del comma 3 art. 7 L.R. 36/1987 del Lazio:
Art. 7 c.3: Le modifiche di destinazione d’ uso con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposita concessione edilizia, mentre quando riguardano gli ambiti di una stessa categoria sono soggette ad autorizzazione da parte del sindaco.
Lo spartiacque tra categorie funzionali aveva quindi preso forma.
Partiamo da una definizione:
la destinazione d’uso qualifica la connotazione funzionale del bene immobile rispetto al contesto in cui è inserito (leggi approfondimento).
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La distinzione del cambio di destinazione d’uso tra categorie urbanisticamente rilevanti in qualche modo ebbe inizio nella prima formulazione delle variazioni essenziali stabilite dalla L. 47/85 articolo 8 comma 1 lettera A:
a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968.
Da qui emerse il principio che i cambi di destinazione comportanti incremento del carico urbanistico fossero soggetti ad un regime più restrittivo sotto molti profili.
Anche sulle variazioni essenziali, con lo stesso articolo, fu demandata alle regioni la facoltà di stabilirne con maggior precisione il loro ambito.
La questione cambio destinazione d’uso nei centri storici ex DM 1444/68.
Anche la Regione Lazio affronta questo aspetto fin dalla prima stesura della L.R. 36/1987 pubblicata sul BUR Lazio n. 20 del 20/07/1987 e infatti dispone che:
Nei centri storici, come definiti dall’articolo 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e’ di norma vietato il mutamento delle destinazioni d’uso residenziali.
Osservazioni:
- riferimento ai centri storici ex art. 2 DM 1444/68: occorre domandarsi se questa norma riguarda anche le zone assimilate situate perfino fuori dai centri abitati (borgate, abitati e nuclei sparsi); possibile che questa norma riguardi davvero esclusivamente i centri storici?;
- destinazione d’uso residenziali: la dizione “di norma” appare simile a “normalmente”, lasciando trasparire potere di deroga agli strumenti urbanistici? Inoltre non è ben chiaro se sia riferito al cambio d’uso solo verso il residenziale oppure da residenziale ad altro, oppure perfino entrambi: una visione restrittiva potrebbe spingersi a definire le destinazioni abitative come “no fly zone”, comunque “di norma”.
Questa disposizione di rigidezza e attenzione su centri storici sembra essere precursore dell’invenzione della Ristrutturazione edilizia “pesante” di cui alla prima stesura dell’art. 10 c.1 lett C del DPR 380/01, che non vietava tout court, ma assoggettava a PdC i mutamenti d’uso in centro storico:
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unita’ immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.
Sulla questione dei cambi d’uso in centro storico si rinvia all’approfondimento relativo a Firenze (leggi qui).
La giurisprudenza prima, e il legislatore dopo, interviene sulle categorie urbanistiche rilevanti.
La giurisprudenza (Cass. Pen. III n. 26455/2016) da anni disponeva un’importante distinzione sull’ammissibilità di mutamento d’uso in relazione alle categorie funzionali. Premesso che sull’argomento resta salva ogni diversa previsione da parte di leggi regionali, l’art. 23-ter del TUE (introdotto col decreto ‘Sblocca Italia’ n. 133/2014) distingue così:
- mutamento all’interno della stessa categoria funzionale: è sempre consentito se previsto da norme regionali, previsioni degli strumenti urbanistici generali e attuativi;
- mutamento tra diverse categorie funzionali: non è sempre consentito automaticamente, lasciando questo ambito nella sfera pianificatoria locale;
Lo stesso articolo provvide ad individuare in prima istanza il mutamento rilevante della destinazione d’uso, ovvero ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, anche senza opere edilizie, tale da comportare il passaggio tra le seguenti categorie funzionali elencate:
a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva;
b) produttiva e direzionale;
c) commerciale;
d) rurale.
Rispetto all’emanazione di tale articolo le regioni ebbero novanta giorni per adeguarvisi, decorso tale termine le suddette disposizioni prevalgono su di esse.
Ad esempio la Toscana provvide celermente con L.R. 65/2014, mentre nella regione Lazio ancora oggi vige la forma invariata della L.R. Lazio 36/1987; quindi, non avendo recepito, bisogna evidenziare che essa è stata in parte superata appunto dall’art. 23 ter del TUE.
Chiaramente resta il nodo dei mutamenti di destinazione d’uso nei centri storici, a mio avviso rimasto soggetto a Permesso di Costruire con art. 10 del TUE; poco importa se di recente il Legislatore nazionale ha consentito il cambio d’uso anche nelle categorie di restauro e risanamento conservativo (leggi approfondimento).
Ancora un altro scontro normativo Stato-Regione.
Sul tema sembra che la Regione Lazio interverrà con la riforma del “Testo Unico in materia urbanistica ed edilizia della regione Lazio“, il cui percorso ha preso avvio con DGR Lazio n. 105/2013.
Nella bozza sono infatti previsti gli articoli 81 e 82 che recepiscono le categorie funzionali delle destinazioni d’uso e il mutamento di destinazione d’uso rilevante; in particolare il comma 4 dell’art. 81 demanda al PRG comunale la disciplina sul mutamento delle destinazioni d’uso tra categorie funzionali diverse, concedendo loro un anno di tempo per adeguare le relative previsioni.
Addirittura nel successivo articolo 82 viene definito una categoria di destinazione d’uso compatibile e complementare, da applicarsi quando il cambio d’uso non sia previsto dal PRG ma avente carattere di complementarietà o compatibilità con quelle indicate nel precedente articolo 81, indicandone in prima istanza alcune ipotesi.
Devo aggiungere che quest’ultima proposta si rivelerà assai utile proprio raccordare il passaggio della norma con i previgenti strumenti urbanistici.
Attuale regime L.R. 36/1987 Lazio in materia di cambi d’uso.
Fino a quando non sarà riformata la materia nella regione Lazio, resta vigente la L.R. 36/1987 con un distinguo: prevale o meno il principio applicativo derivato dalla giurisprudenza e recepito dall’art. 23-ter del TUE ?
Infatti l’ultimo comma dell’art. 23-ter del DPR 380/01 statuisce che «Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d’uso all’interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito.».
Sembra quindi che l’ultima parola spetti comunque alla norma regionale, e infine lo strumento urbanistico comunale.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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