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Come sapere se l’edificio può beneficiare delle  agevolazioni fiscali per recuperare le facciate

Da alcuni giorni sui giornali serpeggia l’interrogativo su dove sia possibile applicare con certezza il Bonus Facciate nelle nostre periferie e centri abitati.

Tutto ha avuto inizio con la Legge n. 160/2019, che tramite l’art. 1 commi 219-224 ha istituito una nuova interessante agevolazione fiscale.

Il comma 219 consente infatti di beneficiare della detrazione dell’imposta lorda pari al 90 per cento per le spese di rifacimento della facciata esterna nell’anno 2020, compreso interventi di pulitura o tinteggiatura esterna. Essa è circoscritta agli edifici situati nelle Zone Territoriali Omogenee A o B, così individuate ai sensi del D.M. 1444/68.

Inutile premettere che queste zone non vanno cercate al Catasto, ma negli strumenti urbanistici comunali (Piani Regolatori, ndr). Quindi la tipica classificazione catastale non c’entra niente, evitiamo da subito il ricorso alla classificazione “A/2” o similari.

In questo video Facebook abbiamo dato alcuni spunti….

Dove sono indicate queste zonizzazioni A e B del territorio comunale?

Tralasciando i dettagli sulle specifiche tipologie di intervento dettate dai commi successivi, occorre consultare l’esatta perimetrazione di queste zone previste dal D.M. 1444/68, nelle quali è possibile accedere a questa agevolazione (e di conseguenza quelle escluse a priori).

Queste zone territoriali omogenee furono introdotte col D.M. 1444/68, allo scopo di coordinare i termini delle zonizzazioni insediative, da applicarsi a:

Zone Territoriali Omogenee (Z.T.O.): sono parti del territorio comunale ben delimitate in cui prevalgono determinate caratteristiche insediative e di utilizzo, in maniera omogenea.

In base all’art. 2 del D.M. 1444/68 tutto il territorio comunale deve essere dunque individuato secondo queste Z.T.O:

Zone A) parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestano carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi;
[Centri storici e simili, BONUS FACCIATE AMMESSE]

Zone B) parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A): si considerano parzialmente edificate le zone in cui la superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al 12,5% (un ottavo) della superficie fondiaria della zona e nelle quali la densità territoriale sia superiore ad 1,5 mc/mq; [Periferie residenziali, BONUS FACCIATE AMMESSE]

Zone C) parti del territorio destinate a nuovi complessi insediativi, che risultino inedificate o nelle quali l’edificazione preesistente non raggiunga i limiti di superficie e densità di cui alla precedente lettera B);

Zone D) parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati;

Zone E) parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui – fermo restando il carattere agricolo delle stesse – il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerare come zone C);

Zone F) parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale.

Quindi, dovendo applicarsi il Bonus Facciate soltanto nelle zone A e B, si potrebbe sintetizzare che si applica nei centri storici (e anche particolari nuclei storici), e nelle attuali periferie edificate.

A questo punto diventa essenziale poterle consultare senza dubbi, onde evitare di compromettere le detrazioni fiscali del Bonus Facciate di fronte ad accertamenti fiscali.

In molte regioni i Piani Regolatori Comunali sono chiamati in modi diversi.

Il D.P.R. 616/77 (art. 79 e 80) ha delegato alle regioni le funzioni amministrative relative alla materia urbanistica (oggi chiamata Governo del territorio).

Con questo passaggio le Regioni hanno provveduto ad emanare apposite discipline, senza un particolare coordinamento generale, e ciò spiega il motivo per cui troviamo Piani Regolatori Comunali contenenti diverse definizioni, termini e modalità di classificare le zone del territorio.

Per fare un esempio, in alcune regioni il Piano Regolatore Comunale ad oggi è costituito così:

Toscana: Piano Strutturale + Piano Operativo;

Lombardia: Piano Governo del Territorio;

Liguria: Piano Urbanistico Comunale;

Emilia Romagna: Piano Urbanistico Generale;

eccetera…

E’ ancora obbligatorio individuare il territorio comunale con le Z.T.O. del D.M. 1444/68? Certamente !

Partiamo da un fondamento: il D.M. 1444/68 è vivo e vegeto, continua a valere verso tutti gli strumenti urbanistici nuovi o revisionati dopo la sua entrata in vigore. Vale anche per i regolamenti edilizi e i Programmi di Fabbricazione, per i piani attuativi e relative varianti.

Tale Decreto, figlio diretto della Legge ponte n. 765/67, continua ad avere valore e ad essere utilizzato come riferimento nelle norme urbanistiche. Pensiamo al Testo Unico per l’edilizia D.P.R. 380/01 che lo “aggancia” in diversi casi, ad esempio i cambi di destinazione d’uso nei centri storici con l’art. 10 comma 1.

La normativa edilizia e urbanistica ha continuato a far riferimento al D.M. 1444/68, e alle sue Zone Territoriali Omogenee in diverse altre occasioni che si evitano per brevità.

Diciamo pure che le norme regionali non hanno disposto l’obbligo di continuare a classificare il territorio comunale con le Zone Territoriali Omogenee: ritengo che lo diano per scontato, volendo giustamente evitare una ripetizione di un obbligo normativo nazionale. Tuttavia alle Regioni è consentito di regolamentare le rispettive zone equipollenti (un richiamo si trova al comma 4 art. 23-bis del D.P.R. 380/01).

Pertanto si raggiunge un punto fermo: le Z.T.O. previste dal D.M. 1444/68 si applicano ancora come riferimento fondamentale.

Faccio una certa fatica a capire il parere espresso pochi giorni fa dal Mibact prot. 4961 del 19 febbraio 2020, con cui è stato sostenuto <<che il decreto 1444/68 non imponeva ai Comuni di applicare meccanicamente la suddivisione in zone e la conseguente denominazione ivi previste. Il decreto, invece, identifica zone omogenee al fine di stabilire le dotazioni urbanistiche, i limiti di densità edilizia, le altezze e le distanze tra gli edifici».

Ritengo corretto l’esatto contrario: la perimetrazione delle Z.T.O. è perentorio e fu introdotto per diverse finalità di pianificazione urbanistica e territoriale (standard urbanistici, per esempio). A maggior ragione, in seguito vi hanno fatto riferimento molte norme di valenza urbanistico edilizia, come l’anzidetto D.P.R. 380/01, alcune norme regionali di Piano Casa, eccetera.

Come comportarsi se manca l’indicazione delle Zone A e B negli strumenti urbanistici comunali?

Vorrei condividere alcuni consigli alternativi tra loro:

1) verificare il raccordo espresso tra Z.T.O. del D.M. 1444/68 e gli strumenti urbanistici del Comune (Piani Regolatori o tutte le possibili declinazioni regionali vigenti).

Più precisamente possiamo probabilmente trovare tali diciture:

Ad esempio, nel Regolamento Urbanistico del Comune di Empoli sussistono espressi raccordi tra le sue articolazioni e le Z.T.O. di cui al D.M. 1444/68. Un esempio riguarda il cosiddetto “Centro storico” di cui all’art. 44:

Gli ambiti della conservazione e del restauro sono parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale. Corrispondono alle zona territoriali omogenee “A” di cui all’art. 2 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444; (omissis).

In presenza di simili disposizioni, il cittadino può capire facilmente se rientrare o meno nel Bonus Facciate.

2) ponderare con attenzione il Bonus Facciate in assenza di espressa zonizzazione o raccordo con le Z.T.O. del D.M. 1444/68.

Contrariamente a quanto sostengono “certi pareri” in materia fiscale che circolano ad oggi, consiglio vivamente di valutare bene l’applicazione di questo bonus, e di valutare le altre agevolazioni comunque vigenti (Bonus ristrutturazioni 50%, Riqualificazione energetica, eccetera).

In assenza di tale perimetrazione, qualcuno sostiene con una certa logica di procedere per “assimilazione” alle zone A e B dove sorge l’edificio.

Ad esempio, leggo il consiglio di farsi rilasciare una “certificazione urbanistica” per farsi attestare l’assimilazione alle Zone A o B. Penso subito al Certificato di Destinazione Urbanistica, che potrebbe aiutare in questa direzione.

Tuttavia, provate a farvi una domanda: sulla base di cosa il Comune dovrà/potrà certificare l’equipollenza a Zone A e B se esse non risultano censite nello strumento urbanistico generale e/o attuativi, Regolamento edilizio o varianti in genere?

Il Comune d’altro canto rischierebbe di doversi esprimere in maniera puntiforme e discrezionale su una mole pazzesca di edifici (quindi ulteriore notevole carico di lavoro), dove le sfumature delle zone e delle tipologie urbane può cambiare davvero nel giro di pochi metri.

Tutto questo potrebbe avvenire a micro-macchia di leopardo, rischiando di creare possibili discrepanze e disparità di trattamento perfino tra edifici fronteggianti.

Dubito che i Comuni siano disposti a prendersi questa ulteriore (bella) responsabilità, visto i rischi connessi a livello tributario coi privati su somme di un certo rilievo. Scommettiamo che si asterranno dall’indicare certe zone nei Certificati di Destinazione Urbanistica?

In definiva, è caldamente consigliato ponderare con molta attenzione il rischio di auto-certificare l’appartenenza dell’edificio nelle Zone A e B, o di farla attestare ai professionisti. In caso di dubbio, meglio optare per le altre detrazioni fiscali possibili.

3) Ai Comuni consiglio caldamente di apportare una variante “leggera” ai propri strumenti urbanistici, in particolare nelle Norme Tecniche Attuative per raccordare le zone col D.M. 1444/68. In questo modo si sgombra il campo dai dubbi e si chiariscono le zone dove applicare il Bonus Facciate.

Chiudo questa riflessione, certo di aver contribuito a chiarire il quadro della situazione.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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