Le due definizioni normative convivono insieme, ma indipendenti l’una dall’altra, almeno in apparenza
Dichiarare questa formula è prassi diffusa nelle compravendite e pratiche edilizie per immobili datati.
Ed essa rappresenta uno dei pilastri del settore immobiliare su cui ho scritto l’omonimo libro, cercando di creare la prima guida in Italia sulla conformità urbanistico edilizia.
Si tratta di un’ espressione talmente radicata nella mente di chiunque si trovi a trattare immobili risalenti, merita di essere sfatata come tutte le credenze nate per cercare una via semplice.
Molti pensano che prima del 1° Settembre 1967, data di entrata in vigore della Legge ponte n. 765/67, tutte le costruzioni allora compiute o iniziate rientrassero in un regime che oggi chiameremmo di “edilizia libera”. In questo modo, si risolverebbe la questione della legittimazione urbanistica di una certa categoria di immobili e opere ormai ultracinquantennali.
Purtroppo le cose non stanno così, ed è per questo che occorre ponderare bene il valore e la veridicità della dichiarazione “Ante ‘67”: essa è resa come dichiarazione sostitutiva di atto notorio per attestare la preesistenza dell’immobile al 1° settembre 1967.
Essa viene resa dal proprietario o avente titolo sull’immobile per diversi motivi:
- Allegarla ad atto notarile di trasferimento tra vivi;
- Resa e incorporata nello stesso tipo di atto di trasferimento;
- Nelle pratiche edilizie ordinarie;
- Nelle sanatorie edilizie;
- Nei condoni edilizi;
- Nelle CTU delle esecuzioni;
- opposizione a ordinanze di demolizione;
- Eccetera;
Detto ciò, il contenuto e forma di quella dichiarazione non sono sufficienti per certificare quella circostanza, e gli enti pubblici possono chiedere ulteriori dettagli in merito, potendola ritenere di valore non sufficiente.
Il Consiglio di Stato ci ricorda nuovamente (come se ce ne fosse ancora bisogno) che tale dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà costituisce un semplice indizio insufficiente a dare dimostrazione dell’epoca d’effettiva realizzazione dei manufatti abusivi (Cons. di Stato n. 302/2020).
Ad esempio non è sufficiente per escludere l’immobile dalla richiesta di titolo edificatorio in sanatoria, e neppure di fronte all’ordinanza di demolizione emessa dal Comune.
Costituisce consolidata giurisprudenza (Cons. di Stato n. 5057/2012) il principio per cui l’onere di provare l’ultimazione dei lavori grava sul richiedente la sanatoria in quanto:
- Il proprietario può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista;
- La P.A. comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono;
Provando a dirlo in altre parole, la dichiarazione di per sé non costituisce prova o elemento probatorio, ma puramente indiziario.
Ed ecco che si rende necessario rafforzare il valore indiziario della dichiarazione con altri documenti o elementi di corredo. Possono essere foto aeree, documenti catastali, atti notarili, contratti di locazione registrati, fotografie con data certa, ecc.
E’ essenziale è che la dichiarazione sia rispondente a verità, e la verità va provata.
Perché il primo a trarne beneficio, è il proprietario stesso.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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