Mancato o ritardato pagamento degli oneri concessori non impedisce il rilascio del titolo abilitativo
L’istituto di annullamento in autotutela deve essere compiuto nel rispetto di certe condizioni essenziali
E’ travisata la credenza che trascorsi 18 mesi dal rilascio di permessi sia “tutto a posto”.
Purtroppo circola molto questa informazione, in molti colleghi professionisti pensano che decorsi diciotto mesi il titolo abilitativo non sia più annullabile.
Al contrario, anche dopo anni si può presentare la situazione in cui il permesso annullabile possa diventare un’amara realtà.
Non è una novità rispetto a quanto già emerso in sede di Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato lo scorso anno (leggi l’articolo).
Diciamo che è stato definito un ulteriore importante tassello con la sentenza CdS n. 5277/2018, relativo cioè all’obbligo di motivare adeguatamente la comparazione tra l’interesse pubblico e quello dell’affidamento nel privato.
In particolare l’interesse pubblico si materializza col corretto e ordinato sviluppo dell’assetto del territorio, mentre quello privato si concretizza nel mantenimento di una situazione, costruzione e trasformazione che lo ha avvantaggiato economicamente e in contrasto con gli interessi pubblici stessi.
Permesso annullabile in autotutela, condizionato a corretta valutazione discrezionale degli interessi
L’adunanza plenaria (sentenza 17 ottobre 2017, n.8) ha chiarito e regolato alcuni principi, cercando di bilanciarli tra loro, in particolare quello sulla teoria della inconsumabilità del potere amministrativo, cioè la perenne potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti illegittimi.
Il principio di valutare in via discrezionale in via comparativa l’interesse pubblico contro quello del privato, è stato sì ridisegnato dalle riforme recenti, tra cui la L. 124/2015.
Tuttavia sono stati lasciati alcuni “bug” che purtroppo sono stati colmati prima dalla Giurisprudenza amministrativa, piuttosto che dal legislatore.
Questa recente sentenza n. 5277/2018 del Consiglio di Stato ha integrato il principio, disponendo che la potestà amministrativa deve dare conto delle sue valutazioni, di natura discrezionale, in maniera adeguatamente motivata. La necessità di motivare il ripristino dell’interesse pubblico violato, rispetto all’affidamento nel privato, è il presupposto e la condizione fondamentale per gli atti di annullamento in autotutela.
In questa nuova linea leggo un corretto atteggiamento di garanzia anche verso il privato, che si vede annullare un titolo amministrativo; restano tuttavia aperti i fronti relativi agli di negligenza, falsità o malafede che possono indurre la PA a rilasciare per errore il permesso di costruire.
Trovo utile riportare un breve estratto della sentenza dove sono indicate le motivazioni.
– questa Sezione, nel fare applicazione di tali principi, ha quindi di recente rilevato che i “presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione” (cfr. sentenza 29 marzo 2018, n. 1991);
– non coglie nel segno altresì quanto dedotto dal Comune appellante – attraverso il richiamo dell’orientamento pretorio secondo cui la ragionevolezza del termine che governa il potere di autotutela va commisurato utilizzando, quale tertium comparationis, il potere regionale di annullamento del permesso di costruire ex art. 39 del d.P.R. n. 380 del 2001, fissato in dieci anni – avuto riguardo all’insegnamento dell’Adunanza plenaria, espresso con la su citata pronuncia, secondo cui è da escludere che tale termine sia suscettibile di applicazione nei casi di autotutela;
– secondo il Collegio in composizione allargata, infatti, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo, è possibile anche “ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo”, ma deve essere adeguatamente motivato “in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale”, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti;
– del resto questa Sezione aveva già rilevato, poco prima dell’intervento dell’A.p., che “il potere ex art. 39, D.P.R. n. 380 del 2001, per come esso vive nell’interpretazione giurisprudenziale amministrativa, non può dirsi assimilabile o riconducibile, in un rapporto di species a genus, a quello di cui all’art. 21-nonies L. n. 241 del 1990, il quale è, per espressa previsione di diritto positivo, sottoposto al principio del bilanciamento dei contrapposti interessi” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4008);
– ebbene non si evince, dal pur complesso quadro motivazionale che connota il provvedimento impugnato in prime cure, una adeguata valutazione del sacrificio imposto al privato derivante dal ritiro degli atti autorizzativi, in quanto, come evidenziato di recente da questo Consiglio, “l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo” (cfr. sentenza sez. VI, 27 gennaio 2017, n. 341);
La questione dell’annullamento in autotutela, per concludere, richiede già da esso ulteriore chiarimento da parte del legislatore, considerato la vitale importanza che richiede.
Al contrario, le recenti pronunce giurisprudenziali sembrano mandare all’aria tutto il lavoro di riforma attuato dalla ex ministro Madia.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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