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soffitto legno centro storico

La normativa igienica sopravvenuta non si applica agli interventi di recupero del patrimonio edilizio (legittimato) esistente ante 1975.

È importante premettere che tutto quanto segue è basato sulla regolarità e legittimità dell’immobile, o della singola unità immobiliare, escludendo da subito tutte quelle situazioni di abusi edilizi mai regolarizzati e soggetto al vigente regime di sanatoria edilizia, con relative conformità. Prima di cominciare, il dossier aggiornato sulle altezze minime interne lo trovi in questo post:

Molti si pongono il problema se sia possibile fare una ristrutturazione all’interno del patrimonio immobiliare datato, o risalente in epoca antecedente al D.M. 5 luglio 1975, quando allora vigevano già le Istruzioni ministeriali del 1896. Il vero (falso) problema riguarda l’intervento all’interno di un appartamento avente altezza interna di 2,50 m, inferiore al minimo di 2,70 m fissato con il Decreto Ministeriale Sanità del 5 luglio 1975:

«art. 1. L’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70 riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli (omissis)».

Tale requisito di altezza minima inderogabile non si applica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente ante 1975, e ciò è stato confermato dalla norma di interpretazione autentica emanata con l’articolo 10 c.2 L. 120/2020 (vedi in seguito).

Una ulteriore conferma è stata disposta dalla sentenza TAR Napoli 1277/2024, che fornisce interpretazione costituzionalmente orientata della norma. Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, infatti, è possibile derogare all’applicazione del principio generale di irretroattività delle fonti normative, sancito dall’articolo 11, comma 1, delle Preleggi, nei limiti del criterio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., ossia senza mai incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti. Le formulate considerazioni conducono dunque a ritenere che la controversa disposizione non può trovare applicazione per gli immobili edificati anteriormente alla sua entrata in vigore, ove costruiti in conformità ai criteri previsti dalla legislazione all’epoca vigente, e, in particolare, alla normativa che fissava i criteri di abitabilità. Si ripete: è sottinteso che tale immobile sia stato realizzato nel rispetto delle norme e titoli abilitativi allora previsti.

Per gli immobili realizzati o trasformati in epoca antecedente al D.M. 5 luglio 1975 sussistevano comunque le norme tecniche sull’abitabilità, in particolare l’art. 63 delle istruzioni ministeriali del 20 giugno 1896 (ora modificato dall’art.1 del D.M. 5-7-1975), a mente del quale :

«L’altezza degli ambienti nei piani terreni dovrà essere di almeno m.4, fra il pavimento ed il limite inferiore del soffitto, e di m.3 almeno per qualunque altro piano abitabile. Per gli ambienti coperti a volta si assumerà come altezza in media tra quella del piano di imposta e quella del culmine allo intradosso. Sarà solo permessa un’altezza minima di m.2,00 pei sottotetti abitabili, misurata, tra il pavimento e il soffitto, sulla parete dal lato dell’impostatura del tetto, se questo sia a falde inclinate. Per le coperture a tetto piano, l’altezza del sottotetto dovrà essere di almeno m.2,50»;

Inoltre, la L. 457/78, all’ articolo 43 comma 6, ha anche chiarito che al recupero edilizio dei fabbricati esistenti non si applica la disposizione di cui alla “lett. B”, comma 2, del medesimo articolo, che, per quanto ne importa, per l’edilizia residenziale e, segnatamente, per “gli ambienti abitativi” ha stabilito altezze interne nette, misurate tra pavimento e soffitto, non inferiori a metri 2,70:

b) altezza netta delle abitazioni e dei loro vani accessori, misurata tra pavimento e soffitto, fatte salve eventuali inferiori altezze previste da vigenti regolamenti edilizi, non superiore a metri 2,70 per gli ambienti abitativi e, per i vani accessori, non inferiore a metri 2,40.

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Le superiori conclusioni sono anche confermate dallo stesso legislatore che con l’art.10, comma II, del D.L. .76/2020 (conv. nella L. 120/2020 ), avente valore di norma interpretativa, ha chiarito che: «Nelle more dell’approvazione del decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 20, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, le disposizioni di cui al decreto del Ministro per la sanità 5 luglio 1975, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 190 del 18 luglio 1975, si interpretano nel senso che i requisiti relativi all’altezza minima e i requisiti igienico-sanitari dei locali di abitazione ivi previsti non si considerano riferiti agli immobili che siano stati realizzati prima della data di entrata in vigore del medesimo decreto e che siano ubicati nelle zone A o B, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili, in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali».

Alla luce di tutti ciò, secondo il TAR Napoli, diviene irrilevante la circostanza che la previsione di cui all’art. 10, comma 2, del D.L. 76/2020 (che esclude l’applicabilità del DM 1975 per gli immobili realizzati in epoca antecedente) è successiva alla richiesta di un permesso di costruire, trattandosi di norma interpretativa, come tale applicabile retroattivamente.

In definitiva si può sintetizzare che la ristrutturazione di immobili risalenti o d’epoca diviene fattibile anche di fronte a immobili che oggi ci appaiono carenti dei più moderni requisiti igienico sanitari; la di norma di interpretazione autentica va a confermare quello che il buon senso faceva trasparire anche prima, perchè diversamente opinando una gran parte del patrimonio edilizio storico sarebbe rimasto inagibile e tagliato fuori da qualsiasi intervento. Tuttavia, a conclusione di tutto, è da riflettere con molta attenzione in quale misura si possa escludere l’applicazione del DM 5 luglio 1975 al patrimonio costruito antecedentemente al medesimo decreto: di fronte a interventi sostanziali, come la ristrutturazione edilizia di “svuotamento” integrale dell’edificio, si possono davvero ignorare i requisiti sanitari sopraggiunti? Forse, e ripeto forse, una possibile deroga da invocare è proprio quell’altezza minima abitativa riducibile con opere a 2,40 metri, introdotta proprio dalla legge n. 105/2024 “Salva Casa”.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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