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Negli interventi sul patrimonio edilizio esistente l’aspetto delle altezze interne emerge continuamente, sintetizziamolo nel vademecum di questo aspetto igienico-sanitario.

Ricevo spesso richieste di consulenze su questo aspetto edilizio frequente e relativo al vasto patrimonio edilizio esistente nei centri urbani.

Occorre premettere che la materia delle altezze interne è di matrice igienico sanitario, ovvero un valore costituzionalmente garantito e non derogabile in quanto materia di prevalente interesse pubblico rispetto all’interesse privatistico. Detto ciò, proviamo a ripercorrere l’evoluzione normativa.

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Le Istruzioni ministeriali del 20 giugno 1896

Ovviamente spunta subito una norma di epoca postunitaria su cui in questa sede omettiamo la critica (le puoi consultarle da qui).
Questo provvedimento a quanto pare ha avuto vigore fino alla sua successiva modifica, avvenuta col seguente provvedimento emesso sempre da un ministero, ovvero il:

Il provvedimento fu pubblicato quando ormai l’ondata della espansione edilizia postbellica stava per attenuarsi, e c’era necessità di uniformare i vari regolamenti edilizi e di “polizia urbana” relativi agli aspetti igienico sanitari.

Con esso furono anche rivisti e qualificati aspetti come superfici minime di vani principale e accessori, rapporti illuminanti minimi, ventilazione e impiantistiche, addirittura menzionando velatamente l’acustica per la prima volta tra i requisiti igienici e di salubrità edilizia.

La norma ovviamente ha avuto valore per gli interventi “rilevanti” e sostanziali effettuati dopo la sua emanazione.

Il decreto ebbe lieve modifica nel 1999 proprio in merito alla parte delle altezze interne.

Focalizzando l’articolo 1 del provvedimento relativo alle altezze interne si evince che, riportiamo per esteso, ammette la deroga agli edifici situati in comunità montane.

Art. 1
L’altezza minima interna utile dei locali adibiti ad abitazione è fissata in m 2,70 riducibili a m 2,40 per i corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti ed i ripostigli.

Nei comuni montani al di sopra dei m 1000 sul livello del mare può essere consentita, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia, una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a m 2,55.

Le altezze minime previste nel primo e secondo comma possono essere derogate entro i limiti già esistenti e documentati per i locali di abitazione di edifici situati in ambito di comunità montane sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico sanitarie quando l’edificio presenti caratteristiche tipologiche specifiche del luogo meritevoli di conservazione ed a condizione che la richiesta di deroga sia accompagnata da un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, comunque, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell’alloggio e dei vani abitabili ovvero la possibilità di una adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d’aria trasversali e dall’impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliaria.
(comma aggiunto dall’articolo 1 del D.m. Sanità 9 giugno 1999)

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Legge 457/78 per l’edilizia residenziale

In seguito fu emanato il provvedimento legislativo all’interno del quale c’è un apposito articolo dedicato alle altezze interne, di cui è bene rileggerne i passi:

Art. 43 comma 2:
Per l’edilizia residenziale, anche non fruente di contributi pubblici, sono consentite:
a) la installazione nelle abitazioni dei servizi igienici e la realizzazione nei fabbricati di scale, in ambienti non direttamente aerati, alle condizioni previste negli articoli 18 e 19 della legge 27 maggio 1975, n. 166;
b) altezze nette degli ambienti abitativi e dei vani accessori delle abitazioni, misurate tra pavimento e soffitto, fatte salve eventuali inferiori altezze previste da vigenti regolamenti edilizi, non inferiori a metri 2,70, per gli ambienti abitativi, e metri 2,40 per i vani accessori.
Le norme previste dal presente articolo prevalgono sulle disposizioni dei regolamenti edilizi vigenti.
L’applicazione delle norme previste dal presente articolo non deve comportare aumenti nelle densità abitative consentite dagli strumenti urbanistici vigenti, ne’ nelle superfici coperte derivanti dagli indici volumetrici di utilizzazione delle aree previste dagli stessi strumenti urbanistici.
L’osservanza delle norme previste dal precedente primo comma e dall’ultimo comma dell’articolo 16, deve risultare esplicitamente nel parere della commissione comunale edilizia e deve essere richiamata nella concessione a costruire rilasciata dal comune ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 
Le disposizioni del presente articolo, ad eccezione di quella contenuta nella lettera a) del secondo comma, non si applicano per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente.

Alcune osservazioni

  • Gerarchia delle fonti:
    quale contenuto e valore prevale tra il DM 15 Luglio 1975 (decreto ministeriale) rispetto alla Legge parlamentare 457/78 emanata dopo il decreto? Ritengo prevalente il contenuto della legge stessa; 
  • Deroghe e applicazioni:
    per il DM del 1975 l’efficacia è obbligatoria in ogni ipotesi salvo interventi di recupero immobili esistenti in aree di comunità montane, mentre per la L. 457/78 l’obbligo di altezze minime interne non si applica per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente specificando inoltre la sua valenza sui regolamenti edilizi allora vigenti;

Se posso esprimere una mia opinione tecnica, ritengo opportunamente applicabile la prevalenza dell’ultimo provvedimento della L. 457/78.

La norma sopraggiunta intendeva  evitare l’impossibilità di effettuare interventi di recupero su un patrimonio edilizio esistente assai diffuso in Italia.

Esso era dettato anche da una ratio di buon senso tecnico, rendendo esplicito l’impossibilità tecnica di effettuare interventi di adeguamento “sostanziale” in ambiti come centri storici, nuclei edilizi storici sparsi e la variegata edilizia rurale che ancora oggi è assai diffusa sul territorio.

Spesso ho ricevuto e risposto a richieste di consulto relativi a ristrutturazione e risanamenti di unità immobiliari situate nei centri storici, e puntualmente mi viene chiesto come comportarsi di fronte a cambi d’uso coi vani alti 2,60 ml: per queste ipotesi ritengo applicabile la non operatività perentoria delle altezze minime.

Un buon senso tecnico, dovrebbe comunque mitigare il mancato rispetto dell’altezza minima con interventi migliorativi e compensativi quali aumento dei rapporti illuminanti ove possibili (sopratutto se parliamo di centri storici o edifici vincolati).

ALTEZZA MINIMA 2,68 ML. CHE FARE ?

Ho ricevuto spesso anche richieste di consulti relativi ai vani abitabili con altezza minima di 2,68 ml e che quindi non sarebbero rispettosi del termine perentorio di 2,70 ml per l’agibilità: proviamo a distinguere come segue.

  • vani legittimati Ante DM 05/07/1975 e L. 457/78:
    in tal caso è possibile effettuare l’intervento senza obbligo di adeguamento dell’altezza minima; 
  • vani edificati post DM e L. 457/78:
    per essi le cose non si mettono bene. Non esistendo neppure un chiaro articolo sulla tolleranza nelle misure di cantiere contemplata dal T.U. dell’edilizia, è molto difficile sostenere la posizione di conformità igienico sanitaria.
    Qualcuno potrà obbiettare richiamando in causa la tolleranza nazionale del 2% prevista dal comma 2-ter all’art. 34 DPR 380/01: in quella fattispecie il termine di “altezza” non è relativo all’altezza interna dei locali, bensì all’altezza di calcolo per i volumi. 
    Infatti quella norma ha una ratio puramente urbanistica, di indici fondiari e superfici coperte, piuttosto che di natura edilizia costruttiva.
    Salvo qualche raro regolamento edilizio che ho potuto visionare, non esistono possibilità di invocare “tolleranze costruttive di cantiere” rispetto alle misure progettuali; in tali casi non saprei cosa consigliare, se non provare a modificare ove possibile le altezze operando sugli intradossi ed estradossi dei solai di calpestio e soffitto; 

Il limite di altezza interna minima per i vani abitabili pari a 2,70 ml è di natura igienico sanitario, ed avendo natura e valore costituzionalmente garantito, mantiene ruolo prioritario di interesse pubblico sovrastante qualunque interesse privato.

Sull’argomento dell’altezze interne ti propongo di:

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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