Convertire ad uso abitativo parti comuni esistenti qualifica aumento di carico urbanistico
Cassazione chiarisce disciplina mutamento destinazione per appartamenti uso ricettivo turistico
Potremmo definire fantasmagorica la sentenza di Cassazione Penale n. 42369/2024, intervenuta per definire la materia dei cambi di destinazione, facendo anche riferimento alla portata liberalizzatrice della legge n. 105/2024 Salva Casa.
La fattispecie ha interessato la trasformazione di un immobile composto da quattro camere da letto, con annessi vani W.C., ampio ingresso, lavanderia, opere edilizie di ordinaria e straordinaria manutenzione in via di completamento, per le quali non risultava rilasciato alcun permesso di costruire, né autorizzazione ai fini della disciplina antisismica. È risultato anche pacifico che l’immobile avesse nel proprio Stato Legittimo una destinazione d’uso residenziale e che, all’esito dei lavori, sarebbe stato invece destinato ad affittacamere.
La destinazione di affittacamere è finalizzata a consentire una funzione ad uso dormitorio e riposo del soggetto o turista, senza prevedere possibilità di uso cucina e quindi consentire il pernottamento prolungato autonomo dell’alloggio; diverso invece è il discorso per gli appartamenti concessi negli affitti brevi.
La Cassazione nel confermare quanto già già rilevato dai giudici di primo e secondo grado, ha stabilito che il passaggio di destinazione da uso abitativo ad affittacamere determina un mutamento rilevante di destinazione d’uso, ai sensi dell’art. 23-ter, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, perché tale disposizione distingue fra destinazione residenziale (lettera a) e destinazione turistico-ricettiva (lettera a-bis), così prevedendo due distinte categorie funzionali. Neanche le recenti modifiche della disposizione (da ultimo il Salva Casa D.L.69/2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 105/2024) hanno inciso su tale previsione, in quanto le categorie urbanisticamente rilevanti sono rimaste invariate.
Inoltre, non è stato ritenuto corretto che la normativa regionale (L.R. Campania 5/2001 artt. 1 e 2) invocata dalla difesa possa operare una deroga a tale regolamentazione, perché la stessa si è limitata a definire, nell’ambito della categoria turistico-ricettiva, le categorie e strutture ricettive extra alberghiere, tra cui gli affittacamere. Né l’espressione “appartamenti” utilizzata dalla legge regionale può essere interpretata come equivalente alla dicitura “immobile destinato ad uso residenziale”, perché gli appartamenti possono avere evidentemente varie destinazioni, come emerge proprio dalla fattispecie, in cui l’eliminazione della cucina, a seguito dei lavori oggetto dell’imputazione, risultava incompatibile con l’iniziale destinazione ad abitazione. Infatti bisogna tenere sempre distinte le discipline regionali in materia turistico-ricettive da quelle urbanistico-edilizie, perchè le stesse terminologie non assumono stesso significato.
Tali conclusioni interpretative hanno correttamente indotto i giudici di Cassazione a ritenere sussistenti entrambi i reati contestati di cambio d’uso rilevante e opere strutturali, essendo la prospettazione difensiva diretta a ricondurre l’immobile in questione a fattispecie classificatorie puramente teoriche e astratte, come quella di “appartamento”, delineate in modo palesemente contrario al dettato normativo. In altri termini, il ricorrente ha richiamato una distinzione strutturale, quella fra albergo, esclusivamente destinato alla ricezione, e appartamento, destinato ora all’abitazione ora alla ricezione, che non trova riscontro nella legislazione di riferimento, la quale è invece ispirata al criterio funzionale della destinazione d’uso.
Cambio d’uso con opere in centro storico, resta soggetto a Permesso
La Cassazione Penale, con medesima sentenza ha confermato il principio secondo cui, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso mediante opere richiede il permesso di costruire per le modifiche che comportano il passaggio di categoria urbanistica dell’immobile e, se il cambio d’uso è eseguito nei centri storici, per quelle all’interno di una medesima categoria omogenea ai sensi dell‘articolo 10 c.1 lettera c) D.P.R. 380/01 (Cass. Pen. n. 11303/2022, n. 26455/2016, n. 39897/2014). In tal senso il Salva Casa non ha inciso sull’aspetto procedurale in certi contesti storici, per il quale ne ha confermato la validità (l’articolo 23-ter T.U.E. è fatto salvo proprio l’articolo 10 c.1); ergo, anche il passaggio da appartamento ad affittacamere.
Cambio destinazione d’uso con opere | Zone Omogenee A e centri storici |
tra categorie rilevanti | Permesso di Costruire o SCIA alternativa |
tra categorie omogenee | Permesso di Costruire o SCIA alternativa |
Infatti nei centri storici o nuclei insediativi storici, classificati in Zone Omogenee A ai sensi del D.M. 1444/68 o ad esse assimilabili da norme regionali o strumento urbanistico comunale, si rimane ancora soggetti al regime procedurale più severo previsto dall’articolo 10 c.1 lettera c) D.P.R. 380/01:
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi degli articoli 136, comma 1, lettere c) e d), e 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria.
Questo principio però va raffrontato alla luce della semplificazione apportata dal Salva Casa, almeno a livello procedurale e di quelle categorie rientranti nei commi 1-ter e 1-quater articolo 23-ter D.P.R. 380/01: esse infatti possono superare molti limiti imposti dai preesistenti piani regolatori, strumenti urbanistici e regolamenti edilizi comunali.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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