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Qualsiasi intervento compiuto su immobili abusivi comporta ripresa dell’attività edilizia abusiva

Il titolo ricorda una canzone di Elio e le Storie Tese, ma rende bene l’idea sul fatto che effettuare interventi edilizi su di un immobile abusivo comporta la reiterazione dell’abuso edilizio.

Un capanno viene costruito abusivamente in epoca posteriore al 1975, e su di esso viene presentata una Denuncia di Inizio Attività per ristrutturazione edilizia nella prima decade del Duemila.

Poco importa che l’intervento preso singolarmente sia del tutto conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, nonché ai regolamenti edilizi locali e strumenti urbanistici comunali.

Quello che importa, quanto meno ai fini della configurazione del reato, è il fatto che un intervento edilizio ancorché pienamente rispettoso di tutte le norme vigenti potrebbe essere classificato come abusivo in quanto l’immobile o il fabbricato ove si interviene non sia dotato di piena legittimazione sotto il profilo urbanistico.

Questo principio è stato anche ribadito dalla Cassazione come vedremo a breve, ma tralasciando per un attimo la questione giuridica, vediamo la cosa da un lato tecnico.

Intervenire su di un immobile comporta la trasformazione dell’organismo edilizio, totale o parziale che sia, e quindi obbliga il professionista a prendere piena consapevolezza di tutta la precedente storia del manufatto.

Se ci pensiamo bene è il metodo operativo applicato nell’ambito del restauro architettonico degli immobili soggetti a vincolo di bene culturale.

Chi ha sostenuto l’esame di restauro nella facoltà di Architettura, o nei corsi di Ingegneria Edile, saprà benissimo cosa significa ricostruire tutti i passaggi di trasformazione edilizi avvenuto nel corso dei secoli, sia attraverso fonti documentali ma soprattutto con indagini applicative sull’immobile.

Qualsiasi intervento effettuato su un immobile realizzato abusivamente integra nuovo reato di abuso edilizio

Da un punto di vista giuridico, per la sentenza di Cassazione Penale VII n. 20766/2017 ribadisce il concetto con una forma più incisiva.

La Suprema Corte ritiene che qualsiasi intervento effettuato su un immobile preesistente realizzato abusivamente (in alcun modo qualificabile come “pertinenza”, sia per la non conformità agli strumenti urbanistici, sia per la sua autonoma fruibilità), ancorché l’abuso non sia stato represso, costituisce ripresa dell’attività criminosa originaria, integrante un nuovo reato edilizio.

Il passaggio importante è proprio lo status di mancato sanzionamento o avvio di azione repressiva, accertamento o similari: non importa se ciò non è avvenuto, oppure se sia decorso un considerevole lasso di tempo.

Si legga bene che non c’è distinzione di tipologia di intervento, è espressamente indicato “qualsiasi intervento”.

Ma non finisce qui: la Cassazione nel proseguire le motivazioni, ribadisce anche che nei casi in cui l’opera abusiva (immobile) perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive, il proprietario non acquista il diritto di ricostruirla o di ristrutturarla o manutenerla senza titolo abilitativo, giacché anche gli interventi di manutenzione ordinaria presuppongono che l’edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente (Cass. Pen. Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016; Sez. 3, n. 40843 del 11/10/2005).

Significa che il titolo a fare qualunque intervento su manufatti esistenti è figlio e pronipote dello stato legittimo degli immobili.

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carlo pagliai

CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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