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Strumento attuativo applicabile sul patrimonio edilizio degradato per la sua conservazione, ricostruzione o sostituzione 

Il tema del Piano di Recupero affiora ufficialmente con la L. 457/78 per affrontare il nuovo problema delle aree dismesse e degradate

Fu allora istituito un nuovo specifico strumento particolareggiato, cioè uno strumento esecutivo, o meglio attuattivo, capace di consentire una migliore pianificazione territoriale e attuativa del territorio comunale.

Il presupposto principale per il Piano di Recupero è l’ambito applicativo di ogni Comune, ovvero le zone in cui, per le condizioni di degrado, si rende necessario il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.

Sono porzioni territoriali, spesso situate all’interno dei centri abitati ma anche in territorio aperto, nelle quali sussiste un complesso edilizio il cui stato prevalente è di degrado, quindi non presuppone la sua totalità.

Non solo: queste zone possono ricomprendere singoli immobili, complessi edilizi, isolati ed aree, nonché edifici da destinare ad attrezzature collettive.

Quindi anche il singolo edificio o fabbricato può essere assoggettato al Piano di Recupero, chiaramente deve ricorrere il presupposto dello stato oggettivo di degrado, sia in termini di funzionalità, condizioni statiche e conservative nel suo insieme.

Le zone sono individuate in sede di formazione dello strumento urbanistico generale (PRG o similari), 

Questo strumento attuativo è quello più attinente alla filosofia di Rigenerazione urbana

Il piano di recupero, avendo natura di strumento urbanistico attuativo, prevede una specifica disciplina per gli interventi sugli immobili, dei complessi edilizi, degli isolati e delle aree, anche attraverso interventi di ristrutturazione urbanistica, individuando le unita’ minime di intervento.

Fatto salvo quanto diversamente disposto dalle norme regionali, la procedura per la sua approvazione è la stessa che si applica per le varianti allo strumento urbanistico comunale, essendo un tipo di piano particolareggiato e appunto, strumento attuativo.

In linea di massima, la proposta di Piano di Recupero deve seguire questi passaggi principali:

  1. proposta di adozione in Consiglio Comunale;
  2. deposito osservazioni entro termini;
  3. assoggettamento o meno alle procedure di valutazione ambientale di rito;
  4. discussione in Consiglio Comunale, con controdeduzioni alle osservazioni;
  5. Pubblicazione su bollettino regionale e approvazione;

Sono diversi i soggetti che possono attuare (e proporre) il Piano di Recupero

Esistono diverse modalità affinché i piani di recupero possano essere attuati, la norma riporta ancora oggi tale elenco:

a) dai proprietari singoli o riuniti in consorzio o dalle cooperative edilizie di cui siano soci, dalle imprese di costruzione o dalle cooperative edilizie cui i proprietari o i soci abbiano conferito il mandato all’esecuzione delle opere, dai condomini o loro consorzi, dai consorzi fra i primi ed i secondi, nonche’ dagli IACP o loro consorzi, da imprese di costruzione o loro associazioni temporanee o consorzi e da cooperative o loro consorzi;

b) dai comuni, direttamente ovvero mediante apposite convenzioni con i soggetti di cui alla lettera a) nei seguenti casi:

1) per gli interventi che essi intendono eseguire direttamente per il recupero del patrimonio edilizio esistente nonché, limitatamente agli interventi di rilevante interesse pubblico, con interventi diretti;

2) per l’adeguamento delle urbanizzazione;

3) per gli interventi da attuare mediante cessione volontaria, espropriazione od occupazione temporanea, previa diffida nei confronti dei proprietari delle unita’ minime di intervento, in caso di inerzia dei medesimi, o in sostituzione dei medesimi nell’ipotesi di interventi assistiti da contributo. La diffida può essere effettuata anche prima della decorrenza del termine di scadenza del programma pluriennale di attuazione nel quale il piano di recupero sia stato eventualmente incluso.

In tutte queste ipotesi, i comuni possono sempre intervenire con ulteriori azioni in grado di supplire ad eventuali forme di inerzia da parte degli interessati, ovvero:

  • previa diffida, possono provvedere alla esecuzione delle opere previste dal piano di recupero, anche mediante occupazione temporanea, con diritto di rivalsa, nei confronti dei proprietari, delle spese sostenute;
  • possono affidare la realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria ai proprietari singoli o riuniti in consorzio che eseguono gli interventi previsti dal piano di recupero;

I Piani di Recupero possono essere di iniziativa privata

I proprietari di immobili e di aree compresi nelle zone di recupero che rappresentano in base all’imponibile catastale almeno i tre quarti del valore degli immobili interessati, possono presentare proposte di piani di recupero. In questo caso nasce il problema in cui vi siano quote di proprietari che non intendano concorrere o partecipare nell’iniziativa.

Se invece  siamo in presenza di immobile soggetto nel regime condominiale, in deroga agli articoli 1120, 1121 e 1136, quinto comma, del codice civile gli interventi di recupero relativi ad un unico immobile composto da più unita’ immobiliari possono essere disposti dalla maggioranza dei condomini che comunque rappresenti almeno la meta’ del valore dell’edificio.

La proposta di piano di recupero avanzata da iniziativa privata e’ adottata con deliberazione del consiglio comunale unitamente alla convenzione contenente previsioni stabilite e concordate a norma di legge, come cessione di aree per urbanizzazione o loro diretta realizzazione, termini di esecuzione del piano e le dovute garanzie. 

Dopo l’adozione consiliare, si ripete la stessa procedura di osservazioni, valutazioni, controdeduzioni e approvazione con pubblicazione.

Il piano di recupero è necessario non solo per i lotti interclusi insistenti in zone urbanizzate, ma anche per le aree già compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata.

Le zone in questione, possono presentarsi già compromesse sotto l’aspetto urbanistico, ambientale e paesistico, e aver bisogno di necessari interventi di riqualificazione ambientale e paesistica (Cons. di Stato V n. 5078/2014).

Infatti, il “piano di recupero” è lo strumento per attuare il riequilibrio nelle aree degradate e non è ipotizzabile che in tali aree, pur compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata, il piano attuativo possa essere eluso con titoli edilizi singoli per costruire, pur attenendo questi ultimi a lotti prospicienti su aree urbanizzate e interclusi (Cons. di Stato V n. 5078/2014).

Il piano di recupero non attiene soltanto al recupero fisico degli edifici, ma rappresenta anche (e soprattutto) un’operazione complessa a scala urbanistica, che deve puntare alla rivitalizzazione di un comprensorio urbano (Cons. di Stato V n. 5078/2014).

Sin dagli anni Novanta anche la giurisprudenza amministrativa afferma che, quando uno strumento urbanistico generale subordina il rilascio di un titolo edilizio alla previa approvazione di uno strumento attuativo, non possono essere effettuate né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale indagini sulla situazione dei luoghi per verificare se l’area sia urbanizzata (Cons. di Stato V n. 5078/2014).

Una tale regola – già desumibile dalla legge n. 1150 del 1942 – è stata espressamente prevista dall’art. 9 del testo unico sull’edilizia.

E’ dunque in palese contrasto con la legge ogni tesi che voglia sottoporre all’esame dell’amministrazione o del giudice amministrativo la verifica della situazione dei luoghi, al fine di escludere la necessità del piano attuativo, previsto dallo strumento urbanistico e che l’art. 9 del testo unico sull’edilizia ha espressamente qualificato come presupposto legale per l’edificazione (Cons. di Stato V n. 5078/2014). 

Il Piano di recupero può essere effettuato anche in zone di completa edificazione

In primo luogo esso mira proprio a far sì che tutte le modifiche della zona individuata si ispirino a criteri omogenei e a una ordinata modifica ed equilibrato sviluppo e assetto del territorio, per migliorare la vivibilità degli abitanti e per evitare uno sviluppo incontrollato senza attenersi alle regole volte al miglioramento dell’area.

L’esistenza di una ‘edificazione disomogenea’ non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona (cfr., da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, 27 aprile 2012, n. 2470).

In secondo luogo, è consentito derogare all’obbligo della previa emanazione dello strumento attuativo soltanto nell’ipotesi in cui un’area complessivamente edificabile sia satura e si tratti “dell’ultimo lotto” integralmente inserito nel tessuto urbano, vale a dire di un’area di dimensioni limitate e totalmente inserita tra altri edifici.

L’esonero dal piano attuativo o da quello di lottizzazione, previsto dal P.R.G. e dalle relative N.T.A., non può avvenire se esposto al rischio della compromissione di valori urbanistici e in cui la pianificazione urbanistica può ancora conseguire l’effetto di correggere e compensare il disordine edificativo in atto ((Cons. di Stato V n. 5078/2014, sez. IV, 15 maggio 2002, n. 2592).

In tali aree, infatti, il piano di recupero si pone a presidio dello sviluppo programmato di aree ancora edificabili nell’ambito di zone degradate e non assolve la sola funzione di recupero edilizio di compendi immobiliari fatiscenti.

Piani di Recupero di edilizia incontrollata legittimati ex post

Il piano di recupero attiene infatti non solo al recupero fisico degli edifici, ma rappresenta, anche e soprattutto, un’operazione complessa a scala urbanistica, che deve puntare alla rivitalizzazione di un nuovo e funzionale comprensorio urbano (cfr., per tutti, Cons. St., V, 14 ottobre 2014 n. 5078, Cons. di Stato IV n. 2897/2016).

Anche l’art. 29 della l. 28 febbraio 1985 n. 47 interviene circa i piani di recupero, limitandosi a prescrivere che gli edifici abusivi oggetto di sanatoria siano inseriti nell’ambito di atti di pianificazione urbanistica, diretti al loro più adeguato inserimento nell’ambito del tessuto urbano (cfr. così Cons. St., VI, 12 gennaio 2011 n. 98), senza così precludere l’allocazione regolata delle eventuali tendenze espansive dell’edificazione.

Lo strumento urbanistico generale non presuppone, inderogabilmente, solo tendenze espansive demografiche ed edilizie.

Al contrario, una moderna e realistica concezione dell’urbanistica appare incentrata sulla necessità di tener conto di tutti i profili interessanti il territorio, dal tasso di antropizzazione, ai dati demografici generali, all’ineludibile bisogno di tutela delle ormai rare zone non edificate, ecc. Gli strumenti urbanistici, quindi, possono (e devono) esser costruiti intorno a linee-guida che esaltino il momento del recupero e della razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente (Cons. di Stato IV n. 2897/2016).

Sennonché, se è legittimo affidare ai piani di recupero anche vocazioni espansive, occorre non solo che queste ultime s’attuino una volta realizzata l’armoniosa saldatura delle zone degradate al tessuto urbano regolato, ma pure che sia mantenuto il predetto equilibrio tra le zone.

In definitiva il preminente scopo dei piani di recupero è consentire una migliore riutilizzazione di un tessuto territoriale esistente ben definito e caratterizzato dal prevalente stato di degrado, nonchè per consentire il raggiungimento di un suo maggior potenziale sul piano ambientale, sociale, economico e di assetto.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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