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Esiste una sola procedura per sanare gli abusi in zone vincolate (e ha pochi margini)

Questa procedura è soprannominata anche sanatoria paesaggistica, ma non è corretto

Essa serve quale presupposto fondamentale, ma non sufficiente, per portare avanti una qualsiasi domanda di sanatoria ordinaria edilizia (e non di condono).

La procedura riguarda una ridotta gamma di interventi abusivi compiuti nelle aree vincolate ai sensi della Parte III del Codice dei Beni Culturali D.Lgs. 42/2004, quindi quelle soggette ai vincoli paesaggistici “per decreto” di Notevole Interesse Pubblico ex art. 136  del Codice, e anche quelle “per legge” ex art. 142 del Codice (i c.d. vincoli “galassini”), e quelle derivanti da piani paesaggistici.

Quindi, non vale per i vincoli derivanti dalla parte II del Codice, ovvero i cosiddetti “beni culturali” di natura storico, etnoantropologico, archeologico, ecc.

L’iter di accertamento di compatibilità fu introdotto postumo al Codice, mediante l’art. 27 del D.Lgs. n. 157 del 24 marzo 2006.

L’art. 167 del Codice al comma 1-ter contempla l’unica procedura che consente all’interessato di presentare una apposita domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica.

Per soggetti interessati si intendono quelli indicati al successivo comma 1-quater ovvero il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi abusivi.

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Poche le ipotesi di intervento edilizio ammesse alla richiesta di valutazione di compatibilità

Le uniche opere per le quali è possibile presentare domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica sono proprio esigue, e attualmente previste dal comma 1-ter dell’art. 167 del Codice:

  • per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
    (In questo caso la tipologia di lavori oggetto di qualifica è interamente sostanziale. Si parla di creazione e aumento, ma non esclude la diminuzione o diversità di sagoma. In sostanza superfici/volumi in aggiunta o ex novo non consentono neppure la presentazione della domanda, pena diniego automatico. Inoltre si parla di superfici utili, senza specificare se siano calpestabili o lorde, senza peraltro riferimento alle più innovative definizioni del Regolamento Edilizio Tipo emanato nel 2016);
  • per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
    (in questo caso la prima condizione necessaria è un titolo autorizzativo già rilasciato dall’autorità procedente alla sua emissione. Chiaramente viene da interrogarsi se i materiali siano riferiti alla sola parte visibile e riguardante gli aspetti esteriori, non afferente invece agli aspetti materici degli interni. In questo caso questa categoria di lavori abusivi ha una duplice matrice legata alla formalità e sostanzialità nei confronti di una autorizzazione paesaggistica rilasciata);
  • per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del DPR 380/01.
    (qui invece il riferimento, per fortuna, è espressamente collegato al Testo Unico per l’edilizia. Rispetto al decennio nel quale fu emanato il Codice, la categoria di intervento della manutenzione straordinaria ha subito molte volte variazioni. Questa ipotesi di lavori si collega quindi tramite un aspetto formale, piuttosto che sostanziale).

A tal proposito occorre sottolineare che la Circolare 33 del 26 giugno 2009 del Segretario Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha specificato e dettagliato i termini indicati dall’art. 167 c. 4, lettera a) del Codice come segue:

  1. per “lavori” si intendono gli interventi su fabbricati legittimamente esistenti, ovvero gli interventi strettamente connessi all’utilizzo di altri immobili ed aree che non comportino modificazioni delle caratteristiche peculiari del paesaggio, purché gli interventi stessi siano conformi ai piani paesaggistici vigenti;
  2. per “superfici utili” si intende qualsiasi superficie utile, qualunque sia la sua destinazione. Sono ammesse le logge e i balconi nonché i portici, collegati al fabbricato, aperti su tre lati contenuti entro il 25% dell’area di sedime del fabbricato stesso;
  3. per “volumi” si intende qualsiasi manufatto costituito da parti chiuse emergente dal terreno o dalla sagoma di un fabbricato preesistente indipendentemente dalla destinazione d’uso del manufatto, ad esclusione dei volumi tecnici.

Lo scopo della procedura è quello di accertare che l’opera impatti o meno sui valori e obiettivi di tutela indicati da provvedimenti di vincolo e piani paesaggistici.

Il risultato finale  non porta al rilascio di un apposito titolo in sanatoria da parte della Soprintendenza o della relativa amministrazione procedente al rilascio di autorizzazioni paesaggistiche.

Piuttosto, il documento che viene rilasciato consiste praticamente in un parere vincolante complessivo che si esprime favorevolmente o meno in merito al rapporto, affinità o contrasto dell’opera abusiva nei confronti dell’area o immobile oggetto di vincolo.

Tra i principali criteri di valutazione adottati su cui esprimere il giudizio di compatibilità paesaggistica si annoverano:

  • analisi delle caratteristiche dell’opera sul piano materico, estetico, architettonico;
  • inserimento e inquadramento dell’opera nel suo contesto territoriale;

Attualmente l’iter è codificato dal comma 5 dell’art. 167 del Codice.

L’interessato presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo.

Per definizione l’autorità procedente è la Regione, che spesso ha delegato ad altri enti locali la specifica funzione di rilascio dell’autorizzazione ordinaria/semplificata paesaggistica, e lo stesso dicasi per la procedura di accertamento di compatibilità paesaggistica.

L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, col parere vincolante della sovrintendenza (paesaggistica) da rendersi entro termine perentorio di 90 giorni; quest’ultimo periodo è ricompreso in quello più ampio indicato per la pronuncia globale.

Il parere della Soprintendenza è vincolante e forma condizione necessaria per consentire il pronunciamento all’autorità competente al rilascio.

In sostanza nella procedura di accertamento si sommano due valutazioni obbligatorie

Oltre a quella della sovrintendenza, si deve aggiungere quella dell’ente procedente (Regioni o Enti locali delegati da regione) suo tramite Commissione Paesaggistica.

Qualora venga accertata la compatibilità paesaggistica, il trasgressore è tenuto al pagamento di una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.

L’importo della sanzione pecuniaria è determinato previa perizia di stima (in genere effettuato dall’ente procedente).

L’accertamento di compatibilità paesaggistica non elide l’obbligo da parte dell’Autorità competente di applicare le sanzioni amministrative previste dall’art. 167 del Codice, pertanto è possibile che l’accertamento di compatibilità paesaggistica sia condizionato all’esecuzione di opere di ripristino ambientale.

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L’iter generale non ammette prescrizioni oppure opere differite quali condizioni per emanare l’accertamento di compatibilità paesaggistica.

Qualora l’autorità amministrativa competente abbia accertato la compatibilità paesaggistica tale accertamento deve essere comunicato all’autorità giudiziaria competente ai fini dell’eventuale estinzione del reato penale in quanto non si applicano le relative sanzioni penali previste dall’art. 181 comma 1 del Codice.

L’accertamento di compatibilità paesaggistica assume efficacia immediata.

In caso di rigetto della domanda si applica la sanzione demolitoria di cui al comma 1 dell’art. 167, ovvero alla rimessa in pristino a proprie spese.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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