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La natura precaria dell’opera edilizia è delineata su base funzionale e non meramente costruttiva

Il testo unico nazionale legifera la realizzazione di manufatti precari introducendo una serie di requisiti

L’articolo 3, comma 1, lett. e.1 del DPR n. 380/2001 definisce quali “interventi di nuova costruzione” richiedono il Permesso di Costruire.

Se leggiamo anche il successivo punto e.5, si capisce quali manufatti precari potrebbero essere qualificati come tali, e soprattutto quelli esclusi dal regime più favorevole, ovvero per “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro oppure come depositi, magazzini e simili e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Il predetto riferimento e.5 contiene un lungo elenco di manufatti precari esclusi dal regime di nuove costruzioni assoggettate al Permesso di Costruire: se ci facciamo caso, per essi esiste un primo requisito necessario, ovvero che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee.

Ciò che rileva, ai fini della configurabilità di manufatto precario è, dunque, la connotazione “funzionale”, intesa come destinazione ad esigenze non temporanee.

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Come si può individuare il criterio di temporaneità per manufatti precari

Per individuare la natura precaria di un’opera, si deve seguire «non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale», per cui un’opera se è realizzata per soddisfare esigenze non temporanee non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie (Cons. di Stato VI n. 1291/2016).

Inoltre il Consiglio di Stato ha più volte affermato che non possono essere considerati manufatti precari destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati ad una utilizzazione perdurante nel tempo, perchè l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4116 del 4 settembre 2015).

Il Consiglio di Stato ha anche affermato che la “precarietà” dell’opera, che esonera dall’obbligo del permesso di costruire, postula un uso specifico e temporalmente limitato del bene e non la sua stagionalità che non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo (Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2841 del 3 giugno 2014).

Destinazione d’uso funzionale temporanea nel tempo

Come secondo aspetto si evidenzia il fatto che questi manufatti precari abbiano una destinazione d’uso” di abitazione, luoghi di lavoro, depositi, magazzini e simili.

In questo senso il dispositivo intende parametrare o legare questo aspetto in funzione del cosiddetto carico urbanistico sul territorio, onde scongiurarne il suo aggravamento.

Manufatti precari in quanto costruzioni leggere

Come terzo punto, la precarietà del manufatto è legata alla sua “leggerezza”, come si legge nella prima parte della definizione normativa.

Si tratta di un termine che è influenzato dalle caratteristiche costruttive. Difficile trovare uno spartiacque di “leggerezza”, non esiste una formula “un tanto al chilo” per separare leggerezza da pesantezza del manufatto.

Caratteristiche strutturali per distinguere la natura di precarietà

Il quarto punto è legato alle caratteristiche strutturali: nella definizione di manufatti leggeri, si legge, che è riferita a “strutture di qualsiasi genere“.

Quindi tale considerazione non esclude l’applicabilità dell’art. 3 del dpr n. 380/2001, atteso che la cd. “precarietà strutturale” non è idonea ad escludere la realizzazione di una “nuova costruzione” (Cons. di Stato VI n. 3035/2016).

Anche da un punto di vista costituzionale è stata analizzata l’inquadramento della natura di questi manufatti precari

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2-6 luglio 2012, ha sancito l’illegittimità costituzionale per la violazione della normativa statale in ordine agli interventi di nuova costruzione, del comma 1 dell’art. 25-bis della L.R. Lazio n. 13 del 2007 secondo cui era consentita, nelle strutture ricettive all’aria aperta, l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili di pernottamento, con relativi preingressi e cucinotti, «anche se collocati permanentemente».

La Corte Costituzionale ha quindi precisato che l’art. 6 del D.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce quali sono gli interventi eseguibili in regime di “edilizia libera” ovvero senza alcun titolo abilitativo (PdC e DIA/SCIA), e tra essi non figurano le installazioni delle strutture sopra menzionate, mentre il successivo art. 10 definisce gli interventi di nuova costruzione tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

La Corte aggiunge ha respinto la tesi regionale secondo cui «le strutture mobili, previste dall’art. 1 della legge regionale impugnata, non determinerebbero alcuna trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono».

Ciò si pone in palese contrasto con la normativa statale e con i principi fondamentali da essa affermati. Infatti, è evidente che, se quell’assunto fosse esatto, cioè se si trattasse “di strutture caratterizzate da precarietà oggettiva, tenuto conto delle tipologie dei materiali utilizzati”, il legislatore statale non avrebbe catalogato in modo espresso tra “gli interventi di nuova costruzione” l’installazione di manufatti leggeri, tra cui le case mobili.

Inoltre, quanto alla precarietà funzionale che contraddistinguerebbe i manufatti, ponendosi come nozione distinta dalla temporaneità delle funzioni cui assolvono, giacché essi sarebbero volti a garantire esigenze meramente temporanee, è sufficiente notare, da un lato, che proprio il dettato della norma censurata smentisce tale precarietà, dal momento che considera l’installazione e il rimessaggio dei mezzi mobili, “anche se collocati permanentemente”, come attività edilizia libera, e perciò non soggetta a titolo abilitativo edilizio; e, dall’altro, che proprio la mancanza del titolo edilizio e di ogni previsione di verifica o di controllo impedisce di riscontrare il presunto carattere precario e temporaneo dell’installazione».

Secondo la Corte, non è possibile giungere ad una conclusione diversa per effetto della norma di cui all’art. 6, comma 6, del T.U. sull’edilizia, che consente alle Regioni a statuto ordinario di poter estendere la disciplina sull’attività edilizia libera ad interventi edilizi ulteriori rispetto a quelli menzionati nel medesimo articolo, poiché tale disposizione si riferisce ad (altri) interventi (atipici) senza che possa essere derogata la disposizione dettata dall’art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001.

La Consulta ha ritenuto dichiarare l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 2, comma 8, secondo periodo, della L.R. Lazio n. 14 del 2011, con cui disponeva che, nelle strutture regolarmente autorizzate all’esercizio ricettivo e ricadenti nei parchi naturali successivamente istituiti, l’installazione, la rimozione e/o lo spostamento di mezzi mobili di pernottamento non costituiscono mutamenti dello stato dei luoghi e pertanto non sono soggetti al preventivo parere degli enti gestori.

Per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, può ritenersi pertanto consentita in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti se sono diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono, mentre l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire.

Anche la Cassazione Penale ha sposato questo indirizzo facendo rientrare nel concetto di manufatti leggeri soggetti a PdC tutti quei manufatti comportanti una trasformazione stabile urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, preordinata a soddisfare esigenze non precarie del committente sotto il profilo funzionale e della destinazione dell’immobile (Cass. Pen. III n. 43839/2016, n. 5624 del 17/11/2011), con la precisazione che la stabilità si estrinseca nell’oggettiva destinazione dell’opera a soddisfare un bisogno non temporaneo.

La nuova formulazione dell’art. 3 comma 1, lett. e5) del d.P.R. 380/01 modificata con la L. 221/2015, pur avendo espunto il requisito dell’ “ancoraggio temporaneo al suolo” del manufatto, non ha ampliato l’ambito delle opere non rientranti nel concetto di “costruzione”, ma ha esplicitato, come avvenuto per le precedenti modifiche ed in coerenza con i principi generali fissati dalla disciplina urbanistica, gli interventi non comportanti una stabile trasformazione del territorio rilevante sotto il profilo urbanistico (Cass. Pen. III n. 43839/2016).

Ovviamente, se l’area interessata è situata in zona soggetto a vincolo, per tali manufatti occorre anche il nulla osta dell’amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

Un caso ricorrente ad esempio sono le pergotende e verande analizzate in un recente articolo, quali manufatti leggeri e/o manufatti precari.

Si trattano di manufatti leggeri aventi funzione e strutture destinate ad una migliore vivibilità dello spazio esterno dell’unità abitativa (terrazzo), è indubitabile che le stesse siano state installate non in via occasionale, ma per soddisfare la suddetta esigenza, la quale non è certamente precaria (Cons. di Stato VI n. 1619/2016).

Le “pergotende” realizzate non si connotano per una temporaneità della loro utilizzazione, ma piuttosto per costituire un elemento di migliore fruizione dello spazio, stabile e duraturo; spesso sono realizzate con strutture ancorate ai muri perimetrali, del terrazzo ed al suolo.

Tali manufatti in questione non sono “precari”, è quindi necessario verificare se gli stessi, in relazione a consistenza, caratteristiche costruttive e funzione, costituiscano o meno un’opera edilizia assoggettata al rilascio preventivo del Permesso di Costruire o meno.

Il combinato disposto degli articoli 3 e 10 del dpr n. 380/2001, assoggetta in primo luogo al permesso di costruire gli “interventi di nuova costruzione”, quelli che realizzano una “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio”.

Va, invero, considerato che l’opera principale non è la struttura in sé, ma la tenda, quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzata ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa; considerata in tale contesto, la struttura in alluminio anodizzato si qualifica in termini di mero elemento accessorio, necessario al sostegno e all’estensione della tenda.

Quest’ultima, poi, integrata alla struttura portante, non vale a configurare una “nuova costruzione”, atteso che essa è in materiale plastico e retrattile, onde non presenta caratteristiche tali da costituire un organismo edilizio rilevante, comportante trasformazione del territorio (Cons. di Stato VI n. 1619/2016).

Quindi la pergotenda, fatti salvi vincoli sovraordinati più gravosi (Beni culturali in primis), non rientra nel regime del Permesso di Costruire.

In sostanza, il regime giuridico dei manufatti precari e delle relative pratiche edilizie non può essere considerato un tutt’uno, piuttosto è necessario valutare ogni volta la presenza dei suddetti requisiti e caratteristiche.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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