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Consiglio di Stato conferma i casi di inapplicabilità delle disposizioni più favorevoli

Quando uscì il decreto-legge n. 69/2024 “Salva Casa”, e la relativa conversione in legge”, in molti pensarono che fosse uscito un condono edilizio globale e con effetti tombali, ma in verità non è andata così. Un ambito di sanatoria implicita e automatica si può rinvenire nell’allargamento delle tolleranze costruttive e tolleranze costruttive, grazie al loro allargamento applicativo avvenuto riformando l’articolo 34-bis del D.P.R. 380/01.

Non ci sono dubbi sul fatto che la sopravvenienza di una norma edilizia più favorevole abbia effetti retroattivi nel regime penale, chiamasi “favor rei”, mentre in ambito amministrativo la questione della retroattività va analizzata con maggior dettaglio, in quanto, secondo il principio fondamentale tempus regit actum, non si può non tener conto dello stato di fatto esistente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato.

Tra l’altro, proprio la norma sulle tolleranze costruttive “allargate” dai commi 1-bis e 2-bis, dell’articolo 34-bis, del DPR 380/01, sembra configurarsi come una norma con effetti retroattivi proprio perchè riferito alle irregolarità compiute anteriormente il 24 maggio 2024.

La fattispecie aveva per oggetto un provvedimento di contestazione per abusi edilizi riguardante un incremento volumetrico di un bagno pari a 4 mq, la cui efficacia è stata confermata dal TAR Campania 2036/2021; tale sentenza è stata appellata per mancato inquadramento nelle tolleranze costruttive del 2%, inserite nel testo unico edilizia con D.L. 76/2020 e perfino allargate con decreto-legge Salva Casa n. 69/2024, chiedendo la valutazione retroattiva di questa norma.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2771/2025 è tornato ad analizzare il regime di retroattività o meno delle disposizioni più favorevoli della legge Salva Casa, ovvero che «le previsioni introdotte dal decreto salva casa non si applicano retroattivamente ai provvedimenti precedentemente impugnati e pertanto non hanno alcuna refluenza sull’esito del presente giudizio. Ebbene, con la medesima pronuncia si è precisato che il Comune ha la possibilità di rivedere le proprie decisioni, rivalutando la domanda originaria alla luce delle novità introdotte dal Decreto Salva Casa».

La parte finale di questa conclusione è stata precedentemente affermata dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 8542/2024, proprio in riferimento alle innovazioni apportate della legge salva casa, ossia che «le modifiche apportate dalla stessa all’immobile per cui è causa rientrano – come da attestazione tecnica prodotta in corso di causa – nel regime delle tolleranze costruttive di cui all’art. 34-bis del d.P.R. n. 380/2001, come recentemente modificato dal decreto legge n. 69/2024 convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024. Tuttavia, va evidenziato che l’attestazione tecnica prodotta, così come le nuove tolleranze costruttive di cui al novellato art. 34 bis del d.P.R. n. 380/2001 (post decreto-legge n. 69/2024) non possono essere prese in esame da questo Collegio poiché la legittimità del provvedimento originariamente impugnato (i.e. diniego del 3 giugno 2021) va valutata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente all’epoca (3 giugno 2021 appunto) della sua adozione quando il decreto legge n. 69/2024 evidentemente ancora non era stato adottato (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, 9 maggio 2024, n. 4168). Ciò, tuttavia, non esclude la possibilità per il Comune di rivedere le proprie determinazioni rivalutando l’originaria istanza della (omissis) s.r.l. alla luce delle novità introdotte dal decreto legge n. 69/2024 convertito con modificazioni nella legge n. 105/2024».

Il ricorso si è concluso confermando la correttezza del provvedimento di contestazione emesso dal Comune, tuttavia secondo quanto affermato dalle due menzionate sentenze del Consiglio di Stato, resta impregiudicata la possibilità per il Comune di annullare in autotutela lo stesso provvedimento di contestazione. Non è uno scenario campato per aria, in quanto lo stesso Comune potrebbe riconoscere l’interesse a non proseguire più l’azione repressiva avviata alla luce del declassamento dell’originario abuso in tolleranza costruttiva. Certamente, di fronte a questa scelta, il vicino (o un soggetto contro-interessato) potrebbe impugnare la decisione di annullamento d’ufficio. Chissà come finirà un simile scenario.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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