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facciata edificio degradato

Molti soggetti che hanno presentato istanza del primo condono credono di poterlo tenere pendente fino a una data da destinarsi, illudendosi di avere una specie di diritto acquisito intaccabile. In verità occorre conoscere una norma con valenza retroattiva anche per le istanze del primo condono presentate decenni or sono, la quale stato esteso l’obbligo di presentare la documentazione completa a seguito di richiesta integrativa dell’Amministrazione. Infatti il comma 7 articolo 49 della L. 449/1997, per accelerare la valutazione delle domande pendenti già presentate ai sensi della L. 47/85, stabilisce:

Le disposizioni di cui al penultimo periodo del comma 4 dell’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, come modificato dal decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, introdotte dall’articolo 2, comma 37, lettera d), della legge 23 dicembre 1996, n. 662, relative alla mancata presentazione dei documenti, si applicano anche alle domande di condono edilizio presentate ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47, per cui non sia maturato il silenzio assenso a causa di carenza di documentazione obbligatoria per legge.

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Al netto di possibili diverse norme derogatorie per motivi speciali, alle predette istanze presentate ai sensi della L. 47/85 si applica quanto già previsto dal penultimo periodo del comma 4 articolo 39 L. 724/94: «La mancata presentazione dei documenti previsti per legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione notificata dal comune comporta l’improcedibilità della domanda e il conseguente diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per carenza di documentazione.»

In questo modo è stato concesso un nuovo e ultimo termine fissato al 1° gennaio 1998, a partire dal quale il Comune può inviare nuovamente una richiesta di integrazioni e, una volta decorsi i novanta giorni, scatta l’improcedibilità della domanda e il diniego della concessione o autorizzazione in sanatoria per le quali non si sia maturato il silenzio assenso a causa di una carenza di documentazione obbligatoria per legge.

Tuttavia non tutto è perduto

Sulla base del quadro normativo e giurisprudenziale sopra esposto, si può ritenere ormai consolidato il principio, condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui l’improcedibilità di una domanda di condono edilizio per carenza documentale può essere dichiarata solo nel caso in cui la Pubblica Amministrazione abbia previamente inviato al soggetto interessato una richiesta esplicita e dettagliata di integrazione della documentazione necessaria, conformemente alla normativa di riferimento (art. 2, comma 37, della L. 662/96, che ha modificato e integrato il comma 4 dell’art. 39 della L. 724/1994). In termini più semplici, se il richiedente o il soggetto avente titolo non adempie nei termini alla richiesta di integrazione relativa a una domanda di condono presentata ai sensi del D.L. 269/2003, la pratica sarà inevitabilmente rigettata, con le conseguenti misure repressive e sanzionatorie. Pertanto, dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 1766/2020 si possono ricavare le seguenti conclusioni:

• il termine di tre mesi per l’integrazione documentale di cui all’art. 39, comma 4, L. n. 724/1994 è stato ritenuto perentorio, sia dalla giurisprudenza della Cassazione penale (cfr. sez. III, 29 maggio 2019, n. 30561; id., 25 novembre 2008, n. 3583; id., 11 luglio 2000, n. 10969) che da quella amministrativa di primo grado (cfr. T.A.R. Firenze, sez. III, 16 gennaio 2014, n. 75; T.A.R. Sardegna, 29 agosto 2003, n. 1043), producendo la sua scadenza l’effetto di rendere improcedibile la domanda di condono;

• la predetta disciplina, introdotta dalla L. n. 662/1996, è stata ritenuta applicabile anche alle domande di condono precedentemente presentate ai sensi della L. n. 47/85 per le quali non fosse maturato il silenzio-assenso a causa della carenza di integrazioni documentali necessarie, come previsto dall’art. 49, comma 7, legge 27 dicembre 1997, n. 449 (cfr. T.A.R. Campania, sez. IV, 25 febbraio 2016, n. 1032);

• l’improcedibilità della domanda deve tuttavia essere oggetto di una statuizione espressa del Comune, con la conseguenza che finché questa non sopravviene la documentazione tardivamente prodotta dall’istante è sempre esaminabile e suscettibile di portare a determinazioni diverse.

Il Consiglio di Stato sostiene questa interpretazione, poiché la normativa non prevede un meccanismo di silenzio-rigetto. Pertanto, sebbene il mancato rispetto dei termini da parte del richiedente nell’integrazione documentale sia rilevante, la concomitante inerzia colpevole del Comune, che non ha adottato i provvedimenti previsti dall’art. 39, comma 4, della L. n. 724/1994, non determina di per sé l’illegittimità del condono rilasciato tardivamente. Tuttavia, in tali circostanze, potrebbe configurarsi una responsabilità omissiva dell’Amministrazione, eventualmente azionabile con altri strumenti giuridici.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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