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foto centro storico empoli

Cambiamenti funzionali, sociali e tecnologici hanno svilito gli insediamenti antichi fino al degrado

Da sempre le città sono luoghi di cambiamento e di trasformazioni sociali, economiche e culturali, ed è impossibile riassumere in poche righe i cambiamenti stratificatisi nel corso del tempo all’interno delle loro parti più antiche, ovvero i cosiddetti centri storici. Queste porzioni di insediamento ne hanno visto di tutto: guerre, pestilenze, carestie, invasioni, violenze e calamità naturali, che ne hanno plasmato lo sviluppo ma anche l’inviluppo. 

La risalenza nel tempo dei centri storici ha normalmente fatto sì che venisse consegnata ciclicamente alla successiva generazione un’area densamente abitata, vissuta anche a livello produttivo, e caratterizzata da una polivalenza a livello funzionale. Gli abitanti, i lavoratori e fruitori di questi centri avevano consolidato specifiche consuetudini, comportamenti e approcci culturali, perfino i dialetti: all’università hanno riassunto tutto ciò nel concetto di “identità socioculturale”, che si rigenerava come le cellule dell’organismo.

Adesso tocca alla nostra generazione: che razza di centri storici stiamo consegnando alla prossima generazione e ai futuri italiani?

I cambiamenti sociali, funzionali e comportamentali sono cresciuti in maniera esponenziale, sospinti anche dalla tecnologia: ad esempio l’invenzione di App per telefonini, per quanto immateriali, hanno contribuito a modificare profondamente l’esigenze e destinazioni d’uso di alcune tipologie immobiliari.

Un tempo nei centri storici si concentravano funzioni miste come residenza, commerciale, uffici e artigianale e, qualora connotate da pregio storico, artistico, si sommavano anche il turistico-ricettivo, presentandosi come biglietto da visita delle città e per l’amministrazione pubblica.

La vita quotidiana scorreva lentamente, coi cittadini che trascorrevano buona parte del tempo in città: le massaie facevano commissioni nelle botteghe, il lavoro avveniva nelle botteghe e negozi. Non c’era bisogno delle auto né dei parcheggi.

Col secondo dopoguerra ebbe inizio una prima accelerazione dei cambiamenti sociali, sospinti da progresso industriale, immigrazione interna nazionale, abbandono delle campagne e inurbamento attorno ai centri storici; nonostante la presa d’atto attestata con la celebre “Carta di Gubbio” del 1960, le politiche urbanistiche e insediative hanno sistematicamente portato a trasferire fuori molti elementi attrattori presenti in centro storico.

Le politiche di sviluppo insediativo hanno prevalentemente costruito una seconda città anulare attorno ai centri storici, drenando con ritmo crescente all’esterno di essi le parti migliori della città a livello di attività e ceti sociali. A titolo esemplificativo:

  • piccoli supermercati inventati negli Anni ’60 sono stati collocati nelle vicinanze, ma fuori dal centro e ingranditi a dismisura in centri commerciali;
  • gli istituti scolastici sono stati trasferiti e accorpati ad altri esterni (complice “l’inverno demografico”);
  • le attività artigianali hanno praticamente chiuso del tutto senza un loro ricambio generazionale, in alcuni casi convertite in negozi e attività commerciali;
  • le attività commerciali si erano storicamente consolidate come negozi di vicinato, assai diversificate per merceologia, e ciascuna di esse dava sostentamento a interi nuclei familiari; esse oltre ad essere diminuite a livello quantitativo, sono divenute sempre più indifferenziate verso alcuni settori oppure sostituite da catene franchising, identiche e noiose da Empoli a Bangkok;
  • mobilità: l’uso perverso dell’automobile, sommato a carenze di infrastrutture pubbliche e parcheggio ha reso sempre meno appetibile vivere nei centri storici, coniando le Z.T.L. come forme di compromesso tra abitanti e fruitori esterni;
  • tecnologia: attività di commercio online e internet, in grado di smaterializzare relazioni e contatti;

Venendo ai giorni nostri, dopo l’anno 2000 si è assistito ad una vera escalation di alterazione, degenerazione e snaturamento dei centri storici, sui quali non c’è bisogno di scomodare alcuna statistica. È sufficiente una passeggiata a qualsiasi ora per rendersi conto dello stadio attuale di cambiamento e di degrado:

  1. Il piano terra del centro storico, cioè quello tipicamente produttivo e commerciale, è entrato in crisi grave quanto difficilmente reversibile, le saracinesche abbassate parlano da sole; salvo pochissime strade del “corso” e quelle di pregio storico artistico, la liberalizzazione delle licenze commerciali ha moltiplicato le attività tipiche delle “Kasbah”, che a loro volta attraggono gruppi sociali ed etnici incongrui, non abituati culturalmente a vivere in questi contesti; un altro fenomeno riguarda l’evoluzione in “mangifici”, cioè destinazioni d’uso finalizzate alla ristorazione, street food e somministrazione bevande: siccome è un settore che si è rivelato promettente in tempi non sospetti, è letteralmente esploso uniformando intere strade, mescolando assieme i più disparati odori e soffritti internazionali. Molte attività commerciali sono state sostituite da franchising , che possiamo trovare replicate praticamente dappertutto, appiattendo le attrazioni commerciali tra i centri storici diversi per renderli indifferenziati e noiosi.
    A tutto questo aggiungiamo l’affermazione incontrastata del commercio elettronico, in grado di rendere non competitivi i normali esercizi commerciali, dal piccolo negozio al grande centro commerciale: l’e-commerce mette in contatto domanda e offerta più velocemente e con maggior convenienza.
  2. La Movida, ovvero il segmento del tempo libero e divertimento in centro storico, sale sempre più alla ribalta delle cronache: come un cocktail, si mescolano cause complesse come alcolismo (piaga già nota in passato), uso e spaccio di droghe e nuove mode. Alcune zone dei centri storici sono divenute invivibili per schiamazzi e disordini pubblici fino a tarda notte.
  3. I piani superiori non se la passano meglio: il costante svuotamento di attività commerciali e servizi ha favorito la spirale di abbandono da parte degli abitanti locali, lasciando il passo a fasce sociali meno abbienti o immigrati interni all’Italia, e infine a extracomunitari di ogni dove. Questa dinamica è tuttora in corso senza adeguato controllo e pianificazione, portando a concentrare oltre ogni soglia di tolleranza gruppi etnici assai diversi, alcuni delle quali incompatibili tra loro; chi osa negare, si faccia un giro a leggere i nominativi dei citofoni, alcuni somigliano perfino a grugniti. Anche il più convinto sostenitore dell’inclusione e dell’Accoglienza potrà notare che in buona parte di questi edifici dei centri storici si sono concentrate famiglie di culture e origini diverse, alimentando situazioni conflittuali e di difficile convivenza: immaginiamo le difficoltà degli amministratori di condominio nel dover gestire casistiche simili.. Chi ha studiato a fondo la storia urbanistica e la storia locale sa benissimo che queste dinamiche non sono nuove: il medioevo italiano è stato caratterizzato da molti rimescolamenti e concentrazioni sociali di ogni tipo, testimoniati anche dai nomi di certe strade, ghetti e borghi. Chiaramente sono da considerare complici di questo degrado anche i proprietari (soprattutto italiani) di questi immobili, che affittano gli appartamenti acquistati per scopi speculativi o ricevuti per successione dal parente vissuto lì una vita intera; a questi si sovrappongono certe società immobiliari, nate col preciso scopo di massimizzare i profitti immobiliari.
  4. Affitti brevi e B&B. La somma di fattori come le App di affitto brevi, del turismo “mordi e fuggi” e un settore locativo soffocato da scarse tutele dei proprietari verso la  morosità ha creato la tempesta perfetta: la conversione di interi comparti insediativi da uso locativo tradizionale ad affitti brevi, incrementando la tensione abitativa nelle città. È molto più conveniente a livello di canoni, meno logorante per il rilascio dell’immobile e più gestibile.
  5. Abusivismo edilizio: le repentine modifiche descritte ai punti precedenti hanno comportato nei centri storici un crescente fenomeno di abusi edilizi “entro sagoma”, frazionamento e modificando la destinazione d’uso senza gli opportuni titoli abilitativi edilizi (oppure coi relativi titoli, apportando varianti o modifiche non autorizzate). Le motivazioni e finalità di questi interventi abusivi sono diverse: ricavare nuove unità immobiliari o ricavarne altre di taglio sempre più piccolo, quest’ultimo maggiormente richiesto e pagato in proporzione. Queste ristrutturazioni abusive portano ad adattare l’immobile sia per massimizzare le rendite delle locazioni brevi, ma anche per affittarlo al mercato locatizio tradizionale, sempre più caratterizzato da immigrati extracomunitari; da una parte le ristrutturazioni sono dettate dalla polverizzazione dei nuclei familiari, sempre più piccoli, e dall’altra dal sovraffollamento abitativo all’interno degli alloggi oltre ogni misura, con elevati rischi di sicurezza e igiene. In questo modo viene ad essere minata anche una minima normale convivenza tra singoli condòmini, aumentando le forme di conflittualità interne al condominio.

Per come stanno attualmente le cose, non ci sono rosee prospettive a breve termine: a meno che il centro storico o le relative parti non siano a vocazione turistica per arte, storia e architettura, il declino è destinato a proseguire perché i fenomeni di degrado sono difficili da contrastare una volta innescati; anche perché, i primi a non voler invertire la tendenza sono una significativa parte dei proprietari immobiliari (italiani). Per i centri a vocazione turistica invece proseguirà ancora la “cannibalizzazione”, considerato che fornisce ancora elevati margini e profitti, e fintanto non si esaurirà anche questa bolla economica, come sono passate tutte le altre.

Ma non perdiamo del tutto la fiducia: la storia urbanistica di lungo periodo ha registrato più volte momenti di rinascita alternati a decrescita; come detto sopra, molti centri e insediamenti storici sono rifioriti più volte dalle proprie rovine: resta da vedere se e in quanto tempo si dovrà attendere un rinascimento, e fino ad allora accettare centri storici, o forse anti-storici.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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