A prescindere dall’entità e tipologia edilizia, le verifiche immobiliari vanno svolte come si deve
Onere probatorio spetta al privato, ma Comune deve scongiurare casi di impossibilità per risalenza
Indice
- Onere probatorio spetta al privato, ma Comune deve scongiurare casi di impossibilità per risalenza
- Onere prova ultimazione opere a carico del cittadino: orientamento attuale
- Tuttavia, la Pubblica Amministrazione non può assumere soltanto una posizione passiva.
- Incertezza e confutabilità delle prove tra PA e cittadino
- Regola probatoria del “più probabile che non”
Nell’ambito delle verifiche di Stato Legittimo, di condoni edilizi e sanatoria edilizia si rende indispensabile dimostrare l’esatta consistenza ed epoca/datazione dei manufatti interessati o loro porzioni. Peraltro, col provvedimento Salva Casa (L. 105/2024) la verifica di Stato Legittimo entro tolleranze è stata affiancata dalle verifiche di regolarità sismica.
Diciamo pure che non tutti gli abusi o preesistenze dei manufatti possono essere datati con certezza: più si va indietro nel tempo, e più che le prove documentali diventano scarse o imprecise. Inoltre è opportuno affermare che sussistono casistiche di silenzio documentale, in cui anche la presenza dei documenti non può essere di aiuto, vedasi gli edifici rurali o in centri storici di epoca risalente.
Detto questo, la verifica di Stato Legittimo richiede una precisa dimostrazione corredata da documenti di valenza probante, come specificato anche dall’articolo 9-bis c.1-bis DPR 380/01, e in particolare occorre dare dimostrazione coi documenti aventi data e provenienza certa elencati in via non esaustiva: riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza.
Sulla ripartizione dell’onere probatorio per epoca e data di preesistenza abuso o parti legittime è necessario chiarire che non sussiste univocità sugli orientamenti: è fuori discussione che spetta al cittadino dimostrare la legittimità dell’immobile ad epoca e zona esonerata dall’ottenimento di titolo abilitativo.
Onere prova ultimazione opere a carico del cittadino: orientamento attuale
E’ acclarato che le semplici dichiarazioni sostitutive di atto notorio o varie forme di testimonianza non sono considerate prove dimostrative la preesistenza o ultimazione opere ad una determinata data: al contrario possono essere considerate soltanto dichiarazioni che attestano una situazione già dimostrata dai documenti probanti.
Sul punto si è consolidato un orientamento giurisprudenziale, di fatto ripreso e trasformato in normativa all’interno dello Stato Legittimo: tale indirizzo trova fondamento nella evidenza che solo il privato può fornire inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione del manufatto (in quanto ordinariamente ne dispone e dunque in applicazione del principio di vicinanza della prova); mentre l’Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all’interno dell’intero suo territorio (ex multis, Cons. di Stato n. 6300/2024, n. 606/2023, n. 903/2019).
Tale orientamento giurisprudenziale si è consolidato inizialmente per accedere al beneficio del condono edilizio, ma poi si è esteso anche alla verifica di necessità del titolo abilitativo per opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi. E il pensiero va subito alla dimostrazione di immobili denominati Ante ’67” e Ante ’42, ovvero realizzati in epoche e zone allora non soggette all’ottenimento di titolo preventivo all’intervento.
La prova deve essere rigorosa e fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, «dovendosi, tra l’altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate» (Cons. di Stato n. 5500/2024, n. 909/2024, n. 2524/2020, n. 1476/2019, n. 4168/2018).
Essendo l’attività edificatoria suscettibile di puntuale documentazione, «i principi di prova oggettivi concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio, quanto nel tempo, si rinvengono nei ruderi, fondamenta, aerofotogrammetrie, mappe catastali, laddove la prova per testimoni è del tutto residuale; data la premessa, da essa discende che la prova dell’epoca di realizzazione si desume da dati oggettivi, che resistono a quelli risultanti dagli estratti catastali ovvero alla prova testimoniale ed è onere del privato, che contesti il dato dell’amministrazione, fornire prova rigorosa della diversa epoca di realizzazione dell’immobile, superando quella fornita dalla parte pubblica. Ne deriva che nelle controversie in materia edilizia la prova testimoniale, soltanto scritta peraltro, è del tutto recessiva a fronte di prove oggettive concernenti la collocazione dei manufatti tanto nello spazio quanto nel tempo» (Cons. di Stato n. 4/2022). Tale principio va considerato definitivamente sorpassato sulle parti in cui risulterebbe ammessa la prova testimoniale in via residuale, perchè la definizione di Stato Legittimo all’interno del Testo Unico Edilizia (avvenuta con D.L. 76/2020) ha definito ammissibili soltanto le prove documentali.
Tuttavia, la Pubblica Amministrazione non può assumere soltanto una posizione passiva.
Al contrario, si sono formati alcuni temperamenti che moderano l’onere probatorio di legittimità e datazione epoca a carico del cittadino, in omaggio al principio di ragionevolezza, proporzionalità e logicità: lo scopo è scongiurare l’imposizione di un onere probatorio impossibile da adempiere avuto riguardo alla risalenza nel tempo dei manufatti (Cons. di Stato n. 7255/2023, n. 606/2023, n. 6360/2018 e 19 n. 5988/2018, n. 3177/2016).
Esiste cioè una sorta di inversione dell’onere di prova verso la Pubblica Amministrazione, soprattutto quando il soggetto interessato ha esibito concreti elementi a sostegno delle proprie affermazioni (Cfr. C.G.A.R.S. n. 1022/2022, n. 642/2019).
Ciò significa che laddove da un lato il privato porti a sostegno della propria tesi sulla realizzazione dell’intervento prima di una certa data elementi rilevanti e non equivoci (aerofotogrammetrie, dichiarazioni sostitutive di edificazione o altre certificazioni attestanti fatti che costituiscono circostanze importanti) e dall’altro il Comune non valuti debitamente tali elementi e fornisca elementi incerti in ordine alla presumibile data della realizzazione del manufatto privo di titolo edilizio (Cons. di Stato n. 2165/2024, n. 9612/2023, n. 7255/2023, n. 454/2020).
Inoltre in materia di repressione degli abusi edilizi grava comunque sulla pubblica amministrazione «l’onere di adeguata istruttoria relativamente all’epoca di edificazione del manufatto ai fini della individuazione del regime giuridico applicabile alla fattispecie concreta, fermo restando, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere della prova (art. 2697 Codice Civile), che è sul privato che afferma una diversa epoca di realizzazione del manufatto che incombe l’onere di provare la risalenza dell’immobile ad epoca anteriore […]» (Cons. di Stato n. 606/2023, n. 3840/2017).
Pertanto, qualora la parte onerata abbia fornito sufficienti elementi probatori a sostegno delle proprie deduzioni, via via qualificati come «non implausibili» (cfr. Cons. di Stato n. 996/2022), ovvero «dotati di alto grado di plausibilità» (v. Cons. di Stato n. 4833/2020), pure ove non sia raggiunta la certezza processuale sulla datazione delle opere in contestazione, spetta alla parte pubblica fornire elementi di prova contraria – idonei a supportare il proprio assunto, alla base dell’impugnato ordine demolitorio, in ordine all’abusività delle opere sanzionate – in mancanza dei quali il provvedimento ripristinatorio deve essere annullato per difetto di istruttoria (risultando carente un adeguato accertamento del presupposto provvedimentale, dato dalla necessità del previo titolo abilitativo a legittimazione dell’intervento edilizio sanzionato).
Incertezza e confutabilità delle prove tra PA e cittadino
In questo quadro generale occorre distinguere due ipotesi in cui il privato abbia prodotto elementi:
- probatori che consentano di escludere con certezza l’abusività delle opere;
- rilevanti ai fini del decidere, idonei a rendere verosimili le proprie allegazioni, ma tali da non consentire la sicura datazione del manufatto privo di titolo edilizio.
Ecco perchè la valutazione dello Stato Legittimo, attraverso tutti gli elementi probanti la consistenza e datazione, richiede una valutazione complessiva e di insieme.
Nell’ipotesi di prove rilevanti e affidabili, non sufficienti, ove l’Amministrazione abbia omesso di valutare adeguatamente in sede amministrativa gli elementi forniti, astenendosi dall’illustrare le ragioni della loro inconferenza, ovvero confutandoli, è comunque riscontrabile un difetto di istruttoria inficiante l’azione amministrativa, essendo l’agire pubblico motivato sulla ravvisata abusività delle opere, nonostante l’esistenza di un serio e apprezzabile dubbio (posto dagli elementi forniti dal privato e non adeguatamente confutati) sulla datazione del manufatto (Cons. di Stato n. 3807/2022 ove si parla di «reali margini di dubbio»). La forma di tutela dell’annullamento per difetto di istruttoria risulta somministrabile anche «innanzi alla doverosa e vincolata repressione degli abusi edilizi», proprio qualora emerga un’oggettiva difficoltà di stabilire con «assoluta certezza» il tempo di realizzazione di opere edilizie abusive o risalenti nel tempo (Cons. di Stato n. 2027/2020).
Per esempio, un caso ricorrente è la costruzione preesistente al 1° settembre 1967 al margine della zona allora urbanizzata, senza che il Comune avesse perimetrato chiaramente i centri abitati e le zone di espansione.
Oppure la preesistenza di edifici rurali “ante ’67” per i quali l’unica fonte dimostrativa della loro consistenza effettiva sia una foto aerea scattata nel 1968, mentre risulta inesistente nella foto del 1955: che vogliamo fare, demolire mezza l’Italia?
Regola probatoria del “più probabile che non”
Degna di nota la presa di posizione del C.G.A.R.S. con sentenza n. 654/2024, che in materia di dimostrazione regolarità per manufatto edilizia ha ricordato la regola probatoria del “più probabile che non”.
In questa fattispecie gli elementi forniti (assenza in foto aerea 1955, presenza in foto 1968 e in atto notarile di divisione del 1974) non sono risultati idonei a dimostrare con certezza la datazione esatta e inconfutabile del manufatto edilizio.
Tuttavia il C.G.A.R.S. ha ritenuto che i suddetti documenti costituiscono chiari principi di prova, almeno in ordine al fatto che – secondo la regola probatoria del “più probabile che non” – risulta più probabile che il manufatto edilizio in questione fosse stato realizzato nel lasso di tempo ultradecennale dal 1955 al 1967, piuttosto che nel periodo biennale 1967-1968; ovvero, per dirla in altri termini, risultando comprovata in modo certo (mediante aerofotogrammetria) l’esistenza dell’immobile al 1968, in ciò è insito altresì un principio di prova (secondo l’id quod plerumque accidit; o, come oggi è in voga dire, secondo il parametro del più probabile che non) di preesistenza dell’immobile anche al 1967, a fronte del quale deve considerarsi ribaltato sul Comune di Alcamo l’onere probatorio (altrimenti gravante sul proprietario) di dimostrare il contrario.
Questa configurazione dei fatti, assai frequente, è stata ritenuta sufficiente per invertire l’onere di prova a carico del Comune, diventando onerato a dimostrare l’inesistenza del fabbricato ad una data prossima e dirimente al caso (cioè dopo il 1° settembre 1967).
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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