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Proseguire lavori edilizi su manufatti realizzati abusivamente comporta una condotta illecita a prescindere dalla loro entità (Cass. Pen. 2023).

La Cassazione Penale è tornata nuovamente sul tema delle opere effettuate su immobili abusivi, cioè quelli realizzati abusivamente, con sentenza n. 44650/2023. In questa ampia categoria trovano spazio non solo gli immobili costruiti in assenza di permesso di costruire, ma anche quelli che affetti da illeciti edilizi con rilevanza penale, come quelli in totale difformità dal P.d.C. o con variazioni essenziali, e infine tutte le opere che risultano in contrasto alla disciplina urbanistico edilizia, strumenti urbanistici e regolamenti edilizi di vario livello.

Fatta questa premessa, vediamo di analizzare il consolidato principio di reiterazione di abuso edilizio per gli interventi effettuati su tali immobili, come ad esempio anche quelli su cui sono pendenti richieste di condono edilizio o sanatoria edilizia. Si parla di abuso nell’abuso, usando una parafrasi, ma esiste anche una corrente interpretativa che ammette soltanto i minimi interventi conservativi per mantenerne l’integrità.

Tuttavia in materia di condono edilizio pendente (e analogamente per sanatoria edilizia pendente), la giurisprudenza penale si è orientata a inibire l’esecuzione di opere, modifiche e aggiunte in pendenza delle istanze.

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Il tema è divenuto ancora più caldo, in quanto l’esecuzione di opere edilizie minori su immobili abusivi è saltato fuori anche per interventi manutentivi sottoposti a CILA, e per quelli di Superbonus soggetti a CILAS.

La prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza, infatti, una nuova condotta illecita, a prescindere dall’entità dei lavori eseguiti, e ciò anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine di prescrizione (penale), in quanto i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di abusività dell’opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (Cass. Pen. n. 44650/2023, n. 26367/2014) secondo cui in tema di reati edilizi, in relazione ai lavori eseguiti sui manufatti originariamente abusivi e irregolarmente sanati o condonati sono configurabili le fattispecie di illecito penale previste dall’art. 44 del d.P.R. n. 380/2001, anche quando per le condotte relative alla iniziale illegittimità dall’opera principale alla quale strutturalmente ineriscono (vedi anche Cass. Pen. n. 41079/2011, n. 30673/2021, n. 2231/2021).

In questi casi anche a voler distinguere le opere aggiuntive rispetto alla precedente configurazione dell’immobile, l’emanazione dell’ordinanza di demolizione non trova ostacoli: l’immobile mantiene ed evolve complessivamente il suo carattere di abusività, e l’ordinanza colpisce il tutto senza dover fare distinzioni o esclusioni.

Sul punto va richiamata sempre la giurisprudenza di Cassazione Penale: l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino del manufatto abusivo, emessa ai sensi dell’articolo 31 T.U.E. riguarda l’edificio/manufatto nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all’esercizio dell’azione penale e/o alla condanna, atteso che l’obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi (restituzione allo stato originariamente legittimato), e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari, nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell’originaria costruzione (Cass. Pen. n. 44650/2023. n. 21797/2011).

Il fatto che qualsiasi intervento effettuato su un immobile preesistente realizzato abusivamente, ancorché l’abuso non sia stato represso oppure sia intervenuta la prescrizione dal punto di vista penale, costituisce ripresa dell’attività criminosa originaria, integrante un nuovo reato edilizio.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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