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Il tempo intercorso tra la domanda di condono e il comportamento inerte del Comune non legittima l’abuso edilizio

Se siete tra quelli che stanno ancora aspettando da decenni la conclusione di una domanda di condono edilizio, sappiate che il tempo non è dalla vostra parte; e il discorso vale anche per quelle in cui sono state depositate le relative integrazioni richieste dal Comune, idem per il silenzio assenso.

Ci sono ancora moltissime istanze di condono pendenti, cioè in attesa di definizione, positiva o negativa che sia. Non ho idea come siano articolate circa la normativa di riferimento (legge n. 47/85, 724/94 e 326/03), la loro tipologia di abuso e la rilevanza verso altre norme speciali (paesaggistica, sismica).

Il vero problema però rimane lì: per vari motivi restano inevase e chiuse ad ammuffire negli scaffali, in attesa che i soggetti interessati si facciano avanti per concludere l’iter; oppure c’è una consapevole volontà della P.A. e dei richiedenti a lasciarle ferme, in attesa di un altro provvedimento normativo a causa della incondonabilità.

Comunque sia, il notevole lasso di tempo trascorso sia dal compimento dell’abuso edilizio, oppure dal deposito dell’istanza di condono non fornisce alcun legittimo affidamento, neppure in caso di notevole ritardo imputabile all’Amministrazione comunale verso le domande. Analizziamo i dettagli.

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Tempo trascorso non conferisce nessun affidamento

Il soggetto richiedente il condono in attesa da decenni non spetta alcun “diritto acquisito” a mantenere l’abuso edilizio o a vederlo regolarizzato implicitamente.

E’ proprio la natura di illecito permanente che esclude l’abuso edilizio da qualsiasi regime di favore verso la sua “legalizzazione col tempo”: non è concesso connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione competente la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, o di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, caducando ogni ipotesi di sanatoria automatica.

Che ci si creda o no, il consolidato orientamento giurisprudenziale afferma che il lungo lasso di tempo trascorso dal momento della presentazione della domanda di condono, non rende invocabile alcun legittimo affidamento, neanche nel caso di notevoli ritardi dell’Amministrazione nel provvedere su eventuali istanze di sanatoria o condono degli abusi realizzati. (TAR Catania n. 2532/2023, Cons. di Stato n. 1552/2021, n. 1925/2020).

Infatti, la mera inerzia, anche prolungata, da parte dell’Amministrazione, nell’esercizio dei propri poteri di controllo del territorio, non è idonea a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo, con la conseguenza che il trascorrere del tempo non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’opera abusiva sulla regolarizzazione di fatto di quest’ultima (cfr., anche di recente, Cons. Stato Sez. II, 18/03/2020, n. 1925 e, in termini analoghi, Cons. Stato Sez. VI, 22/02/2021, n. 1552 e Cons. giust. amm. Sicilia, 22/02/2021, n. 135).

L’ordinamento può tutelare l’affidamento solo quando sia incolpevole, al contrario, la realizzazione e il consapevole mantenimento di un’opera abusiva concretizzano una volontaria attività del privato “contra legem”.

La questione non è neppure semplice con l’istituto del silenzio assenso, commentata nel prossimo paragrafo o in precedenti articoli.

Silenzio assenso condizionato (rarissimo) nel Condono

Nelle stesse norme dei tre condoni edilizi esiste tuttavia una risicata possibilità di chiudere con esito positivo l’istanza di condono grazie al silenzio dell’amministrazione.

Ci tengo a ricordare che l’istituto del silenzio assenso è da considerare puramente “virtuale”, e mi riferisco a quelle poche casistiche in cui il silenzio della Pubblica Amministrazione assume un significato equivalente al rilascio espresso del titolo abilitativo richiesto. Personalmente consiglio di fare finta che non esiste e addivenire al rilascio della concessione in sanatoria, a costo di attendere mesi.

Nell’ambito del Primo Condono Edilizio 1985 il silenzio assenso è espressamente previsto nel procedimento amministrativo disciplinato dall’articolo 35 L. 47/85; si ricorda che la disciplina del silenzio-assenso sulla domanda di condono è stata integrata con maggior severità con l’articolo 39 comma 4 Legge 724/1994 (in occasione del Secondo Condono edilizio).

La giurisprudenza ha confermato più volte che il silenzio assenso si possa formare soltanto in presenza di tutti i presupposti da essa indicati e, in particolare, in presenza di una documentazione completa degli elementi richiesti dall’articolo riportato (Cons. di Stato n. 3676/2023).

Inoltre se l’istanza di condono edilizio è basata su falsi presupposti o infedele, il silenzio assenso non è operante a prescindere. Se poi l’immobile oggetto di condono è sottoposto a qualche vincolo, ad esempio quello paesaggistico, la formazione del silenzio assenso è condizionata all’acquisizione del parere favorevole dall’autorità preposta a tutelare il vincolo.

In altre parole, non confiderei neanche nell’istituto del silenzio assenso anche nei casi di notevole lasso temporale trascorso: esiste infatti la possibilità che possa rilevarsi non fondato e privo di tutti i presupposti formali, sostanziali e di completezza.

Conclusioni e consigli

Chiudete i condoni edilizi e anche alla svelta, per due ottime ragioni: la prima è quella di ottenere quanto prima un provvedimento rilasciato dal Comune e di riportare nella piena legalità il vostro immobile dopo decenni di attesa. Non mi pare una cosa da poco, pensate alla possibile compravendita.

La seconda riguarda l’arrivo di nuove norme, pronunce giurisprudenziali o peggio ancora di vincoli in grado di limitare o perfino bocciare la domanda di condono giacente da decenni: non sarebbe una ipotesi da sottovalutare.

Ricordate che la domanda di condono è appunto una domanda, non una forma di diritto sanatorio acquisito.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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