Le due definizioni normative convivono insieme, ma indipendenti l’una dall’altra, almeno in apparenza
Spesso i criteri di regolarità catastale ed edilizia vengono confusi o scambiati tra loro. Meglio chiarire le definizioni utili in materia contrattuale immobiliare.
Prima di entrare nel merito dell’articolo preme chiarire due importanti definizioni.
- CONFORMITA’ CATASTALE:
si tratta della corrispondenza tra lo stato di fatto dell’unità immobiliare ed i relativi dati catastali nonchè della corrispondente planimetria. Il Catasto (ex Agenzia del Territorio oggi confluito nell’Ag. delle Entrate) dipende dal Ministero delle Finanze, e ricopre una funzione fiscale e non urbanistica. Non ha neppure funzione probatoria, ovvero non fornisce dati certi relativi alla intestazione della proprietà e tanto meno sulla legittimazione urbanistica degli immobili. Paradossalmente possono esistere immobile abusivi ma accatastati; - CONFORMITA’ URBANISTICA:
è la corrispondenza tra lo stato di fatto dell’immobile e l’insieme dei titoli edilizi abilitativi rilasciati in tutta la storia costruttiva dell’edificio, sia come complesso planivolumetrico sia per le singole unità immobiliari (Stato Legittimo art. 9-bis comma 1-bis). Questo aspetto di regolarità è quello rilevante e deve essere verificato prima di ogni intervento edilizio e prima della cessione immobiliare, anzi, meglio ancora prima di incaricare agenzie immobiliari o di pubblicizzarlo con inserzioni;
Quest’ultimo passaggio serve a riscontrare la presenza o meno di abusi o difformità che potrebbero rendere nulli gli atti notarili, aprire la strada a possibili contenziosi o diventare pretesto soprattutto per il promittente acquirente per deprezzare il valore e chiedere riduzioni consistenti.
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CONFORMITA’ URBANISTICA NEI ROGITI NOTARILI
Dal Luglio 2010 è divenuto obbligatorio rispettare il criterio della conformità catastale negli atti di trasferimenti immobiliare, mentre per la materia urbanistica la sua regolarità non è imposta in maniera espressa.
Ai fini di trasferimento immobiliare occorre citare negli atti le seguenti tipologie d’intervento edilizie effettuati:
- i titoli abilitativi con cui è stato realizzato l’immobile menzionando licenze, concessioni o permessi di costruire;
- se l’immobile è stato costruito Ante ’67 ovvero prima del 1 Settembre 1967, è lecito omettere la citazione dei suddetti titoli, quale semplificazione concessa dal Legislatore rivolta soprattutto al vasto patrimonio edilizio storico di cui potrebbe essere difficoltoso rintracciare progetti e titoli edilizi negli archivi comunali;
- in presenza di intervenute trasformazioni rilevanti dell’immobile occorre indicarne nel rogito i rispettivi titoli autorizzativi/abilitanti con cui sono stati effettuati (ad esempio demolizioni e ricostruzioni, frazionamenti, ristrutturazioni “pesanti”, ampliamenti, sopraelevazioni, ecc);
- in presenza di abusi edilizi sanati in passato con un condono edilizio/sanatoria occorre menzionare nell’atto l’avvenuto rilascio dei rispettivi titoli in sanatoria;
- nel caso di modifiche e interventi minori non è espressamente obbligatorio menzionarli, tuttavia è caldamente consigliato per evitare possibili conseguenze sul piano civilistico tra venditore e compratore; ad esempio il caso riguarda le parziali difformità, che secondo una sentenza di Cassazione non rendono formalmente nullo l’atto notarile restando fermi il diritto al risarcimento del danno e alla risoluzione di parte.
Da un punto di vista cronologico le poche norme in materia hanno timidamente articolato la questione dell’obbligo di citare gli estremi delle pratiche secondo alcune soglie temporali.
In particolare le norme operano una netta distinzione per le opere/edifici realizzati:
- Ante 1° Settembre 1967; L. 47/85 articolo 40, ancora vigente;
- Dal 1° Settembre 1967 e al 17 Marzo 1985; ex art. 17 L. 47/85 abrogato;
- Post 17 Marzo 1985; L. 47/85 articolo 40, ancora vigente;
Questa suddivisione deriva dall’analisi incrociata delle suddette norme riportate.
EDIFICI E OPERE ANTE 1° SETTEMBRE 1967
Per le opere e costruzioni iniziate anteriormente al 1° settembre 1967 vi è facoltà di ometterne menzione dei titoli abilitativi, ma non esclude per essi l’ipotesi di nullità del trasferimento immobiliare in caso di mancata citazione degli atti abilitativi della costruzione o sue parti.
Prima osservazione:
la norma si riferisce all’inizio delle opere, e non alla loro ultimazione; l’esempio potrebbe essere un edificio con licenza del 1966 e completato con varianti successive nel 1968. Da una applicazione letterale di essa verrebbe da pensare che si debba escludere la citazione di immobili iniziati prima del 1966, sottacendo sull’aspetto dell’ultimazione; in questi casi è comunque caldamente consigliato citarne gli estremi a prescindere.
Comunque, se l’immobile è stato iniziato prima del 01/09/1967 è possibile evitare la menzione del titolo abilitativo attraverso un’apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da inserire nel rogito sotto diretta responsabilità del venditore; nulla vieta che tale dichiarazione possa essere asseverata da eventuale professionista tecnico incaricato a supportare la rogazione.
Seconda osservazione:
la nullità formale degli atti di trasferimento vale anche per gli edifici “ante ’67”, tenuto conto che l’art. 40 della L. 47/85 estende anche ad essi la possibile nullità in caso di omissione degli estremi degli atti abilitativi; a maggior ragione, proprio in presenza di edifici storicizzato la cui legittimazione urbanistica potrebbe essere poco chiara o peggio ancora illegittima, occorre prestare maggiore attenzione per sgombrare il rischio di nullità formale del trasferimento.
La nullità di un atto non è soggetta a prescrizione o decadenza, e rende l’atto “come se non fosse mai stato fatto”, con conseguenze ultradecennali.
Probabilmente sarò controcorrente e controintuitivo, ma non trovo congruente la consolidata prassi autogiustificata da alcuni colleghi che spesso affermano che «un immobile realizzato prima del 01/09/1967 sia comunque commerciabile anche in assenza di conformità o legittimazione urbanistica.»
Occorre inoltre stare attenti a non equivocare la legittimità urbanistica con la commerciabilità: infatti il criterio di conformità urbanistica emerge solo riscontrando l’insieme dei titoli edilizi rilasciati per l’immobile e il relativo stato dei luoghi realizzato.
Occorre infatti ribadire che l’impianto normativo urbanistico in Italia ha la sua pietra miliare, o anno zero, al 1942 in sede di approvazione della Legge Fondamentale n. 1150/1942.
Con essa fu prescritto l’obbligo di licenza edilizia nei centri abitati et, nelle zone di espansione dei PRG, sottacendo il restante territorio.
Al di là delle eventuali più restrittive previsioni di PRG, Programmi di Fabbricazione e/o Regolamenti Edilizi (attenzione a quest’ultimi che possono dare sorprese), dal 1942 al 1967 (emanazione della L. 765/1967 “Ponte”) fuori dai centri abitati e zone di espansione non vi era obbligo di licenza edilizia (fatto salvo la parte vincolistica sovraordinata, Es. Paesaggistica o Beni culturali).
La commerciabilità di immobili ante ’67 per i quali il venditore omette le verifiche urbanistiche avvalendosi dell’autodichiarazione sostitutiva espone venditore e compratore a possibili rischi di nullità (e non di annullabilità) e relative conseguenze sul piano sanzionatorio dell’edificio, sempre ove sia possibile sanarlo.
Non dimentichiamo che in Italia vige il criterio della doppia conformità all’epoca dell’abuso e al momento dell’istanza di sanatoria.
Per atti di trasferimento aventi per oggetto immobili iniziati in questo periodo si ripete praticamente quanto detto per gli immobili ‘Ante 67 trattato nel precedente paragrafo.
La differenza sostanziale è che per questi immobili non è consentita in nessuna ipotesi la mancata menzione degli atti abilitativi in luogo della famigerata autodichiarazione di parte del venditore, e per essa vige l’ancora vigente articolo 40 della L. 47/85.
Rispetto a quanto statuito nell’art. 46 comma 2 del DPR 380/01, riguardante gli immobili post 1985 di cui al punto successivo, per gli immobili del periodo 1967-1985 (e anche quelli Ante ’67) non è contemplato l’adempimento di allegare il saldo della sanzione pecuniaria per i casi di cui all’art. 38 (permessi di costruire annullati).
EDIFICI REALIZZATI DOPO IL 17 MARZO 1985
Per questa tipologia di immobili, fino all’emanazione del DPR 380/2001, si faceva riferimento all’art. 17 della L. 47/85, abrogato poi dallo stesso T.U.E.
Esso disponeva l’obbligo di citare gli estremi delle concessioni edilizie ordinarie e in sanatoria negli atti tra vivi relativi ad edifici la cui costruzione sia iniziata dopo l’entrata in vigore della L. 47/85 ovvero dal 17 marzo 1985.
Nella originaria forma della L. 47/85 dell’art. 17 comma 2, gli atti erano consentiti anche per gli immobili con abusi edilizi non legittimati da titoli in sanatoria ma per i quali la permanenza in situ era sanzionata per mancata demolizione, e il pensiero va subito alle difformità non doppiamente conformi la cui rimozione pregiudica la parte legittimata; questo corrispondente comma che troviamo travasato al comma 2 dell’art. 46 DPR 380/01 sembra abbia valenza solo per quanto statuito dall’art. 38 relativo ai PdC annullati.
Per questa tipologia di immobili, fino all’emanazione del DPR 380/2001, si faceva riferimento all’art. 17 della L. 47/85, abrogato poi dallo stesso T.U.E.
Altra osservazione da fare: il titolo dell’articolo riporta la dicitura “Nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985“, mentre nel contenuto del comma 1 risulta riferito agli immobili in generale omettendo l’aggettivo “abusiva” che contraddittoriamente appare nel titolo.
Dimenticanza o scelta?
Non è dato saperlo; in questi casi prevale il contenuto e quindi l’estensione applicativa a tutti gli edifici, abusivi e legittimi nel loro insieme.
Quindi, per tutti gli immobili la cui costruzione sia stata iniziata dopo il 17 marzo 1985, gli atti di trasferimento immobiliare non possono essere stipulati senza menzionare gli estremi del permesso di costruire e permesso di costruire in sanatoria; ovviamente è da intendersi equipollente il titolo di concessione edilizia rilasciato tra il 1985 e 2001, anno in cui tale titolo viene rinominato Permesso di Costruire dal T.U.E.
Sempre per gli edifici costruiti dopo il 17/03/1985, a partire dall’entrata in vigore del D. Lgs. 301/2002 è stato esteso l’obbligo di citare gli estremi a pena di nullità anche alle DIA, poi alle SCIA in base alle modifiche apportate dalla Legge 133/2014 “Sblocca Italia”.
Conclusioni e consigli
L’aspetto potrebbe diventare critico anche nelle situazioni in cui vi sia stata la sola stipula di compromesso, in seguito al quale il promissario venditore e/o acquirente viene a conoscenza delle difformità sulla base delle risultanze emergenti dalle indagini urbanistiche, spesso effettuate su pura base volontaria o consuetudinaria delle parti.
Il consiglio che mi sento di esprimere è quello di operare in regime di “best practice” secondo un buon senso e non solo per obbligo minimale imposto dalla norma.
Quindi si consiglia quanto al venditore quanto al compratore, e comunque a tutti i soggetti interessati dal trasferimento tra vivi di un immobile, di far svolgere, prima di qualunque forma di messa in vendita, le verifiche di regolarità e conformità urbanistica da un professionista abilitato esperto in materia, nonchè anche della verifica per l’aspetto giuridico della titolarità.
Tutti i diritti sono riservati – all rights reserved
CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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