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Tracciamo un bilancio sul regime edilizio di semplificato asseverato da Tecnici

scritto con Avv. Fabio Squassoni.

Ogni tanto bisogna togliersi qualche sassolino dalla scarpa, oppure meglio dire un calcinaccio ruvido: sicuri che certe semplificazioni amministrative abbiano prodotto più vantaggi che svantaggi? In termini ancora più cinici, in quale misura percentuale possiamo stimare perfettamente depositate le pratiche edilizie asseverate ed escluse dal rilascio di provvedimento espresso dal Comune?

Purtroppo le riforme legislative si fanno sull’onda delle necessità del momento e raramente vengono predisposti sistemi di controllo per verificare se hanno funzionato.

Quali sono i frutti della riforma del titolo V della Costituzione varata nei primi anni 2000? Grami, possiamo subodorare, ma una vera e propria valutazione dei risultati non esiste.

Stessa cosa per i regimi amministrativi. Funzionano? Poco e sempre peggio, si direbbe per approssimazione, ma non abbiamo un sistema di controllo funzionante che possa certificare con dati verificabili quanto male ci siamo fatti.

È una insinuazione grave, è vero, ma è altrettanto grave ricordare che l’attuale ordinamento normativo non ammette “legittimo affidamento” o prescrizione dell’abuso al fattore tempo, neppure a decenni di distanza.

Se una pratica di modifiche interne di appartamento depositata nel 1988 risulta in contrasto ad un certo articolo dell’allora vigente Regolamento Edilizio comunale, il notevole decorso del tempo non legittima comunque l’intervento, neppure alla luce del mancato diritto/dovere di verifica del Comune (l’Adunanza Plenaria n. 9/2017 del Consiglio di Stato non lascia dubbi al riguardo).

Da circa trent’anni il settore edilizio è oggetto di riforme e aggiustamenti, in particolar modo le procedure amministrative per assentire e legittimare le trasformazioni ai fini “puramente” edilizi, oggi governate dal D.P.R. 380/01 e prima di esso articolate in vari testi normativi.

Tra i vari filoni di riforma prevale il crescente passaggio dal regime “autorizzativo” in favore di quello “comunicativo”: in altre parole certi interventi una volta soggetti a titolo concessorio oneroso e autorizzativo gratuito sono divenuti gradualmente assoggettati alla vecchia D.I.A. e infine suddivisi tra S.C.I.A. e C.I.L.A.

Volendo rimanere sintetici, parliamo del regime “comunicativo” edilizio a partire dalla L. 493/1993 sulla Denuncia Inizio Attività edilizia, significando che prima di esso c’erano già stati altri esempi, vedasi il deposito dell’Articolo 26 L. 47/85 per modifiche interne.

Possiamo affermare che questo regime amministrativo “liberalizzato” abbia avuto la velocizzazione come vantaggio principale, sottraendo sempre più vari interventi edilizi dal regime autorizzativo: tra i principali motivi c’era necessità di fornire soluzione alternativa a quella parte di Pubblica Amministrazione che, per vari motivi, non riusciva a rispettare i termini di legge del procedimento edilizio (Concessione edilizia, Autorizzazione Edilizia, Permesso di Costruire).

Si è quindi spostata la fase istruttoria dalla P.A. nelle mani del Tecnico professionista abilitato, il quale tramite la propria asseverazione, si sostituiva ad essa per legittimare l’opera oggetto di D.I.A., S.C.I.A. e C.I.L.A.

In un certo senso è corretta la metafora con cui “il permesso te lo dà il professionista abilitato”.

Attenzione: l’oggetto di liberalizzazione che ci interessa non riguarda tanto le categorie di intervento (riformate più volte già dal 2001) bensì il procedimento amministrativo stesso.

Dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 380/01 si è assistito all’affermazione definitiva della D.I.A., divenuta residuale al Permesso di costruire e alla pochissima edilizia libera allora prevista, e della definitiva eliminazione dell’autorizzazione edilizia. Poi la DIA venne sostituita dalla sopravvenuta accoppiata di SCIA e CILA.

Queste tre tipologie di pratiche edilizie hanno in comune il vantaggio della semplificazione procedurale e riduzione tempistica, ma il notevole svantaggio della auto-responsabilizzazione del cittadino, suo tramite Tecnico asseveratore abilitato.

Il fatto è che la validità, o meglio l’efficacia di queste pratiche è fondata sulla illibata correttezza formale e sostanziale della DIA, SCIA e CILA.

Ah, il discorso vale anche per la CILAS, cioè la speciale CILA del Superbonus.

Tuttavia queste pratiche semplificate potrebbero presentarsi viziate a causa di errori di vario tipo, oscillanti dal mero errore involontario/dimenticanza fino alla difformità/contrasto dell’opera.

Il regime autorizzativo segue uno schema chiaro: il privato propone l’istanza, l’amministrazione l’approva o la rigetta. Ci sono possibilità di ricorso in entrambi i casi, soggette a termini decadenziali, e termini ragionevoli per gli annullamenti d’ufficio.

Decorsi i termini, possiamo dire che l’autorizzazione è stabilizzata.

Questo meccanismo traballa con la DIA (oggi SCIA): non esiste un atto autorizzativo vero e proprio e il meccanismo di stabilizzazione si collega all’atto di blocco ed alla sua eventuale tardività.

Nel regime della CILA la stabilizzazione si perde del tutto: la CILA è una mera comunicazione del privato, contestabile in ogni tempo e senza limiti con gli strumenti repressivi e demolitori.

Poi c’è il problema delle mille irregolarità delle procedure comunicative, riscontrabili da accesso agli atti anche a distanza di anni dal deposito.

Non solo le CILA, ma anche gran parte delle DIA e delle SCIA potrebbero contenere vizi o irregolarità tali da pregiudicarne l‘efficacia; e ciò vale a prescindere che la pratica SCIA, CILA e DIA sia stata “sorteggiata” dal Comune per i controlli, se questi siano stati soltanto di tipo formale, o peggio ancora se siano passati inosservati al controllo stesso.

Magari tali irregolarità sarebbero state facilmente evitabili o rimediabili se all’epoca la P.A. avesse esercitato i propri poteri/doveri di soccorso istruttorio, richiedendo chiarimenti o integrazioni al soggetto richiedente.

Questo è il punto paradossale: per superare quelle situazioni di inadempienza autorizzativa della P.A. si sono introdotte le comunicazioni e segnalazioni edilizie asseverate, ma una quota non trascurabile di esse risulterà viziata per…inadempienza della P.A.

E ancora una volta la verità e la colpa starà nel mezzo, tra un cittadino che ha riposto fiducia verso una normativa, dei Tecnici abilitatiti coinvolti e della P.A.

Tutto questo per dire che si è passati da un previgente regime autorizzativo ad uno prevalentemente “asseverativo”, che ad anni di distanza mostra sempre più le sue fragilità.

Che sia da annoverare nella lunga lista della stagione urbanistica italiana postbellica?

Fabio Squassoni avvocato e Carlo Pagliai ingegnere.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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