Introdotta possibilità di ridurre altezze minime fino a 2,40 m mediante ristrutturazione
Il D.Lgs. 286/1998 prescrive l’adeguatezza e conformità dell’immobile residenziale ai parametri e requisiti fissati dalla normativa edilizia
Tutto parte dall’art. 29 comma 3 D.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, modificato poi dalla L. 94/2009, con cui viene stabilito che lo straniero che richiede il ricongiungimento familiare deve dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa, accertati dai competenti uffici comunali. A questa disposizione si devono aggiungere quelle regionali che hanno sicuramente regolamentato la materia.
La persona che richiede l’attestazione di idoneità abitativa, deve essere legittimata a farlo e pertanto dovrà dimostrare di averne titolo ad esempio in qualità di proprietario, affittuario o comodatario; in seguito la dimostrazione di idoneità abitativa viene poi valutata e accertata dai competenti uffici comunali.
Tralasciando i motivi e presupposti soggettivi riguardanti il ricongiungimento familiare, è opportuno focalizzare i requisiti oggettivi e le condizioni abitative che consentano di attestare l’idoneità dell’alloggio.
Molto spesso questa dichiarazione viene richiesta da soggetti immigrati quando devono fare questo tipo di procedura, tuttavia consiglierei soprattutto a proprietari di immobili di valutare preventivamente (o meglio far valutare da un Tecnico abilitato) l’idoneità abitativa degli appartamenti e alloggi. Tra i parametri più importanti suggerisco di porre attenzione alla massima capienza abitabile calcolabile in base alla superficie e tipologia delle stanze, cioè il numero massimo dei residenti nell’unità abitativa.
In verità questo tipo di verifica porta a valutare praticamente l’Abitabilità dell’immobile, in quanto l’oggetto sia:
- requisiti igienico sanitari (specifici e normati)
- idoneità abitativa (in generale)
Quest’ultima definizione è molto ampia e non definita espressamente dalla normativa, pertanto il criterio più analogo è quello dell’Abitabilità (oggi assorbita nella Segnalazione Certificata di Agibilità art. 24 DPR 380/01).
Indice
- Il D.Lgs. 286/1998 prescrive l’adeguatezza e conformità dell’immobile residenziale ai parametri e requisiti fissati dalla normativa edilizia
- Requisiti igienico sanitari per ricongiungimento familiare: il D.M. 5 luglio 1975
- Superficie per ogni abitante e capienza massima ammissibile
- Altezze minime interne dei locali abitativi
- Rapporti aero-illuminanti nelle abitazioni
- Requisiti di idoneità abitativa in generale
- Conclusioni e consigli utili
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Requisiti igienico sanitari per ricongiungimento familiare: il D.M. 5 luglio 1975
Partiamo dalla normativa più conosciuta e importante per iniziare a valutare la possibile idoneità abitativa, cioè gli stessi requisiti già prescritti per certificare un tempo l’Abitabilità, e oggi l’Agibilità.
Indubbiamente il D.M. 5 luglio 1975 è il primo testo normativa da cui partire, ma faccio presente che vi sono molte altre norme collegate; inoltre rammento che le normative regionali e soprattutto i regolamenti edilizi e igienico sanitari dei Comuni potrebbero aver inserito ulteriori regole e limiti.
Esempio: un Comune potrebbe aver imposto una dimensione minima maggiore per le camere.
Superficie per ogni abitante e capienza massima ammissibile
Per calcolare il numero massimo di abitanti insediabili nell’appartamento è sufficiente richiamare gli articoli 2 e 3 del D.M. 5 luglio 1975, sottolineando ancora che le norme regionali e soprattutto i regolamenti comunali potrebbero aver innalzato le superfici minime e parametri.
Articolo 2:
«per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi. Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone. Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14».
Articolo 3:
«ferma restando l’altezza minima interna di m 2,70, salvo che per i comuni situati al di sopra dei m. 1000 sul livello del mare per i quali valgono le misure ridotte già indicate all’art. 1, l’alloggio monostanza, per una persona, deve avere una superficie minima, comprensiva dei servizi, non inferiore a mq 28, e non inferiore a mq 38, se per due persone».
In caso di alloggio con varie stanze, le superfici minime da rispettare diventano:
- 1 abitante = 14 mq
- 2 abitanti = 28 mq
- 3 abitanti = 42 mq
- 4 abitanti = 56 mq
- Per ogni abitante successivo al quarto = 10 mq/abitante aggiuntivo
In caso di alloggio monolocale, cioè monostanza e dotato di bagno:
- 1 abitante = 28 mq
- 2 abitanti = 38 mq
Altezze minime interne dei locali abitativi
L’articolo 1 del DM 5 luglio 1975 come regola generale prevede per le abitazioni un’altezza minima netta interna dei vani (stanze) pari a metri 2,70 affinché si possa abitarvi (cioè permanenza umana).
Essa è riducibile a 2,40 metri per i locali corridoi, i disimpegni in genere, i bagni, i gabinetti e i ripostigli. Restano esclusi tutti quei locali che non rispettano entrambe le casistiche; è anche vero che tale norma sicuramente è stata integrata anche dalle definizioni contenute nei regolamenti edilizi regionali, poi recepiti nei regolamenti edilizi comunali. Ad ogni modo, non possono aver ridotto quelli già descritti nei vani abitabili e accessori, rispettivamente di 2,70 e 2,40 metri.
Queste altezze minime valgono ovviamente per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni complete degli edifici, e infatti le stesse altezze minime sono state ricalcate dalla successiva L. 457/1978 articolo 43:
- 270 cm negli ambienti abitativi
- 240 cm per i vani accessori
Tale articolo di norma dispone ciò per l’edilizia residenziale in genere, anche che non fruisce di contributi pubblici. Infine è prevista la clausola di chiusura: non si applica a interventi di recupero sul patrimonio edilizio esistente, e ciò conferma la portata innovativa e futura della norma, non trovando applicazione retroattiva per tutti gli edifici esistenti e autorizzati prima delle due norme. La non retroattività (parziale) del DM 5 luglio 1975 è stata confermata dal comma 2 art. 10 DL 76/2020.
Un’ulteriore riduzione delle altezze minime è ammessa per edifici situati nei comuni montani al di sopra dei m. 1000 sul livello del mare, nei quali può essere consentita una riduzione dell’altezza minima dei locali abitabili a m. 2,55, tenuto conto delle condizioni climatiche locali e della locale tipologia edilizia.
Detto ciò, non significa che tutti gli edifici ante DM 5 luglio 1975, aventi altezze interne inferiori a quelle minime, si possano considerare liberi dalla verifica del rispetto di parametri igienico-sanitari: infatti occorre verificare con precisione i regolamenti edilizi e regolamenti di igiene comunali previgenti, perché potevano legittimamente aver già imposto altezze minime e addirittura superiori a 2,70 metri in riferimento alle famose Istruzioni Ministeriali del 20 giugno 1896.
Esistono anche alcune possibilità di derogare le altezze minime richieste e descritte ai punti precedenti, quali ad esempio per recupero abitativo dei sottotetti, per riqualificazione energetica, per edifici di notevole interesse culturale e altri casi, che puoi esaminare in apposito approfondimento.
Rapporti aero-illuminanti nelle abitazioni
Tra i vari requisiti igienico sanitari da verificare vi rientrano a pieno titolo l’areazione dei locali abitativi e la relativa illuminazione, secondo l’articolo 5 del DM 5 luglio 1975, che ho trattato ampiamente in un precedente articolo.
La finalità dell’articolo 5 del DM 5 luglio 1975 è di garantire salubrità e sufficiente Abitabilità degli spazi abitativi mediante:
- ricambio d’area adeguato (infatti c’è la superficie finestrata apribile)
- sanificazione adeguata (illuminazione naturale diretta)
Art. 5. Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d’uso.
Per ciascun locale d’abitazione, l’ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento.
Per gli edifici compresi nell’edilizia pubblica residenziale occorre assicurare, sulla base di quanto sopra disposto e dei risultati e sperimentazioni razionali, l’adozione di dimensioni unificate di finestre e, quindi, dei relativi infissi.
Da notare che la norma riporta il termine “APRIBILE”, ma spesso i tecnici usano quella architettonica, ovvero il “buco nel muro”, comprensivo quindi di telai fissi. Ho pure trovato regolamenti edilizi o igienico sanitari in cui veniva indicato il criterio più favorevole dell’intero foro comprensivo del telaio fisso.
L’art. 5 dell’anzidetto decreto ha reso incompatibile il previgente articolo 65 delle ormai datate Istruzioni Ministeriali del 20 giugno 1896, che indicavano determinate superfici minime finestrate ed illuminanti da rispettare in termini quantitativi, senza fare riferimento al F.L.D.m (fattore luce diurno medio).
Prevalenza o doppia verifica con Fattore Luce Diurno medio e Rapporto 1/8?
Il D.M. 5 luglio 1975 con l’articolo 5 dispone in via principale la verifica del F.L.D.m. per ogni stanza abitabile (cioè dotata di finestra apribile), e in subordine la verifica del rapporto di 1/8. Quel “e comunque” inserito in norma può lasciar intendere diversi scenari interpretativi: Prevalenza del F.L.D.m sul tradizionale rapporto 1/8:
- Verifica soddisfatta del FLDm rende automaticamente soddisfatta o forse superfluea quella del rapporto 1/8;
- Doppia verifica di conformità da effettuarsi con FLDm e Rapporto illuminante;
- Assorbenza o inutilità della verifica FLDm quando il rapporto illuminante di 1/8 risulta verificato.
Di fatto è assai raro (perfino impossibile) riscontrare la verifica del Fattore Luce Diurno medio 2% nelle pratiche edilizie, soprattutto quelle del passato; la prassi adottata da ambo le parti (Pubblica Amministrazione, e Tecnici abilitati) ha ritenuto sufficiente limitare la verifica illuminotecnica al rapporto di 1/8, in quanto direttamente e facilmente verificabile da entrambe le parti. Ripeto, trattasi di una prassi.
Infatti per il calcolo del FLDm sono necessari diversi calcoli e verifiche di inquadramento da effettuare sempre di volta in volta, con l’ausilio di appositi software. Per cui la pratica tecnica ha preferito usare il sistema più semplice, tabellare e riscontrabile numericamente da ambo le parti.
In sintesi, la verifica con FLDm è basata su verifica tecnica puntuale da farsi stanza per stanza, edificio per edificio, zona per zona, e per questo va considerata come la più precisa e rispondente al reale illuminamento interno. D’altra parte, la verifica del solo rapporto illuminante di 1/8 è di tipo tabellare non tiene conto dell’effettive condizioni al contorno (ostruzioni, edifici, orientamento, ecc.); potrebbe presentarsi una situazione di verificato rapporto illuminante di 1/8 senza rispettare il FLDmedio, ma nella stragrande maggioranza dei casi il solo rispetto del rapporto 1/8 è sufficientemente sovradimensionato per rispettare il FLDm 2%.
Requisiti di idoneità abitativa in generale
Come anticipato, è praticamente impossibile definire con precisione i requisiti idoneità abitativa richiesti dall’art. 29 comma 3 D.lgs. n. 286 del 25 luglio 1998, proprio perché la definizione è assai generica e priva di riferimenti normativi precisi.
Si rende necessario fare riferimento alla definizione più congruente e vicina, per analogia, a quella di Abitabilità (oggi disciplinata nella Segnalazione Certificata Agibilità).
In altre parole è richiesto di dimostrare la sussistenza dei parametri e requisiti di idoneità e di utilizzazione dell’alloggio, abitazione o appartamento; non è una cosa di poco conto, perché viene richiesto di dimostrare che tale immobile può essere pienamente utilizzato ai fini residenziali per cui è destinato, e questo ha valenza non soltanto ai fini civilistici tra le Parti (Locatore e affittuario), ma anche ai fini amministrativi, di sicurezza personale e pubblica.
Conclusioni e consigli utili
Ecco per cui ritengo indispensabile estendere la verifica di idoneità abitativa per il ricongiungimento familiare ad immigrati agli stessi criteri di Agibilità, quali:
- Sicurezza
- Igiene
- Salubrità
- Risparmio energetico degli edifici
- Normativa impianti installati
In altre parole la verifica di idoneità abitativa non è altro che una ri-verifica delle condizioni di Agibilità già previste dall’art. 24 DPR 380/01, per le quali i Tecnici abilitati sono chiamati ad asseverare; certamente parte in vantaggio l’immobile che risulta già dotato di Agibilità e Abitabilità, ottenute o certificate con le differenti procedure sopravvenute nel tempo.
Per gli immobili invece sprovvisti di Agibilità/Abitabilità invece occorre alzare la soglia di attenzione, perché dalle indagini potrebbero emergere situazioni di irregolarità, fino a risultare abusi edilizi e difformità di vario genere. E sulle conseguenze relative al contratto di affitto immobile abusivo rinvio ad apposito articolo.
Quindi è consigliato comunque far verificare prima di tutto da un Tecnico abilitato.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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