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In passato i Comuni potevano disciplinare il territorio con diversi strumenti

La legge fondamentale urbanistica n. 1150/42 provvide a disciplinare due distinti strumenti utili per le amministrazioni comunali, che oggi chiameremmo “governo del territorio”:

Essa provvide a introdurre l’obbligo di redigere il PRG per tutti i comuni presenti in appositi elenchi che il Ministero dei Lavori Pubblici ha provveduto ad aggiornare anche in seguito, mentre per tutti gli altri comuni rimase la facoltà di dotarsi del PRG.

Tuttavia fu posto l‘obbligo di dotarsi di:

  • Regolamento Edilizio per tutti i Comuni, quale strumento di minima disciplina delle trasformazioni edilizie e del suolo (art. 33 L. 1150/42);
  • Programma di Fabbricazione, per i comuni sprovvisti di Piano Regolatore, da includere nel Regolamento Edilizio (art. 34 L. 1150/42)

Premesso che la procedura amministrazione di adozione e approvazione dei piani regolatori generali, come anche quella dei Programmi di Fabbricazione si è evoluta molto dopo l’entrata in vigore della L. 1150/42, in questo articolo si vuole evidenziare le differenze tra questi due senza approfondire eccessivamente le tematiche connesse.

Differenze generali tra PRG e Programma di fabbricazione

Nell’ottica della Legge n. 1150/42 il Piano Regolatore Generale doveva il fulcro dello sviluppo pianificato dell’intero territorio comunale, considerato che nella versione originaria erano disciplinati in via essenziale:

  • le reti di comunicazione concepite in vista dello sviluppo urbano e delle esigenze del traffico l’igiene e pubblico decoro;
  • zonizzazione del territorio comunale precisandone le destinazioni e i vincoli edificatori;
  • individuazione di aree volte alla formazione di spazi pubblici;

Con la riforma avviata dalla Legge ponte n. 765/1967, e il successivo provvedimento correttivo legge “tappo” n. 1187/1968, fu modificato l’art. 7 della L. 1150/42 e integrati i contenuti minimi del Piano Regolatore generale:

1) la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;

2) la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;

3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitu’;

4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonche’ ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;

5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico;

6) le norme per l’attuazione del piano”.

Il legislatore sia nel 1942 che nel 1967/68 probabilmente aveva intuito che le dimensioni e caratteristiche di molti comuni non consentiva loro di potersi/volersi dotare di un Piano Regolatore comunale. Per questo ha previsto una procedura alternativa e semplificata con cui potersi dotare di uno strumento “minimale” di governo del territorio, cioè il Programma di Fabbricazione.

Occorre evidenziare che da un punto di vista procedurale il PdF ha meno formalità e vincoli del PRG

Col PdF il Comune doveva pianificare comunque la trasformazione del territorio attraverso:

  • la disciplina dei limiti di ciascuna zona del territorio comunale;
  • l’individuazione di diverse tipologie edilizie di zona e dell’abitato;
  • definizione delle eventuali direttrici di espansione urbane;

Al contrario del Piano Regolatore, il PdF non concepiva la più ampia accezione della disciplina e pianificazione estesa all’intero territorio comunale, piuttosto si focalizzava su centri abitati e zone di espansione.

Questo non significava neppure che un Programma di fabbricazione potesse/dovesse “ignorare” le restanti e diverse parti del territorio rispetto a centro abitati e zone di espansione; nella mia esperienza ho riscontrato anche qualche Programma di fabbricazione che disciplinava di fatto tutto il territorio comunale, con norme e disposizioni assai riduttive.

L’allora scarna normativa in materia di pianificazione del territorio della L. 1150/42 fu rivista e riformata con la famosa legge ponte n. 765/1967,

Equiparazione tra Piano Regolatore e Programma di fabbricazione

Il programma di fabbricazione è uno strumento semplificato previsto ai comuni sprovvisti di piano regolatore generale, ma è equiparato ad esso sia sotto il profilo dei vincoli che della verifica di conformità urbanistica delle opere realizzate nel Comune.

Sul rapporto di equiparazione tra PRG e PdF ai fini delle previsioni vincolistiche e organizzazion del territorio si segnalano le interessanti sentenze di Corte Costituzionale n. 23 del 20 marzo 1978, Cass. Civ. n. 12127/2004).

Per esempio per sanare un abuso edilizio è confermata la valutazione di conformità anche nei confronti del PdF, da intendersi anch’esso come strumento di disciplina urbanistica ed edilizia (Cons. di Stato n. 573/2020).

Se da una parte esiste una evidente disparità tra le corrispondenti procedure formative di questi due atti urbanistici, è anche fuori discussione la loro assimilazione per contenuti. In tal senso anche la L. 10/1977 non ha provveduto a modificare contenuti e procedure di PRG e PdF, ritenendole a quanto pare congrue e ammissibili nel nuovo regime di edificabilità dei suoli.

Da una prima lettura potrebbe apparire che il PRG costituisca uno strumento esclusivo di sistemazione urbanistica del territorio, mentre il Programma di fabbricazione si limiterebbe ad integrare il corrispondente regolamento edilizio, come se fosse una sua semplice appendice topografica; questa chiave di lettura è stata ribaltata anche dalla sentenza di Corte di Costituzionale n 23/1978, di cui riporto di seguito alcuni passaggi significativi.

In primo luogo, l’attitudine dei programmi di fabbricazione a fungere da strumenti di sistemazione urbanistica é stata presa in puntuale considerazione, sotto svariati profili, ad opera di una serie di leggi speciali che hanno affidato agli atti stessi – al medesimo titolo dei piani regolatori generali – l’individuazione delle aree da destinare a certe specie di opere e la determinazione dei corrispondenti vincoli preordinati all’esproprio:

dall’art. 3 ultimo comma della legge 18 aprile 1962, n. 167, sull’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare;

all’art. 14 secondo comma della legge 28 luglio 1967, n. 641, sulla edilizia scolastica ed universitaria;

all’art. 3 della legge 1 giugno 1971, n. 291, quanto all’edilizia ospedaliera ed universitaria;

agli artt. 13 e 14 della legge 11 giugno 1971, n. 426, relativamente agli insediamenti di attività commerciali;

all’art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, circa i piani delle aree per gli insediamenti produttivi;

fino all’art. 6 della legge 12 dicembre 1971, n. 1133, sull’edilizia degli istituti di prevenzione e di pena.

Nell’insieme di tutte queste ipotesi, che riguardano ai medesimi effetti piani regolatori generali e programmi di fabbricazione, il legislatore ha presupposto e confermato che anche gli atti del secondo tipo fossero strumenti suscettibili di stabilire vincoli urbanistici. E la riprova di ciò si ricava – prima ancora che la cosiddetta legge-ponte del 1967 sopraggiungesse a modificare ed integrare la disciplina urbanistica del 1942 – dall’art. 2 della legge 5 luglio 1966, n. 517, che ha riferito anche ai programmi di fabbricazione le misure di salvaguardia in pendenza dell’approvazione dei piani regolatori generali.

In secondo luogo, gli originari contenuti dei programmi di fabbricazione, stabiliti dall’art. 34 della legge n. 1150 del 1942, sono stati considerevolmente arricchiti dalla legge 6 agosto 1967, n. 765 (anche se si danno divergenze, dottrinali e giurisprudenziali, nella definizione degli effetti desumibili dai contenuti stessi). Vero é che l’art. 17 della legge-ponte include fra gli “strumenti urbanistici” tanto il piano regolatore generale quanto il programma di fabbricazione; ed obbliga tutti i Comuni, nella formazione e nella revisione di tali strumenti, ad osservare “limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati, nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi”. Una disposizione così formulata non può essere intesa – né letteralmente né in vista dei fini che la legge-ponte si é proposta – come se i limiti e i rapporti fissati nei programmi di fabbricazione fossero totalmente diversi da quelli stabiliti nei piani regolatori generali: non potendo tradursi in vincoli specifici, ma risolvendosi in indicazioni meramente orientative.

Se così fosse, la preventiva pianificazione dell’attività costruttiva, in ciascuna delle zone considerate dai programmi di fabbricazione, diverrebbe di fatto impossibile: con la conseguenza che i Comuni chiamati ad applicare determinati limiti e rapporti, dovrebbero in realtà disapplicarli. In questa prospettiva, d’altra parte, non si spiegherebbe nemmeno la disposizione dell’art. 12, onde il decreto di approvazione può introdurre “nel regolamento edilizio e nel programma di fabbricazione le modifiche… indispensabili” per assicurare – fra l’altro – l'”osservanza dei limiti” voluti dall’art. 17. Inoltre, verrebbe svuotata od impoverità di senso la stessa disposizione dell’art. 8, per cui non é dato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio se non sulla base del relativo programma di fabbricazione, dopo che esso sia stato approvato: in quanto ciò comporta che il programma possa prevedere – in modo vincolante e non semplicemente orientativo – le opere di urbanizzazione destinate ad essere eseguite secondo i vari piani di lottizzazione edilizia.

In terzo luogo, questa progressiva assimilazione degli effetti dovuti ai programmi di fabbricazione ed ai piani regolatori generali ha ricevuto un’ulteriore conferma da parte della legge 30 novembre 1973, n. 756, e dei conseguenti atti legislativi che hanno prorogato la durata dei rispettivi vincoli urbanistici. In una prima fase, l’art. 2 della legge 19 novembre 1968, n. 1187, aveva limitato a cinque anni l’efficacia dei soli vincoli derivanti dai piani regolatori generali; sicché restava aperto il dubbio se quella previsione fosse implicitamente riferibile anche ai programmi di fabbricazione. Viceversa l’art. 1 della legge n. 756 del 1973 concerne testualmente entrambi i tipi di strumenti urbanistici, “nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione o a vincoli che comportino l’inedificabilità”. Ed un tale disposto – che é stato impugnato con esclusivo riguardo ai contenuti vincolistici dei programmi di fabbricazione – significa appunto che questi stessi atti hanno per oggetto la sistemazione urbanistica del territorio comunale; tanto più che l’interpretazione letterale risulta rafforzata dalle indicazioni dei lavori preparatori (oltre che dalle due consecutive proroghe, fondate sui d.l. 29 novembre 1975, n. 562, e 26 novembre 1976, n. 781).

Tutto ciò concorre a far concludere che l’iniziale divario fra i programmi di fabbricazione ed i piani regolatori generali é stato ampiamente – se non completamente – colmato dalla legislazione statale successiva alla legge urbanistica n. 1150 del 1942. Ma quali siano, precisamente, gli attuali contenuti vincolistici che i programmi di fabbricazione sono venuti in tal modo assumendo, non é un accertamento che spetti a questa Corte. Ai fini del presente giudizio, é invece necessario e sufficiente l’aver verificato che i vincoli in questione sono previsti dall’ordinamento statale vigente; e non si risolvono nei soli effetti cosiddetti atipici, disposti dalle ricordate leggi speciali che hanno mirato a soddisfare particolari esigenze di edilizia pubblica (o di pubblica utilità), ma investono la totalità dei programmi di fabbricazione, considerati nei loro contenuti tipici e normali.

Conclusioni e consigli

Tornando piuttosto ai giorni nostri, diventa sempre più raro imbattersi nei Programmi di Fabbricazione vigenti ad oggi; siamo anche consapevoli che esistono purtroppo in certe zone d’Italia situazioni di Comuni ancora sprovvisti di piano regolatore e perfino di programmi di fabbricazione, rendendoli “zone bianche” o non pianificate a cielo aperto.

Le norme regionali hanno archiviato da anni la possibilità di dotarsi del programma di fabbricazione; alcune regioni (vedi Toscana) da altrettanti decenni escludono tale possibilità e penalizzano i comuni inadempienti e sprovvisti di strumento urbanistico generale limitando l’attività edilizia ai soli interventi conservativi.

Certamente, l’acquisizione e studio dei programmi di fabbricazione si rende necessaria per le verifiche dello Stato Legittimo e per verificare la doppia conformità degli illeciti edilizi all’epoca di esecuzione. Nulla vieta infatti che in sede di approvazione di PdF fosse aggiornato il Regolamento Edilizio comunale, e con esso il relativo obbligo di licenza edilizio esteso ad altre zone.

Per individuare la passata adozione dei programmi di fabbricazione è sufficiente consultare gli elenchi delle delibere di Giunta comunale, in quanto atti connessi al Regolamento Edilizio.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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