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La misura incentivante sta per chiudersi sulle tipologie unifamiliari e villette a schiera, lasciando incertezze per quelle restanti

Senza dubbio è stata la perturbazione edilizia più forte almeno dai tempi del primo Condono edilizio (1985).

Da un certo punto di vista, tuttavia, per intensità e durata non è stata altro che una scossa elettrica.

Riguardo la durata, bisogna riconoscere che ha avuto vita troppo breve se la paragoniamo alle normali tempistiche per effettuare verifiche di stato legittimo, progettazione, cantieri, e post-processing.

Per quanto riguarda l’intensità, bisogna ammettere che ha inondato gli italiani di informazioni circa il risparmio energetico, il rischio sismico e altri aspetti edilizi di botto, catapultandoli in contesti – quello della sostenibilità dell’edificato e quello della sicurezza – che nell’ottica e nell’immaginario del comune cittadino fruitore dell’oggetto “immobile” o “casa” erano percepiti come quantomeno secondari (se non addirittura marginali) .

Ma da questa scossa elettrica gli italiani ne sono usciti migliori?

Tutto sommato no, e ci sono diversi motivi per sostenerlo.

Ma i fenomeni vanno analizzati guardandoli dall’alto e cerchiamo di pensare in positivo, ricordando gli intenti con i quali sono stati (o si sono) avviati.

La cessione del credito “libera” è stato il vero grimaldello: è infatti stata questa l’arma, più dei bonus in sé, che ha permesso l’esplosione di un settore che da anni ristagnava barcamenandosi tra una crisi e l’altra.

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Il meccanismo del credito d’imposta  e della sua cedibilità hanno poi imposto il ritorno “in chiaro” dei pagamenti in un settore dove, notoriamente, il sommerso la faceva da padrone fino al giorno prima.

Teniamo presente inoltre il merito dell’iniziativa: il Superbonus e il sismabonus, assieme ai bonus minori e alla cessione del credito, avevano lo scopo (più che nobile) di rigenerare un patrimonio esistente indubbiamente vulnerabile ed energivoro – e tralasciamo le riflessioni su quanto dell’uno e dell’altro, inutili considerate le bollette “pazze” che ci vediamo recapitare ormai da qualche mese.

Quindi? Tutto bene?

No: l’idea nobile è diventata inutilizzabile.

Perché?

Troppi ingranaggi deboli. Passiamo ad analizzarli:

1) La politica. Da una parte c’è stato chi osannava questa strategia, magnificando il volano economico, la circolazione di soldi, lo stimolo all’economia e la sua autosostenibilità economica. Dall’altra parte vi era chi riteneva questa misura costosa per lo Stato, colpevole di aver “triplicato i prezzi” e di aver alterato pesantemente il mercato edilizio.

Fin qui nulla di strano: è normale che su misure incisive e complesse si alimenti la discussione politica, anche aspra.

Da osservatori esterni tuttavia dobbiamo notare che lo scontro politico, invece di orientarsi verso una rivisitazione ragionata  e sistematica – scientifica, ci si passi il termine – dell’istituto, si è tradotto in una crescente parabola di provvedimenti normativi sempre più restrittivi e frequenti, adottati sull’onda dell’esigenza o della critica momentanea (in cui si ha come il sentore che non mancasse una potente componente personale), spesso contraddittori e di difficile interpretazione anche per gli addetti ai lavori.

2) Frodi e Antifrodi. L’italiano si sa, se gli offri un’unghia gratis, si prende il braccio e continua a lamentarsi nonostante tutto. Già nell’anno 2020 si palesavano alcuni rischi di truffa sulla misura. Neanche dopo un anno di effettiva applicazione della cessione del credito, il legislatore dovette intervenire con apposito Decreto Antifrode (e già è una sconfitta morale ed economica una norma chiamata così). Da allora vi è stata una crescente raffica di cambiamenti normativi, decreti, decreti attuativi, tempi sospesi per emendamenti e conversione in legge, eccetera. A questi dobbiamo aggiungere certi altalenamenti interpretativi derivanti da interpelli, circolari e risoluzioni del Fisco. In totale, l’intero sistema di acquisto dei crediti fiscali è entrato in costante incertezza, fino a “impaurirsi” e non reputare più conveniente la cosa, peraltro dovuto all’aumento dei rischi e dei tassi di sconto in generale.

3) Nuova consapevolezza su sostenibilità e sicurezza?

La campagna di sensibilizzazione su questi temi c’è stata negli ultimi anni, non lo si può negare: dalle manifestazioni di piazza sul riscaldamento globale al ministero della transizione ecologica, passando per l’economia circolare e lo spuntare come funghi (anche nel nostro paese) delle società benefit, in nei cui statuti gli obiettivi di profitto vengono dopo la realizzazione di obiettivi sociali o green.

La logica dei superbonus avrebbe dovuto inserirsi in questo meccanismo e determinare il sorgere della cultura della sostenibilità anche nell’edilizia.

Ma il messaggio (su cui, tra l’altro, siamo fortemente in ritardo), nel cittadino medio, è passato?

Se possiamo dirlo senza filtri, in minima parte.

E’ passato il messaggio di ristrutturazioni gratuite, quello sì. Diciamo che se l’italiano medio capisce soltanto la propria tasca, forse una nuova consapevolezza ecologica potrebbe insegnarcela a caro prezzo la crisi energetica del 2022.

Ma se siamo intellettualmente onesti, dovremmo ricordarci che una simile dinamica di “sputtanamento” di una nobile misura energetica lo abbiamo visto col Conto Energia e incentivi sui pannelli solari. Segno evidente che non siamo diventati migliori neanche con quella precedente misura.

4) Il tessuto produttivo e le filiere. In Italia il settore edilizio è caratterizzato da pochi operatori di grandi dimensioni e ben strutturati, un certo numero di imprese “medie” strutturate, un numero maggiore ma limitato di piccole imprese e un’infinità (letteralmente) di microimprese e lavoratori autonomi.

Per dare la misura di quel che si dice notiamo che secondo i canoni utilizzati sul pianeta in cui viviamo – nonché secondo la raccomandazione 2003/361/CE –  un’impresa è “piccola” se non ha almeno 50 occupati e 10 mln di fatturato annuo ed è micro se ha fino a 10 occupati e fattura fino a 2 milioni.

Se i numeri sono questi si può tranquillamente sostenere che in molte aree del paese l’unica forma di impresa nell’edilizia è la microimpresa.

E’ ovvio che le piccole imprese risentono rispetto alle medie e alle grandi di una minore solidità dal punto di vista finanziario. Figuriamoci le micro o i lavoratori autonomi. E questo è un problema fondamentale, posto che gli interventi previsti dai bonus edilizi e il meccanismo delle cessioni di credito richiedono un dimensionamento finanziario adeguato, che gli operatori più piccoli non possono garantire.

Fino ad un certo limite le imprese reggono, poi entrano in crisi (normalmente di liquidità). E più piccole sono prima entrano in crisi.

Avrebbe potuto sopperire il ruolo degli aggregatori (c.d. General contractor) che in condizioni normali avrebbe dovuto essere assunto da soggetti dotati di capacità finanziarie e liquidità sufficienti a sostenere la filiera dei subappalti.

Questo tuttavia non è avvenuto se non in minima parte, e si sono proposti come  GC, soggetti in molti casi non adeguati, se non improvvisati alla bisogna.

In una situazione normale, con una curva della domanda stabile o in lieve crescita, il sistema avrebbe potuto anche reggere. Con un accesso massivo ai bonus e una domanda in impennata, con questo scenario, sarebbe stato molto difficile.

L’utilizzo in modo massivo del meccanismo dei bonus da parte dei cittadini tramite catene di microimprese e autonomi si è dimostrato dunque in buona parte non adeguato ad affrontare cantieri e interventi rilevanti come quelli generalmente previsti per il Superbonus, o per i bonus minori supportati dalla cessione del credito. Il prevalente tessuto di micro imprese, lavoratori autonomi e subappalti ha messo in luce (di nuovo) un punto debole del settore produttivo. Si è capito che un tessuto di microimprese sia sottodimensionato per quantità che per qualità nei confronti di questa improvvisa imponente domanda di ristrutturazioni edilizie.

Abbiamo inoltre un altro elemento: l’edilizia si inserisce in una filiera di forniture industriali. Di fronte all’impennata della domanda il mercato ha risposto con aumenti generali dei prezzi (e qui siamo ancora nella normalità) e i singoli operatori con manovre distorsive (e qui entriamo nell’ambito dei comportamenti sleali). Il regolatori non hanno tenuto in debita considerazione preventivamente la possibilità che si verificassero fenomeni speculativi o comunque distorsivi sul regime dei prezzi e sono intervenuti solo a posteriori. Risultato: gran parte del beneficio statale (ricordiamo che il credito fiscale corrisponde a danaro) oggi viene dirottato dagli interventi di efficienza mento sul patrimonio immobiliare direttamente nelle casse di alcuni fornitori che hanno saputo profittare del trend speculativo in atto.

5) Il tessuto professionale. Se le imprese funzionano in un certo modo i professionisti non sono da meno.

Anche in quest’ambito si sono palesati gli effetti di una vecchia anomalia: la prevalente struttura di micro-studi ha messo in luce l’oggettiva difficoltà di affrontare i continui cambiamenti normativi, progettuali e della fiscalità.

Ma nonostante tutto, non si vede ancora la consapevolezza di quanto sia inadeguata la dimensione e strutturale del micro-studio rispetto alla crescita esponenziale della burocrazia e giurisprudenza.

Da ultimo è apparsa la richiesta da parte di un importante gestore dei Visti di conformità, di accompagnare le asseverazioni tecniche con apposito video prodotto dai Tecnici asseveratori: questa scelta sembra sottintendere e insinuare una perdita di fiducia verso costoro, e chissà quali motivazioni hanno portato a scegliere questa regola verosimilmente “antifrode”.

6) Stato Legittimo di conformità immobili. La misura ha iniziato a evidenziare un problema noto ma tenuto in disparte, cioè il prevalente stato di irregolarità e abusivismo del patrimonio edilizio esistente. Poco dopo il DL Rilancio, il legislatore ha introdotto nel TUE la definizione di Stato Legittimo, per poi dover tentare di “disinnescarla” due volte per tali interventi incentivati. L’ultimo intervento in tal senso ha introdotto la CILAS con scopo di semplificare e glissare il problema dello Stato legittimo immobiliare: con statistica personale, possiamo esprimere l’opinione che forse ha fatto più danni che guadagni, perché la gestione di essa in parallelo alle procedure e categorie di intervento ordinarie del DPR 380/01 ha ingenerato confusione. Lo capiremo quando si aprirà ufficialmente la stagione dei controlli all’AdE, in particolare quando verranno analizzati i titoli abilitativi edilizi e la loro correttezza.

Si potrebbero aggiungere altre considerazioni, ma non vogliamo esagerare.

Dovendo fare un bilancio speditivo della misura, si potrebbe comunue dire che la maggiore criticità nata o causata da questa forma speciale di “sussidio” edilizio sia quel brutto alone di truffa, malaffare e prezzi gonfiati che molti giornali hanno cucito addosso, con statistiche alla mano. E peggio ancora la politica, anziché puntare l’attenzione sulle criticità effettive dell’iniziativa e adottare le misure necessarie per farla funzionare (e all’inizio forse non erano molte, né così complicate), ha cavalcato le ondate di sfiducia del momento, con provvedimenti “pubblicitari”.

Esageriamo? Forse sì, ma è presto per dirlo: un primo bilancio lo potremo fare tra un paio d’anni, cioè quando comincerà davvero la “caccia alle balene” da parte del Fisco.

Fabio Squassoni Avvocato Carlo Pagliai Ingegnere

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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