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pratiche edilizie

Un presupposto di validità per CILA, SCIA e Permesso è la dotazione degli elaborati e documenti necessari per rappresentare l’intervento

La presentazione di una qualsiasi pratica edilizia non è per niente facile, neppure per le opere apparentemente semplici o di modesta entità. Piaccia o meno, anche la materia edilizia è stata avvolta dal velo della complessità.

Nell’attuale panorama normativo ci sono diverse tipologie di pratiche edilizie e di situazioni che vengono considerate definitivamente concluse a buon fine per vari motivi:

Devo ricordare di non sottovalutare o confidare troppo sul fatto che la P.A. non abbia proferito parola o richiesto alcun documento integrativo; è infatti possibile che non abbia avuto neanche il tempo per guardare l’arrivo della pratica edilizia stessa, perchè magari impegnata o palesemente sotto organico.

Ciò non toglie che la P.A. possa tornare sopra la pratica e rimettere perfino in discussione la sua validità dopo diverso tempo, sopratutto quando rileva una carenza documentale.

Pratiche edilizie soggette a deposito di parte (CILA e SCIA)

La più vecchia procedura edilizia di tipo comunicativo è stata l’Articolo 26 L. 47/85, che serviva esclusivamente per modifiche interne a edifici. In seguito furono istituite la Denuncia di Inizio Attività (DIA), poi la CILA e SCIA.

Potremmo dire che in comune hanno una cosa: diventano efficaci in base a diversi presupposti, in particolare la loro correttezza e completezza. Prendiamo spunto dalla giurisprudenza consolidata con cui è stato confermato che:

“affinché la SCIA (o la DIA) possa essere idonea allo scopo, sono necessarie la sussistenza e la completezza della relativa documentazione, dovendo la stessa, anche se intesa quale atto del privato, corrispondere al modello legale per poter produrre effetti” (Consiglio di Stato n. 2799/2021, n. 2584/2018, n. 1416/2014).

Anche in questo caso il discorso può giungere ad un risultato grottesco: anche a fronte di prolungata “dormienza” o inerzia della PA, è possibile rimettere in discussione la validità della pratica stessa e delle opere già compiute credendola valida?

Per la CILA non esistono neppure i termini e procedure “correttive” della SCIA

Mi verrebbe da dire che la SCIA ormai possiede oltre un decennio di “rodaggio” normativo, sostituendo peraltro in continuità la DIA, quindi non si fa errore sostenendo che l’attuale procedura della SCIA abbia circa trenti anni di esperienza.

Se invece parliamo di CILA dobbiamo dire che dalla sua istituzione (D.L. 40/2010) a oggi non c’è stato una evoluzione sufficiente a inquadrare bene la sua vulnerabilità di fronte a future contestazioni o controlli della P.A.

Se da una parte alla SCIA è stato concesso qualche modesto strumento “protettivo”, la CILA ne è completamente scoperta; proprio perchè somiglia alle più datate pratiche di Modifiche Interne Art. 26 L. 47/85, alla CILA va attribuito un valore pari ad una raccomandata del cittadino.

Perchè proprio di questo si parla: una CILA che presenta carenze documentalipuò essere considerata incompleta o inefficace, senza che la normativa ponga un termine per “blindarne” la validità.

E allora che senso ha questa semplificazione, se espone a future possibili dichiarazioni di inefficacia le CILA depositate?

Approfitto per consigliare questo mio Corso Online sull’inefficacia della CILA:

Neppure il Silenzio-assenso può giustificare e legittimare l’incompletezza documentale

Per esempio ormai è stato pacificamente ribadito dalla giurisprudenza che una incompletezza documentale delle pratiche edilizie non consente neppure la formazione del silenzio assenso sulle domande di permesso di costruire o di condono edilizio.

Riprendo il principio convalidato anche dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 8561/2021 (riferita al TAR Lombardia n. 1576/2020, con cui ha rilevato che:

la formazione del silenzio assenso sulla domanda di permesso di costruire implica che l’istanza sia assistita da tutti i presupposti di accoglibilità” con la conseguenza che “in assenza della documentazione prescritta dalle norme o di uno dei presupposti per la realizzazione dell’intervento edilizio, alcun titolo tacito può formarsi”.

A sostegno di ciò, viene motivato che l’inerzia dell’Amministrazione “non può far guadagnare agli interessati un risultato che gli stessi non potrebbero mai conseguire in virtù di un provvedimento espresso” (in termini, Cons. Stato n. 5018/2021).

Vorrei però commentare che non è altrettanto sostenibile che una pratica edilizia (e relativa opera) non possa mai considerarsi “salva” a fronte di certe mancanze e inerzia della P.A.

Conclusioni

Anche in questi casi non ho molte parole per concludere, anzi, rischio di lasciare questo articolo con molte incertezze nel lettore.

Ma è anche vero che l’errore di fondo sta nella normativa e procedure edilizie impostate, che continuano ad avere un alone indefinito. Ma forse la vera fonte dei problemi rimane l’inerzia della P.A. che avviene per mille motivi.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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