Ordinanza di demolizione emessa e istanza di sanatoria presentata entro i termini previsti
[Veneto] Gli abusi edilizi del passato (1977) non si regolarizzano per legittimo affidamento o semplificazione amministrativa
Non è una grande novità dal mio punto di vista, considerato che la Regione Toscana è stata più volte colpita sullo stesso tema della sanatoria edilizia per illeciti e abusi edilizi risalenti.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 77/2021 ha pronunciato l’incostituzionalità degli articoli 1 e 2 della L.R. Veneto n. 50/2019 (disposizioni per la regolarizzazione delle opere eseguite in parziale difformità prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Norme in materia di edificabilità dei suoli”).
La Consulta ha ribadito per l’ennesima volta che una Regione non può prevedere discipline o procedure di sanatoria che possono aggirare quelle del D.P.R. 380/01. Ciò vale anche per trovare soluzione alle svariate tipologie di irregolarità compiute decenni or sono, e per agevolare il raggiungimento dello Stato Legittimo dell’immobile.
E il Veneto, sulla falsa riga di altre discipline regionali “ribelli a fin di bene”, aveva istituito una particolare procedura di regolarizzazione immobiliare.
La sanatoria era circoscritta agli immobili dotati di titolo edilizio o certificato di abitabilità/agibilità, qualora eseguiti con particolari tipi di parziale difformità dai titoli edilizi rilasciati o dai progetti approvati prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
Tra l’altro restavano fatti salvi gli effetti penali, civili e quelli delle restanti norme di settore (idrogeologiche, sismiche, vincolistiche, ecc).
Questo è l’elenco degli illeciti (finora) regolarizzabili secondo l’articolo 2 della LR Veneto 50/2019:
- un aumento fino a un quinto del volume dell’edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi;
- un aumento fino a un quinto della superficie dell’edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati;
- un diverso utilizzo dei vani, ferma restando la destinazione d’uso consentita per l’edificio;
- modifiche non sostanziali della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza, rispetto a quella indicata nel progetto approvato, purché non in violazione delle normative in tema di distanze tra fabbricati, dai confini e dalle strade;
- non rilevino in termini di superfici o volume e non siano modificative della struttura e dell’aspetto complessivo dell’edificio.
Alcuni di esse superava ampiamente i termini della tolleranza edilizia (art. 34-bis TUE), e in certi casi si poteva anche sfiorare, se non addirittura superare quelli delle variazioni essenziali (art. 32 TUE).
La procedura dichiarata incostituzionale per tali illeciti
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale della speciale procedura di sanatoria, che doveva avvenire con una particolare modalità di SCIA onerosa, una specie di “fiscalizzazione dell’illecito edilizio”.
La sua presentazione, assieme al pagamento della sanzione pecuniaria proporzionata alle rispettive tipologie di parziali difformità, comportava la regolarizzazione senza dover dimostrare il rispetto della doppia conformità ex art. 36 e 37 del D.P.R. 380/01.
La procedura prevedeva una SCIA “sanante” con singola conformità ad oggi. In pratica il soggetto interessato attestava la conformità dell’opera alla normativa regionale sopravvenuta e vigente al momento del deposito della Segnalazione Certificata Inizio Attività stessa; tuttavia non veniva attestata la conformità alla disciplina vigente all’epoca dell’abuso.
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La Consulta ha ritenuto palesemente incostituzionale questa procedura, in quanto contrasta coi principi del Titolo V per i quali una Regione non ha competenza per disporre di diverse tipologie o utilizzo dei titoli abilitativi previsto dal D.P.R. 380/01.
La Regione Veneto invece aveva adottato una procedura di sanatoria sostanziale, che riproduceva praticamente gli effetti di un condono edilizio.
E molte volte la Corte Costituzionale ha chiarito che spettano alla legislazione statale la decisione sul se disporre un titolo abilitativo edilizio straordinario, quella relativa all’ambito temporale di efficacia della sanatoria e infine l’individuazione delle volumetrie massime condonabili (sentenza C.C. n. 70/2020, n. 208/2019, n. 68/2018 e n. 73/2017).
In base alle scelte di questo principio, possono competere poi alla legislazione regionale l’articolazione e la specificazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale (sentenze n. 73 del 2017 e n. 233 del 2015). Un esempio è stato il cosiddetto Terzo Condono edilizio con L. 326/2003.
Il principio di Doppia conformità domina ancora
La Corte Costituzionale nella sentenza 77/2021 ha anche precisato che costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica della cosiddetta “doppia conformità” dell’art. 36 D.P.R. 380/01 in base al quale «il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda».
Questo principio non può essere scalfito dalle norme regionali, perchè è «finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità» (vedi anche sentenza C.C. n. 232 del 2017; nello stesso senso, sentenze n. 107 del 2017 e n. 101 del 2013).
A tal proposito, recentemente anche la Toscana è stata interessata dalla sentenza di Corte Costituzionale n. 2/2021 per alcuni articoli della L.R. 69/2019; la conseguenza è stato il ripristino del criterio di doppia conformità strutturale per gli illeciti e abusi edilizi.
Considerazioni conclusive
Quali saranno le prossime regioni a vedersi impugnare le proprie norme?
Ad esempio mi viene a mente la Legge Regione Emilia Romagna n. 23/2004 all’art. 17-bis.
Devo dire che ci sono anche certi Piani Regolatori o Regolamenti Edilizi Comunali che hanno introdotto principi o procedure analoghe, vedi il Comune di Firenze con l’art. 12 sulle opere non soggette a sanatoria.
E molti altri, direi.
Finché persiste questo ordinamento normativo, le uniche procedure edilizie per regolarizzare gli edifici resteranno quelli già previsti dal D.P.R. 380/01:
Regime straordinario (attualmente inaccessibile, salve le domande presentate nei precedenti termini di apertura): Condono edilizio L. 47/85, L. 724/94, L. 326/03
Regime ordinario attuale col D.P.R. 380/01 (salvo integrazioni da norme regionali):
- Accertamento di conformità per Permesso di Costruire in sanatoria (art. 36 DPR 380/01)
- SCIA in sanatoria (o eventuale procedura regionale), Art. 37 DPR 380/01
- CILA Tardiva (in gergo anche “in sanatoria) Art. 6-bis DPR 380/01
Forse è davvero il caso che il legislatore prenda in seria considerazione che sia giunto il momento di riformare definitivamente il Testo Unico Edilizia DPR 380/01 e di porsi il problema del patrimonio esistente.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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