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L’accertamento di conformità esige una valutazione puntuale nello stato completo e unitario

L’art. 36 del D.P.R. 380/01 riguarda l’unica procedura di “sanatoria edilizia” attualmente vigente, ed è fondata sul principio fondamentale del rispetto della doppia conformità a due distinte epoche di realizzazione:

  • Al momento della presentazione dell’istanza
  • All’epoca dell’abuso

Prima di proseguire, ci tengo a precisare che non stiamo parlando di Condono edilizio, cioè procedura straordinaria, bensì dell’accertamento di conformità in sanatoria.

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DEFINIZIONI Generali

Possono capitare casi in cui l’esecuzione di opere edilizie illecite sia accertata dalla Pubblica Amministrazione prima della definitiva conclusione.

In tali situazioni possono anche aprirsi scenari diversi tra loro, circa l’evoluzione del complesso di opere parzialmente compiute rispetto all’intento pianificato.
L’opera realizzata in maniera incompleta, cioè prima di arrivare ad un vero stato ultimato, potrebbe facilmente essere esclusa dalla sanabilità in quanto “non  valutabile” nell’accertamento di conformità. Per approfondimenti consiglio il nuovo libro pubblicato dall’Avv. Andrea Di Leo, che mi ha fornito ispirazione per il presente articolo.

Quando l’opera viene “pizzicata” incompleta dalla P.A., qualcuno potrebbe ipotizzare due possibili vie di uscita:

  1. Completamento dell’opera;
  2. Fare qualche piccola “retromarcia”, cioè realizzando opere di demolizione parziale per conformarla alle norme in contrasto;

Entrambi i casi sono attualmente esclusi dalla possibilità di ottenere la sanatoria, vediamo perché.

L’art. 36 del Testo Unico per l’edilizia parla appunto di opere realizzate, e non di opere “realizzande” o in corso di esecuzione. Diciamo meglio, non funziona allo stesso modo come invece poteva farsi in passato con le norme del Condono edilizio L. 47/85 e successive modificazioni.

La valutazione della doppia conformità deve avvenire valutando l’intervento in maniera unitaria.

Ciò significa che va esaminato l’intervento abusivo nella sua unitarietà, completezza e complessità.

Questo tipo di verifica presuppone una visione complessiva e non atomistica dell’intervento, in quanto il pregiudizio recato al regolare assetto del territorio deriva non dal singolo intervento, ma dall’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio (Consiglio di Stato n. 4058/2020).

Una scomposizione virtuale dell’intervento sarebbe finalizzata all’elusione dei presupposti e dei limiti di ammissibilità della sanatoria stessa

Di conseguenza, l’amministrazione comunale deve esaminare complessivamente l’intervento abusivamente realizzato, allo scopo di contrastare eventuali artificiose frammentazioni che potrebbero incidere su:

  • una corretta qualificazione unitaria della categoria di intervento dell’abuso;
  • una identificazione unitaria del titolo edilizio che sarebbe stato necessario o che può, se del caso, essere rilasciato;

In questo senso, la giurisprudenza della Sezione ha ribadito che la verifica dell’incidenza urbanistico-edilizia dell’intervento abusivamente realizzato deve essere condotta avuto riguardo alla globalità delle opere, che non possono essere considerate in modo atomistico (cfr. Cons. Stato n. 3330 del 2012).

Scenario 1: completamento postumo opere illecite

Pensiamo ad esempio all’ampliamento di un edificio residenziale, e ipotizziamo che l’ente preposto alla vigilanza dell’assetto del territorio e repressione abusi edilizi accerti la sua costruzione in corso, priva di copertura e pareti; in sostanza, immaginiamo di vedere soltanto lo “scheletro” delle strutture complete, rimanendo invece incomplete le restanti opere di finiture, impianti, tamponature, ecc.

In questo caso il Comune (l’ente preposto) emetterà l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dello stato legittimo.

Non è ammissibile il completamento di un illecito edilizio mediante l’esecuzione di opere postume.

Infatti secondo il vigente ordinamento giuridico non è ammissibile il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria subordinato alla esecuzione di ulteriori opere edilizie, anche se tali interventi sono finalizzati a ricondurre il manufatto nell’alveo della legalità, in quanto ciò <<contrasterebbe ontologicamente con gli elementi essenziali dell’accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica>> (Consiglio di Stato n. 4058/2020, n. 325/2019, n. 4176/2015).

Lo stesso indirizzo emerge anche dalla Cass. Pen. n. 5327/2017, 37255/2016, n. 19587/2011: <<In materia edilizia non è ammissibile il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ex artt. 13 e 22 L. 28 febbraio 1985 n. 47, ora sostituiti dagli artt. 36 e 45 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 subordinata alla esecuzione di specifici interventi edilizi, atteso che tale condizione contrasta con gli elementi essenziali della sanatoria, tra cui la doppia conformità dell’opera eseguita, al momento della sua realizzazione ed in quello della presentazione della domanda>>).

In sostanza, una volta avviata l’esecuzione delle opere illecite e qualora accertata prima del loro completamento, non ci alternative al loro possibile completamento, rimanendo solo la demolizione.

Scenario 2: demolizioni e ripristino parziale

Ipotizziamo l’esempio in cui sia stata effettuata una ristrutturazione edilizia di un edificio residenziale esistente, accertata dall’ente preposto sulla quale è stato emanato il dovuto provvedimento demolitorio. La configurazione delle opere compiute è tale che non possa rispettare la conformità alla disciplina vigente, mentre verifica il rispetto a quelle vigenti all’epoca dell’abuso.
Per superare questa situazione il proprietario ipotizza di effettuare alcune lievi demolizioni interne, allo scopo di “conformare” la configurazione attuale alla disciplina vigente.

Purtroppo, anche in questo caso si devono applicare gli stessi principi già esposti per il primo scenario.

L’applicazione della procedura di accertamento di conformità non ammette alternative con opere “conformative”, neppure di lieve entità.

Scenario conclusivo per opere oggetto di ordinanza demolitoria

Facendo riferimento alla sentenza del Consiglio di Stato n. 1848/2020, al soggetto interessato non rimane altro che:

  • avviare l’integrale ripristino dello stato dei luoghi, mediante demolizione e ricostruzione di tutte le opere illecite accertate;
  • presentazione istanza di Accertamento di conformità riferito alle opere illecite così come accertate dalla P.A., considerate in maniera unitaria, rispettando il requisito di doppia conformità previsto dall’art. 36 DPR 380/01.

Del resto l’art. 36 D.P.R. n. 380/01 disciplina la procedura di sanatoria riguardante l’intervento abusivo e non alla singola opera abusiva. Siccome le categorie di intervento sono definite dall’art. 3 DPR n. 380/01, il “risultato edilizio illecito” non è somma di singole opere indipendenti, ma l’insieme di opere plurime funzionalmente connesse, e pertanto la sanatoria dell’intervento dovrà esaminare il complesso delle opere in cui lo stesso si sostanzia.

Pertanto a fronte di plurime opere abusive tra loro funzionalmente connesse, non è ammissibile la parziale ottemperanza all’ordinanza di demolizione e la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità per le rimanenti opere in concreto seguite, tenuto conto che l’art. 36 ha la funzione di sanare l’abuso commesso; motivo per cui, ove l’abuso sia unitario, la domanda deve avere ad oggetto il complessivo intervento realizzato e, quindi, l’insieme delle opere in cui esso si sostanzia (Cons. di Stato n. 1848/2020).

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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