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La principale distinzione riguarda il mutamento tra categorie omogenee diverse

Il tema del mutamento di destinazione torna spesso alla ribalta perchè legato al pagamento di oneri e agli standard urbanistici.

Per prima cosa occorre inquadrare la destinazione d’uso: si tratta di un elemento che qualifica la connotazione del bene immobile, ed è correlato a precisi scopi di interesse pubblico, di pianificazione territoriale e di attuazione di essa (Cass. Pen. 40678/2018).

Se da una parte la destinazione d’uso qualifica l’aspetto funzionale e l’utilizzo del singolo immobile, dall’altra gli strumenti urbanistici comunali provvedono a disciplinare la distribuzione e tipologia di destinazione ammissibili.

Lo strumento urbanistico comunale provvede a differenziare le destinazioni d’uso per zone in base alla differenziazione infrastrutturale e dalla dotazione degli standard urbanistici. E gli standard, si sa, sono distribuiti sul territorio e per zone con diversi gradi di qualità e quantità proprio per consentire una fruizione dagli abitanti in maniera adeguata (Cass. Pen. n. 9894/2009).

Il cambio di destinazione d’uso produce effetti sull’organizzazione del territorio comunale.

La disciplina urbanistica e la pianificazione territoriale ha raggiunto piena consapevolezza a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, ma le prime avvisaglie di questo argomento presero le mosse dall’emanazione del D.M. 1444/68, proprio perchè furono istituiti gli standard urbanistici.

La loro istituzione rese necessario un diverso approccio e il coordinamento delle varie destinazioni d’uso nelle zone, proprio per cercare di evitare possibili conseguenze negative sull’organizzazione di servizi e sul complessivo assetto del territorio (Cass. Pen. 40678/2018).

Il mutamento di destinazione d’uso, per questi motivi, può avere incidenza sul contesto urbanistico circostante: questo è il principio derivato da anni di prassi applicative e giurisprudenza.

Si è affermato il principio del cambio di destinazione d’uso tra categorie urbanistiche omogenee.

Il concetto è stato poi normato nell’art. 23-ter del D.P.R. 380/01, nel quale sono state individuate alcune categorie funzionali di base, suscettibili di ulteriore modifiche dalle norme regionali.

Ed ecco che il passaggio della destinazione d’uso tra diverse categorie omogenee comporta il mutamento d’uso urbanisticamente rilevante.

Mi sento di condividere pienamente alcuni passaggi evidenziati dalla sentenza di Cass. Pen. 40678/2018.

Il primo, riguardante la categoria di intervento e il rapporto con le funzioni previste dal Piano Regolatore:

è giuridicamente rilevante solo il mutamento di destinazione d’uso tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, posto che nell’ambito delle stesse categorie possono aversi mutamenti di fatto, ma non diversi regimi urbanistico-contributivi stante le sostanziali equivalenze dei carichi urbanistici nell’ambito della medesima categoria.

Il secondo, riguarda il rapporto “basilare” del cambio di destinazione d’uso e l’assoggettamento ai titoli abilitativi necessari. A livello generale la stessa sentenza di Cassazione opera una particolare distinzione in base alle categorie:

Si tratta di una distinzione operata dalla Cassazione, per la quale preciso che la materia è spesso disciplinata dalle regioni. Diciamo che queste distinzioni vanno intese come punti di partenza su cui operare.

L’ultima parola sulla disciplina del cambio di destinazione d’uso spetta alle regioni e strumenti urbanistici comunali.

Resta il fatto che la disciplina delle destinazioni d’uso è materia delegata alle regioni, e sulla quale al Comune spetta l’ultima parola nel regolamentarla attraverso il proprio strumento urbanistici e dagli eventuali piani delle funzioni.

In altri precedenti articoli ho affrontato più volte questo spinoso argomento e per questo ti invito a visionare gli approfondimenti.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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