La giurisprudenza ha elaborato principi utili per quantificare il contributo di costruzione
Diventando parte dell’edificio di cui completa, non può essere considerato pertinenza.
Troppo spesso nel regime di interventi pertinenziali si tende a far ricomprendere gli ampliamenti di modesta entità.
Per questa trattazione ritengo opportuno partire dalla definizione di interventi pertinenziali di cui al punto e.6 del comma 1 art. 3 DPR 380/01, l’ormai noto Testo Unico per l’Edilizia.
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale;
In caso di interventi pertinenziali comportanti realizzazione di un volume inferiore al 20%, non si rientra nel regime di nuova costruzione.
Questa definizione viene invocata come distinta precisazione, sempre comunque inserita nell’ambito degli interventi di nuova costruzione di cui al precedente punto e) che li qualifica come tutti quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti (ovvero manutenzione ordinaria/straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia)
Infine nell’ambito della nuova costruzione sono comunque da considerarsi tali, sempre secondo il comma 1 dell’art. 3 del TUE:
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
L’ampliamento di edificio esistente non può essere considerato pertinenza.
Combinando i suddetti punti e-e.1-e.6 del c.1. art. 3 TUE, emerge che l’ampliamento di un fabbricato preesistente non possa essere considerato pertinenza, diventando parte dell’edificio che, una volta realizzato, completa la struttura per meglio soddisfare i bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo (Cass. Pen. III n. 4139/2018, Cass. Pen. III n. 20349/2010, n. 28504/2007, n. 33657/2006).
In tema di pertinenzialità occorre distinguere tra profilo civilistico e urbanistico, in quanto coesistono due diverse definizioni e regimi (ne parlo in questo articolo).
Ai fini dei permessi e titoli abilitativi edilizi, si deve prendere in considerazione solo il regime di pertinenza ai fini urbanistici esulando ad quello civilistico, come più volte affermato dal Consiglio di Stato (Cons. di Stato VI n. 5180/2017).
La qualifica di pertinenza urbanistica vale soltanto per opere di modesta entità e accessorie rispetto ad una costruzione principale, ad esempio manufatti per contenimento di impianti tecnici e similari; tale qualifica non vale anche per opere che, sotto il profilo dimensionale e funzionale, assumano una propria autonomia rispetto all’opera principale e non siano coessenziali alla stessa, cioè tale che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica (Cons. di Stato VI n. 5180/2017, n. 694/2017, n. 19/2016, n. 3952/2014, n. 817/2013; n. 615/2012).
Oltre a ciò, per gli interventi pertinenziali urbanistici, il legislatore nel TUE ha disposto comunque alcuni limiti oltre i quali scatta la necessità del permesso di costruire:
- comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale;
- qualifichino come interventi di nuova costruzione in base alle norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree;
Il criterio di pertinenza non deve incidere sul carico urbanistico creando nuovo volume.
Il Consiglio di Stato, nel distinguere bene la differenza tra nozione civilista e urbanistica di pertinenza, ha costantemente ritenuto che ai fini edilizi si possa considerare pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente inserito al suo servizio, ma è anche sfornito di un autonomo valore di mercato e non incide sul “carico urbanistico” mediante la creazione di un “nuovo volume” (Cons. di Stato VI n. 5180/2017, Cons. Stato IV n. 615/2012).
In tal senso, vige immutato il principio generale per cui si rende necessario il permesso di costruire per ogni manufatto edilizio (Cons. di Stato VI n. 3952/2014).
Legislazioni regionali da una parte, e strumenti urbanistici e regolamenti edilizi comunali dall’altra, possono regolamentare più dettagliatamente l’argomento degli interventi pertinenziali, tenuto conto che l’art. 10 del TUE consente alle regioni di individuare ulteriori interventi che sono sottoposti al preventivo rilascio del permesso di costruire, in funzione dell’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, .
Tuttavia, in loro mancanza, non sussiste la natura di pertinenzialità qualora sia realizzato un nuovo volume su un’area diversa ed ulteriore rispetto a quella del fabbricato preesistente, oppure quando sia realizzata una qualsiasi opera che ne alteri la sagoma come ad esempio una tettoia (Cons. di Stato VI n. 5180/2017).
Ergo, gli ampliamenti del fabbricato esistente non possono qualificarsi come interventi pertinenziali.
L’ampliamento delle costruzioni incide sul carico urbanistico con aumento di volume e superficie, quindi soggiace al Permesso di Costruire.
Il caso frequente riguarda spesso le tettoie costruite in aderenza ai fabbricati.
Facciamo alcuni esempi:
- una tettoia in legno posta a confine del vicino e imbullonata al muro perimetrale della sua abitazione, di ampie dimensioni e stabilmente ancorata al muro perimetrale dell’immobile, non può essere considerata di natura pertinenziale, dando invece luogo ad una modificazione della sagoma e del prospetto dell’edificio necessitante il Permesso di Costruire (Cons. di Stato VI n. 6493/2012, Cons. St. IV n. 2549/2011; n. 3379/2008);
- la realizzazione di una tettoia di copertura di un terrazzo di un’abitazione non può qualificarsi come manutenzione straordinaria, né configurarsi come pertinenza, atteso che, costituendo parte integrante dell’edificio, ne costituisce ampliamento con conseguente integrabilità (Cass. Pen. III n. 27264/2010);
- non costituisce pertinenza la tettoia costruita in aderenza ad un preesistente edificio, trattandosi di manufatto che non ha una propria autonomia individuale e funzionale, ma che, entrato a far parte del preesistente fabbricato, di questo costituisce opera accessoria (Cons. di Stato VI n. 6493/2012).
Quanto sopra può far eccezione in base alle norme regionali e regolamenti/strumenti locali.
Ampliamenti secondo il Piano Casa: le regioni disciplinano con delega.
Gli ampliamenti da compiere secondo il Piano Casa seguono una disciplina straordinaria e speciale, proprio perchè appositamente di tale natura e delegata alle regioni.
Lo scopo del Piano Casa è cercare di smorzare la generale tensione abitativa e al contempo contenere l’impiego di nuovi suoli inedificati, preferendo a ciò una certa densificazione dei manufatti autorizzati esistenti, ricorrendo quindi a limitati ampliamenti o ricostruzioni con modesti incrementi volumetrici.
Alcune regioni, come la Toscana, hanno legiferato che per la realizzazione di questi interventi in ampliamento si possa ricorrere perfino alla Denuncia di Inizio Attività (DIA) sostituita poi col tempo dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA).
Quindi gli ampliamenti col Piano Casa seguono una disciplina speciale e innovativa, che si aggiunge e affianca a quella ordinaria del Testo Unico per l’Edilizia DPR 380/01.
Ampliamento: tra ristrutturazione edilizia e nuova costruzione.
Sul fatto che gli ampliamenti di manufatti esistenti possano rientrare nell’ambito della ristrutturazione edilizia o di nuova edificazione, si deve ricorrere agli articoli 3 e 10 del TUE.
Indubbiamente la definizione di ristrutturazione edilizia “ordinaria”, secondo il punto d) del comma 1 art. 3 del TUE, ha un limite massimo superiore, ed è la demolizione e ricostruzione con stessa volumetria di quella preesistente; inutile dire che l’ampliamento o addizioni volumetriche non possano rientrare in questa ipotesi.
Si deve quindi optare per l’art. 10 comma 1 del TUE, che individua e disciplina al punto c) una particolare categoria di ristrutturazione edilizia “pesante”, la quale è subordinata al Permesso di Costruire e costituisce intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia:
c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonchè gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni.
Tenuto conto di ciò, è a parte eventuali disposizioni regionali che possono intervenire e semplificare in tal senso, ritengo che gli ampliamenti ad edifici esistenti siano qualificabili interventi di ristrutturazione edilizia “pesante” ex art. 10 TUE e soggetti al Permesso di Costruire.
In tema di ampliamenti con ristrutturazione edilizia pesante, suggerisco la visione di questo video sul quale puoi pubblicare quesiti tramite commento:
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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