Cambiamenti funzionali, sociali e tecnologici hanno svilito gli insediamenti antichi fino al degradoa
Margini di manovra decisionale del PRG sono previsti per legge.
Ogni comune ha una cassetta degli attrezzi da poter usare nella Pianificazione urbanistica e territoriale.
Essenzialmente si riassumono in due tipologie, quella del più ampio Piano Regolatore Generale che a sua volta ricomprende ulteriori strumenti e opzioni, e quella del Regolamento Edilizio.
Partiamo dal fatto che il PRG (o comunque lo strumento urbanistico generale del Comune) è un atto amministrativo con cui esprimere il proprio potere di pianificazione urbanistica e territoriale, la cui attribuzione è conferita con l’art. 117 c.3 della Costituzione, e trattasi di atto soggetto a conformazione normativa alle norme e disciplina sovraordinata alla legislazione concorrente Stato/Regioni.
La materia urbanistica e la relativa potestà di pianificazione territoriale del Comune non può essere vista come la semplice previsione coordinata della disciplina coordinata delle potenzialità edificatorie legate al diritto di proprietà. Questo paradigma “minimale” e noto nell’immaginario comune è da decenni superati, e deve essere inquadrato in una più ampia visione lungimirante e di strategia di sviluppo armonico territoriale.
Non più semplice urbanistica, ma Governo del Territorio.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. ord. 314/2012, sentenza 303/2003, 362/2003, 309/2011), urbanistica ed edilizia si devono ricondurre nella materia di «Governo del Territorio», in base all’art. 117 comma 3 della Costituzione.
La materia del Governo del Territorio, dopo la riforma del Titolo V Cost. del 2001, è in regime di legislazione concorrente, in cui:
- lo Stato ha il potere di fissare i principi fondamentali;
- le Regioni hanno il potere di emanare la normativa di dettaglio;
Inutile ricordare che questa impostazione generale nella legislazione concorrente abbia ingenerato un nuovo filone di contrasto tra Stato e regioni, anche in materia di edilizia, urbanistica e pianificazione territoriale; nella materia paesaggistica possiamo dire che ne ha risentito meno.
Una migliore definizione della struttura del rapporto tra legislazione statale/regionale e potestà pianificatoria comunale è sintetizzabile da questi due estratti dalle sentenze di Consiglio di Stato:
- Già in tempo risalente, la giurisprudenza amministrativa ha cercato di trovare un punto di equilibrio che garantisse l’ordinato dispiegarsi delle competenze comunali al contempo garantendo che gli Enti sovraordinati esercitassero le funzioni di coordinamento a queste rimesse: è stato pertanto affermato che (si veda Consiglio di Stato, sez. II, 05/02/2003, n. 2691) “ non è consentito all’ente titolare del potere di approvazione del piano regolatore, al di fuori delle ipotesi connotate dalla prevalenza di tutela di interessi superiori, modificare in modo sostanziale i contenuti della disciplina urbanistica, frutto della scelta della comunità di riferimento e, per questo, espressione della riserva di attribuzione democratica assistita dal principio di sussidiarietà.”. (Cit. Consiglio di Stato IV 5711/2017).
- La risalente nozione del sistema pianificatorio urbanistico come ordinato “a cascata” e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in contrasto con il principio costituzionale dell’autonomia degli enti territoriali (art. 118 cost.) nonché con il criterio generale di riparto delle competenze in materia urbanistica delineato dalla normativa statale. In un contesto ordinamentale in cui il principio di sussidiarietà da un lato e la spettanza al comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale dall’altro orientano i vari livelli di pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza, il ruolo del comune non può infatti essere confinato nell’ambito della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata. Ciò comporta che il comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti (regione o provincia) titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti (Cit. Consiglio di Stato IV 5711/2017).
La definizione di PRG di per sè è riduttiva e impropria, sarebbe più corretto ricomprendere tutte le forme di strumento urbanistico generale del Comune previste dalle rispettive legislazioni regionali.
Infatti col DPR 616/1977 alle regioni è stata definitivamente delegata la materia della pianificazione urbanistica e del territorio, da allora nelle diverse regioni si sono dotate di una legislazione che a sua volta ha fornito ai Comuni strumenti urbanistici generali sostitutivi del vecchio PRG previsto dalla L. 1150/42.
Gli strumenti urbanistici comunali, innovativi rispetto al PRG della L. 1150/42, hanno superato le procedure e i contenuti previsti dal normale procedimento di adozione/approvazione.
Un principio è rimasto tuttavia fermo e confermato da tempo dalla Corte Costituzione con sentenze n. 378/2000, n. 287/1997, n. 61/1994, ed è il rispetto dell’autonomia comunale nel potere pianificatorio urbanistico comparato alla verifica e protezione degli interesse generali concorrenti (Consiglio di Stato IV 5711/2017).
Il PRG, o lo strumento urbanistico comunale generale, non è quindi un atto indipendente e pienamente autonomo sulla potestà decisionale di sviluppo e ordinato assetto del territorio, bensì devono confrontarsi e conformarsi nei confronti delle norme nazionali e/o regionali.
Queste norme sovraordinate possono incidere anche sulle funzioni già assegnate agli enti locali (Cort. Cost. sent. n. 286/97) e quindi prevedere ulteriori disposizioni integrative o limitative alle competenze comunali in nome di “concorrenti interessi generali, collegati ad una valutazione più ampia delle esigenze diffuse nel territorio” (Corte cost. n. 378/00 cit.).
Queste disposizioni non possono o devono avere lo scopo di comprimere o annullare sostanzialmente le caratteristiche/ambiti applicativi del PRG, e al contrario devono garantire e promuovere le adeguate forme di partecipazione dei Comuni ai procedimenti legislativi che possono condizionare l’autonomia.
Il Comune pianifica il territorio attraverso PRG e Reg. Edilizio.
Nel contesto giuridico italiano al Comune è affidata la funzione urbanistica e di pianificazione/governo del territorio.
Esso viene esercitata mediante due “diramazioni procedurali”, che sono il Piano Regolatore Generale (o relative forme regionali) e il Regolamento Edilizio.
Esiste infatti una netta distinzione tra mera disciplina generale dei diritti edificatori (PRG) dalle altre regole che ne disciplinano gli aspetti esecutivi e di dettaglio (contenuti nelle NTA e/o Regolamento Edilizio).
In tal senso la sentenza del Consiglio di Stato VI n. 3888/2011 interviene con una formulazione molto chiara della nozione di governo del territorio applicata in ambito comunale:
“in tema di disposizioni dirette a regolamentare l’uso del territorio negli aspetti urbanistici ed edilizi, contenute nel relativo piano regolatore, nei piani attuativi o in altro strumento generale individuato dalla normativa statale e regionale, occorre differenziare tra le prescrizioni che in via immediata stabiliscono le potenzialità edificatorie della porzione di territorio interessata, tra cui rientrano le norme di cd. zonizzazione; di destinazione di aree a soddisfare gli standard urbanistici; di localizzazione di opere pubbliche o di interesse collettivo, dalle altre regole che disciplinano più in dettaglio l’esercizio dell’attività edificatoria, di solito contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano o nel regolamento edilizio e che concernono il calcolo delle distanze e delle altezze; la compatibilità di impianti tecnologici o di determinati usi; l’assolvimento di oneri procedimentali e documentali ecc.”).
Da questo quadro generale emerge quindi un rapporto di complesso equilibro tra legislazione sovraordinata e potestà di pianificazione territoriale del Comune.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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