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Le leggi regionali presentano curiose soluzioni agli annosi problemi in edilizia

Facciamo un piccolo focus sull’attuale L.R. 23/2004 dell’Emilia Romagna in materia edilizia.

Faccio un’importante premessa: quanto segue è una riflessione personale compiuta alla luce della mia esperienza professionale e di autore, pertanto voglia il lettore prenderla in quanto tale, e non come parere professionale esibile a soggetti terzi.

Più volte ho scritto delle possibili procedure di regolarizzazione degli immobili, e più volte ho scritto di come la giurisprudenza amministrativa e costituzionale abbia cassato molte procedure di sanatoria edilizia alternative all’unica prevista dall’ordinamento nazionale.

Anche nell’articolo di ieri sulla sanatoria giurisprudenziale si è ribadito il concetto in cui, oltre alla procedura di accertamento di conformità ex art. 36 del Testo Unico per l’edilizia DPR 380/2001, non sono ammissibili diverse procedure di regolarizzazione edilizia.

Ebbene si, la Corte Costituzionale con la ben nota sentenza n. 101/2013 ha dato un fortissimo segnale di rottura nel panorama della legislazione concorrente, con cui è stato riaffermato con forza la prevalenza dei principi del DPR 380/01 sulle legislazioni regionali concorrente.

Inoltre, occorre dire che questo tipo di sentenze costituzionali, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione avvenuto nel 2001, sono diventate sempre più frequenti, nelle quali viene appunto ribadito il principio della doppia conformità da applicarsi nelle istanze di sanatoria edilizia (e non parlo di condono edilizio, lo spiego in questo video su YouTube).

Molte regioni hanno provato a semplificare le procedure di sanatoria.

Mi ha colpito molto la procedura di sanatoria “giurisprudenziale” tuttora consentita nella regione Emilia Romagna, prevista dall’art. 17 comma 2 della L.R. 23/2004, che va ad aggiungersi a quella del precedente comma 1 relativo alla procedura congruente con ‘art. 36 del TUE.

Riporto testualmente in estratto dalla versione vigente ad oggi 13/12/2017 della L.R. 23/2004 dal portale Demetra, sottolineando che il comma 2 è rimasto sostanzialmente invariato a parte la doverosa sostituzione della DIA in sanatoria con la SCIA in sanatoria:

Art. 17 L.R. 23/2004 Emilia Romagna (prima modificata lett. a) comma 3 da art. 43 L.R. 23 dicembre 2004 n. 27), in seguito sostituito comma 4 da art. 59 L.R. 6 luglio 2009 n. 6 poi modificati commi 1, 2, 4 bis., alinea e lett. a) comma 3 da art. 45 L.R. 30 luglio 2013 n. 15, infine modificate lett. c) comma 3 e comma 4 bis da art. 36 L.R. 23 giugno 2017, n. 12)

Accertamento di conformità
1. In caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o in difformità da esso, ovvero in assenza di denuncia inizio attività, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 13, comma 3, e 14, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile può richiedere il rilascio del permesso in sanatoria o presentare una SCIA in sanatoria, rispettivamente nel caso di interventi soggetti a permesso di costruire ovvero a SCIA, se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda.

2. Fatti salvi gli effetti penali dell’illecito, il permesso e la SCIA in sanatoria possono essere altresì ottenuti, ai soli fini amministrativi, qualora l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda.

L’Emilia Romagna praticamente ha due distinte modalità di sanatoria edilizia.

Quella prevista dal comma 1 ricalca correttamente la procedura prevista a livello nazionale di accertamento di conformità ex art. 36 del TUE.La seconda invece mi solleva molti dubbi di congruenza con quella nazionale.

Trovo singolare che il legislatore regionale consenta una scelta alternativa tra due versioni procedurali, di cui una ovviamente più difficile dell’altra, ancorché sotto il solo profilo puramente urbanistico-amministrativo.

E’ ovvio che chi dovrà sanare un illecito edilizio, qualora verifichi la sola conformità dell’illecito alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento dell’istanza, non si metterà mai neppure a verificare se esso fosse conforme all’epoca dell’ultimazione delle opere.

Si tratta infatti di risparmiare tempo e soprattutto menate burokratiche nel dover ricercare e comparare l’allora disciplina edilizia.

Tradotto: solo un idiota si complicherebbe il lavoro quando si accerta di aver rispettato una delle due condizioni prescritte invece a livello nazionale, tanto basta la singola conformità urbanistica al momento dell’istanza.

Se per sanare queste casistiche la regione Emilia Romagna concede espressamente la via della “sanatoria giurisprudenziale”, perchè rinunciarvi per una procedura più rischiosa?

Non mi fraintendete: ho espresso in questo articolo la mia opinione sulla sanatoria giurisprudenziale.

Mi preme piuttosto evidenziare agli attori interessati gli aspetti connessi a questa particolare procedura di sanatoria.

Lo stesso comma 2 del suddetto art. 17 introduce espressamente due premesse corrette, che dovrebbero far alzare gli orecchi ai professionisti:

  • fatti salvi gli aspetti penali dell’illecito: giustamente il legislatore romagnolo ha ricordato che il penale è materia di legislazione esclusiva dello Stato, e che le Procure non seguono le norme regionali sul punto, ma solo le disposizioni del Testo Unico DPR 380/01.
    Come dire…attenzione che resta il fianco scoperto sugli aspetti penali.
    Inoltre l’unica procedura di sanatoria edilizia in grado di sanare espressamente gli aspetti penali è quella dell’Accertamento di conformità previsto dall’art. 36 del TUE, mentre la seconda opzione di “sanatoria giurisprudenziale” non trova lo stesso collegamento nel TUE. Quindi: la procedura di sanatoria romagnola con singola conformità quanto può incidere in ambito penale? A mio avviso nessuno, in quanto un Pubblico Ministero che riceve l’atto espresso di “sanatoria giurisprudenziale” avrebbe tutti gli elementi per opinare. Per tutto il resto c’è la prescrizione in materia; 
  • ai soli fini amministrativi: altra giusta premesse che intende limitare il campo di azione. Infatti ciò intende distinguere e fare salve le norme e discipline settoriali (Es. beni culturali, vincolo idrogeologico, rischio idraulico, ecc) da quella puramente urbanistico/comunale. E su questo punto il legislatore romagnolo prosegue nei commi successivi.

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Il legislatore dell’Emilia Romagna ha visto bene di regolamentare ulteriori aspetti settoriali.

Strutturali e antisismica.

Il comma 4 dell’art. 17 L.R. 23/2004 attualmente dispone che la richiesta di sanatoria (sia con doppia sia con singola conformità) debba essere accompagnata da dichiarazione di conformità alle norme tecniche per l’edilizia (si parla delle NTC, ovvero le norme tecniche delle costruzioni) vigenti al momento della realizzazione delle opere illecite; tale dichiarazione ovviamente è resa da professionista abilitato, e non dal committente/responsabile dell’abuso.

Anche su questa disposizione nutro molte perplessità, perchè proprio con la sentenza costituzionale n. 101/2013 la Toscana è stata redarguita sulla stessa procedura di regolarizzazione e sanatoria dei soli aspetti strutturali, in quanto appunto la conformità strutturale era riferita alla sola epoca dell’abuso, e non anche doppiamente al momento dell’istanza di sanatoria edilizia.

Mi domando quindi se tale impostazione dell’Emilia Romagna sia sfuggita al legislatore di Roma, ultimamente molto più attento ai provvedimenti legislativi regionali.

Paesaggistica, altro nodo contraddittorio in sanatoria.

Qui si deve focalizzare il comma 4-bis del medesimo articolo, riguardante alle opere illecite compiute in zone soggette a vincolo paesaggistico in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica.

4-bis. L’accertamento di conformità di cui ai precedenti commi trova applicazione per i lavori realizzati in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa, qualora sia accertata la compatibilità paesaggistica dell’intervento secondo quanto disposto dall’articolo 167, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004. Sulla richiesta del permesso o della SCIA in sanatoria è acquisito il parere della Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio per gli interventi edilizi per i quali il parere è richiesto ai sensi dell’articolo 6, comma 2, lettera a), della legge regionale n. 15 del 2013. Nei casi in cui il vincolo paesaggistico sia stato apposto in data successiva alla realizzazione delle opere oggetto della sanatoria, l’accertamento di conformità è subordinato all’acquisizione dell’assenso delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. L’assenso è espresso con le modalità previste per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004.

Anche qui, ammesso che non c’abbia capito niente il sottoscritto, rinvengo due distinte procedure perfino in contrasto col Codice dei Beni culturali D.Lgs. 42/2004, quindi da farci molta attenzione per non scottarsi.

Nella prima parte, cioè quella non in grassetto non c’è nulla da obbiettare: per ottenere la sanatoria edilizia (sia con singola che con doppia conformità) c’è il corretto rinvio alla unica endo-procedura (legittima) di accertamento di compatibilità paesaggistica, ovvero l’unica procedura oggi ammessa dall’articolo 167 del Codice dei Beni culturali.

La seconda parte in grassetto invece prevede che in caso di vincolo paesaggistico sopravvenuto dopo l’esecuzione dell’illecito edilizio stesso, si prevede l’acquisizione di un assenso da parte delle amministrazioni deputate a tutelare il vincolo (soprintendenze); tale assenso dovrà essere rilasciato con le modalità dell’art. 146 del Codice.

E qui viene il bello: tale procedura di “assenso” non si riferisce alla (unica e legittima) procedura dell’accertamento di compatibilità (art. 167 del Codice) bensì a quella dell’autorizzazione paesaggistica ordinaria, la stessa che si chiede quando l’opera è ancora da compiere.

Sembra che con vincolo paesaggistico apposto dopo l’esecuzione delle opere abusive, non si passi dalla Compatibilità paesaggistica ma da un “assenso” parificato alla autorizzazione paesaggistica ordinaria.

In tal caso, e ribadisco se ho capito bene, risulterebbe pure aggirata l’unica procedura di sanatoria paesaggistica prevista e ammessa dal Codice dei Beni culturali. Pericoloso, quanto improbabile.

Infatti mi domando se le soprintendenze di quel territorio obbediscano ad una legge regionale edilizia disattendendo il Codice dei Beni culturali, unica norma a cui esse rispondono; mi domando pure che validità possa avere l’eventuale “assenso” rilasciato, in quanto non trova esatta corrispondenza con la legislazione nazionale.

Nota aggiunta alle 14.35 del 13 dicembre 2017: forse il vero obbiettivo era diversificare il regime di regolarizzazione paesaggistica per opere compiute prima del divieto perentorio in caso di aumenti di volume e superficie introdotto dal 2006? In caso affermativo concordo sulla necessita di evidenziare la distinzione di questo regime sanzionatorio paesaggistico, forse operando una stesura diversa, ma non voglio spingermi a fare il giurista amministrativo.

La materia paesaggistica, tra l’altro, è particolarmente ostica e complessa.

Vorrei essere riuscito a far passare un messaggio di consapevolezza ai miei colleghi che operano in quel territorio.

La consapevolezza è tutto.

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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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