Cambiamenti funzionali, sociali e tecnologici hanno svilito gli insediamenti antichi fino al degradoa
Differenze tra urbanistica tradizionale e moderna.
PRG Roma Piano Viviani 1883 – pubblico dominio, Wikipedia.
Condivido volentieri questa relazione di sintesi prodotta nei miei studi universitari nell’a.a. 2005/06 per il corso di Teoria e Storia dell’Urbanistica moderna e contemporanea, allora tenuto dal severo quanto chiarissimo Prof. Gabriele Corsani.
PREMESSA
Risulta dottrina comune suddividere generalmente la Storia europea in cicli. Inizialmente vi è l’Antico, poi il Classico, il Romano, il Medioevo, l’età Moderna e infine, l’età Contemporanea.
Il Signor Ugo Ojetti vive in un arco di temporale collocabile oggi più o meno a metà dell’epoca Contemporanea, ovvero la “fase” storica in cui, in maniera assolutamente inedita, si succedono con imponente crescendo di intensità trasformazioni di tipo sociale, economiche e quindi urbanistiche.
Nel saggio di Ojetti è facilmente ravvisabile un tono di stupore misto a pessimismo, lo comprendiamo, e purtroppo per molti aspetti, quelle che nel 1908 potevano apparire come tediose polemiche antiprogressiste, si sono rivelate tutte fondate. Egli, passa a miglior vita nel 1946, e quindi vive in una realtà italiana che, nel complesso, ancora non aveva conosciuto quella fase di sviluppo incontrollato che si avrà nel Dopoguerra.
Ojetti, discusso critico dell’arte, letterato e giornalista(1), nel saggio “Il Pregiudizio del Rettifilo e l’Arte delle Strade”(2) giudica con toni molto negativi le nuove modalità di crescita urbana, ovvero quelle discernenti il paradigma dell’urbanistica moderna e contemporanea.
Critica negativamente tutte le nuove forme moderne di sviluppo, connotando una sorta di “rifiuto della realtà/presente” ed elogia il paradigma del passato, con toni sottilmente nostalgici.
Tuttavia, a quasi un secolo di distanza dal suo saggio, peraltro direi molto attuale, i fenomeni da lui criticati hanno raggiunto purtroppo livelli di insostenibilità, addirittura si sono manifestati altri fenomeni allora imprevedibili e di portata più vasta, quali inquinamento, immigrazione, energia, individualismo, gestione rifiuti, eccetera.
Chissà quanto rimarrebbe sbalordito e impressionato se potesse osservare con i propri occhi l’attuale situazione della nostra realtà italiana, alla stesso modo lo rimarremmo noi se potessimo osservare in qualche modo le città tra cento anni.
Carlo Pagliai, 16 febbraio 2006.
https://it.wikipedia.org/wiki/File:Piano_Viviani_(Roma,1883)-_1.jpg
INTRODUZIONE
Nella stesura del saggio sono frammisti tra loro due aspetti principali, il primo, di tipo teorico, si riferisce alla netta frattura avvenuta nell’urbanistica, evidenziando un brusco passaggio tra paradigma di urbanistica “tradizionale” dell’Ancien Regime e il paradigma di urbanistica “moderna”; il secondo, di tipo pratico, si riferisce alle nuove tipologie di costruzione dell’elemento cardine dello sviluppo urbano, ovvero la strada.
Riesce a intuire brillantemente la “ratio” della nuova urbanistica moderna, identificabile nella rendita fondiaria; la critica aspramente e con buona cognizione, esattamente come taluni oggi criticano il “neocapitalismo immobiliare”.
Ma l’aspetto che lo colpisce maggiormente è il carattere estetico delle città, sia delle nuove aree di espansione sia dei centri antichi e monumenti interessati da interventi di risanamento,
Contesta senza appello il rettifilo della strada, ossia la geometria rettilinea della “strada moderna”, la descrive quasi come una calamità per gli insediamenti umani, addirittura a volte usa toni di aspro sarcasmo nei confronti dell’allora emergente categoria professionale degli Ingegneri, indicati quasi come unici responsabili di un positivismo e determinismo senza umanità e profeti di sventura.
Identifica il rettifilo come un grave errore concettuale, e infierisce ulteriormente sulla sua estrema espressione di “gravità” ossia la nuova strategia dello “sventramento” dei centri urbani, immaginati quasi come un’enorme e sterile “cannonata” sul tessuto urbano.
Ribadisce più volte il concetto di infondatezza scientifica della nuova urbanistica, contrapponendo e rovesciando tutti i punti fondativi dispensati dal pensiero ingegneresco additato come “metafisico”, esprimendo quindi quattro pregiudizi sul rettifilo:
- di ragione commerciale e dei trasporti. La strada doveva continuare ad essere concepita come spazio pubblico, del piccolo commercio e del trasporto tradizionale a trazione animale, deplora la tecnologia del tram che sconvolge completamente questi spazi;
- di ragione igienico-sanitaria e dell’estetica. Per Ojetti, la funzione scenografica delle città doveva rimanere intatta, anche al costo di sopportare fenomeni di disagio igienico, inoltre il contesto circostante i monumenti doveva rimanere immutato per mantenerne la stessa lettura;
- di ragione politica. La critica riguarda gli sventramenti, giustificati per facilitare il controllo militare delle strade, ma tali interventi sono giudicati negativi in quanto hanno un pericoloso impatto economico, artistico e sociale;
- di ragione economico-finanziaria. La rendita immobiliare, sotto-forma di plusvalenza, consente una speculazione a favore dei proprietari e sfavorisce gli acquirenti e gli enti pubblici, che iniziano a ricorrere allo strumento del debito pubblico e/o a una maggiore tassazione, innescando una perversa spirale che amplifica i propri effetti e complica le condizioni urbanistiche al contorno.
DEL RETTIFILO
Il concetto di perfezione da sempre ossessiona la mente degli uomini, assumendo significati più variegati e in certe circostanze identificato nella figura di Dio, quale ideale e modello ispiratore da raggiungere con tecnica, la scienza, il pensiero e ogni concezione umana.
La geometria è una disciplina che più di altre è coinvolta nella ricerca e nella rappresentazione della perfezione, ne è un’indispensabile espressione. Ma la geometria, così come l’Architettura e l’Urbanistica, è un espressione che identifica ed esprime la cultura di una società in un dato tempo.
La storia ci dimostra inequivocabilmente come le culture delle società siano soggette continuamente a cambiamenti, dettati per motivi economici, ecologici, sociologici e etno-antropologici.
La Strada, anch’essa espressione e manifestazione della sopraddetta cultura umana, assume infinite diverse sembianze; potremmo spaziare dalla maglia ortogonale, originariamente presente nelle antiche civiltà indiane, precolombiane o cinesi ma anche in quella odierna angloamericana, alla maglia caotica e spontanea del Medioevo europeo, del villaggio tribale africano e delle attuali “bidonville” del Terzo Mondo.
La strada, con la propria geometria, riflette e rispecchia i canoni delle rispettive comunità, passando da una formazione spontanea e priva di ordine, a una sua crescita pianificata e concepita prima della sua costruzione.
Utilizzando una metafora letterale, è possibile sostenere che la strada è politica, sotto qualunque aspetto teorico e pratico, culturale e tecnologico.
Premesso tutto ciò, si passi al dibattito che vede contrapposti due schieramenti di pensiero, da una parte coloro che criticano la nuova geometria lineare della strada moderna, quindi gli storici dell’arte, i politici conservatori, gli architetti e gli urbanisti, dall’altra parte i fautori del progresso, quindi gli ingegneri, i politici di ala progressista, la nuova borghesia moderna, i costruttori e perché no?..i geometri! Entrambi gli schieramenti cadono in una meschina contraddizione interna, a causa del difficile contrasto ideologico oggetto di discussione.
Il primo schieramento, di matrice conservatrice, giustifica il proprio pensiero su paure, incertezze, ansie e fobie sul nuovo modello di sviluppo, preannunciando sconvolgimenti sociali, economici e urbanistici, purtroppo in gran parte tutti confermati.
Oggi, infatti, alcuni dei cosiddetti “quattro pregiudizi” di Ojetti si sono rivelati fondati:
La ragione commerciale e trasportistica. Forse è la causa principale di tutti i problemi della odierna società, infatti l’Uomo oggi è totalmente sradicato dal suolo(3), si sposta continuamente per ogni esigenza, residenziale, produttiva e tempo libero, rinchiuso nella sue nuove “bolle d’acciaio”(4).
Da una parte il cittadino ha acquisito notevole benessere economico, ma di contro ha acquisito nuovi disagi psicofisici, dovuto alle nuove forme di inquinamento ambientale e dalla diffusa solitudine, che a detta degli psicologi, sembra diventare un grave disturbo nelle nuove generazioni.
La ragione igienico-sanitaria ed estetica. Invero, la modernizzazione ha risolto alcuni problemi igienici dovuti alla scarsa aerazione e illuminazione, ma ha creato problemi più consistenti quali ogni forma di inquinamento ambientale e addirittura dissesti climatici ed ecologici su scala planetaria.
E ancora non si è preso in considerazione l’estetica delle città, generalmente costituite da antichi centri storici aventi connotazione medioevale e assediati da corone periferiche sempre più anonime e simili tra loro.
La ragione politica. E’ un punto abbastanza incerto, soprattutto alla luce delle recenti rivolte nelle Banlieu, e per assurdo, verificatesi nella stessa Parigi sventrata da Haussmann per scongiurare ulteriori rivolte e barricate quarantottine.
E’ necessario riflettere sul fatto che i contesti sono profondamente diversi e mutati, è mutata la società, la polizia urbana, il senso civico e militare, soprattutto a seguito dei rivoltosi anni Sessanta e Settanta, caratterizzati dalla Contestazione, che si è attenuata ed trasformata in un nuovo modo di espressione meno violento e di tipo culturale.
La cosiddetta corrente “alternativa” di oggi considera lo Stato e le Istituzioni non più autorevoli, le sue nuove generazioni non le temono più, indi si diffonde l’uso di droghe, si vestono diversamente, si distaccano dalla politica e dalla collettività, gettano rifiuti per strada e sono tendenzialmente maleducati e irrispettosi verso il prossimo.
La ragione economica-finanziaria. Senza dubbio, l’economia ha risentito maggiormente dei cambiamenti moderni.
Nell’Ancien Regime, la produzione di ricchezza era concentrata prevalentemente nelle mani della Nobiltà e il Clero in quanto possessori della principale matrice produttiva, ovvero le terre coltivabili, la classe operaia e la borghesia non esistevano e il Terzo Stato sottostava in questa situazione socio-economica.
La rottura del consolidato schema dell’Antico Regime, la formazione delle due nuove classi sociali contrapposte, borghesia ed operai, e la contestuale affermazione del processo produttivo industrializzato, ha portato allo stravolgimento del paradigma economico, che è riuscito a sopravvivere fino a due/tre decenni fa, lasciando il posto all’attuale paradigma del Terzo Settore e della tanto discussa New Economy.(5)
Il secondo schieramento, di matrice progressista, sostiene la necessità di progredire in ogni forma di sviluppo, ma la sua contraddizione è dovuto al fatto che il loro modello di economia razionale, del guadagno immediato ed effimero(6), è incapace di produrre ricchezza nel lungo periodo(7).
Le nuove espansioni e le nuove strade, creano una ricchezza temporanea identificabile nel cosiddetto plusvalore, ovvero la differenza istantanea di valore tra il terreno inedificato e quello che assume dopo la sua trasformazione, ma tale valore virtuale, che Howard tentava di imbrigliare nella sua città-giardino, viene immediatamente capitalizzato e utilizzato per ripetere la stessa operazione finanziaria o altre speculazioni.
Concordando con Iscke(8), la crisi della modernità è dovuta anche alla rottura tra l’economia reale e quella puramente virtuale, ovvero non si ha più un secolare e biunivoco equilibrio tra produzione primaria e consumo, lo stesso che si aveva in passato tra città e territorio.
Per quanto attiene l’economia degli interventi di sventramento, il rapporto costi-benefici appare contraddittorio, in quanto oltre agli esorbitanti costi finanziari delle opere e degli espropri, i costi sociali, difficilmente da quantificare, sono enormi.
Lo strumento dell’esproprio è duramente criticato da Ojetti, l’essenza del suo teorema contesta l’equazione esproprio uguale indebitamento pubblico e quindi inutile aggravio fiscale, facendo un paragone tra la pressione fiscale di alcuni cittadini italiani e quelli londinesi, omettendo altresì di citare le pessime condizioni igieniche e ambientali in cui versa la città di Londra.(9)
I pregiudizi ojettani meritano di trovare parziale accoglimento, almeno su quelli aventi finalità politica, sociale, economica e trasportistica.
Il pregiudizio che esalta la forma naturale ed empirica della strada e che condanna a priori la sua alternativa rettilinea merita di essere affrontato in maniera più ponderata e razionale, spostando quindi il dibattito pregiudizievole di Ojetti su un piano meramente ideologico.
Occorre premettere innanzi che egli è uno storico dell’arte, quindi una figura professionale adeguatamente preparata ad analizzare l’arte nelle sue forme passate e presenti, anche se egli possiede comunque una buona concezione progettuale e/o pianificatoria tipica dell’Architetto.
Considera negativamente il rettifilo stradale perchè opposto al tessuto dei centri antichi, anche la nuova urbanistica è disprezzata, e a posteriori non aveva affatto torto, però la sua critica assume lineamenti abbastanza minimalisti e riduttivi perché avrebbe dovuto ampliare il suo ragionamento su un campo in cui indubbiamente era molto competente, ovvero la storia umana.
L’inizio della crisi della modernità, che egli dipinge in quadro con tonalità da pessimismo cosmico, non merita di essere attribuita ai nuovi piani regolatori, agli ingegneri, ai politici, o a chiunque ritiene di attribuire tali colpe.
Prendendo in prestito il teorema fondamentale della bioarchitettura(10), egli si limita ad analizzare e considerare gli effetti di un problema, ma non arriva a sviscerare le sue radici e le sue cause.
Appare futile e superficiale assumere a priori un tono così polemico contro alcuni fenomeni, è un errore che viene commesso non di rado da alcuni politici della nostra epoca, spesso sfocia in un atteggiamento largamente infantile e pressapochista.
In questa fattispecie, gli effetti, ovvero tutta la serie di trasformazioni urbane che suscita le ire di Ojetti, sono consequenziali alla rottura tra Ancien Regime e modernità, quindi causati da una complessa rete seriale di trasformazioni sociali iniziate dalle rivoluzioni industriale e francese.
Ma se volessimo allargare ulteriormente il presente delicato dibattito, dovremmo affermare che anche questi eventi storici sono frutto e figli di altri eventi, e così via.
Teniamo a sottolineare quindi che tutta la storia è una catena seriale in cui un evento ne implica altri, inoltre la storia è ripartita in fasi cicliche di sviluppo e di inviluppo, connotabili anche nei cicli di territorializzazione e deterritorializzazione(11).
Nel saggio di Ojetti si ravvisano molte sensazioni di incertezza, peraltro tipiche di quell’epoca, ricordiamo ad esempio le angosce espressionistiche premonitrici della Grande Guerra, ma tale senso di inquietudine e disagio sono ancora di attualità, addirittura potremmo dire che sono diventati un’invariante del paradigma post-moderno.
Sono sentimenti con cui ormai dobbiamo convivere con consapevolezza, in quanto negli ultimi tempi la nostra epoca è caratterizzata da un accelerata e ossessiva progressione tecnologica.
Tuttavia, l’Uomo ha sempre avuto un certo timore del proprio futuro, in esso prevale più un senso di incertezza nei confronti dell’incognito che non di fiducia, e il progresso spesso si identifica con una sorta di metafora della fiaba(12).
Ciò che turba Ojetti, invece, è il cambiamento, e soprattutto il contrasto tra ciò che apprezza, ovvero l’ambiente costruito tradizionale, e le nuove strategie urbanistiche completamente difformi a quelle da lui ritenute più affidabili e meno devastanti.
Anche lo scrivente, ormai prossimo alla conclusione del nuovo ciclo quinquennale di Pianificazione territoriale, ritiene che gli attuali modelli di sviluppo urbanistico necessitino di una radicale trasformazione, quindi, tutto sommato, sono da ritenersi abbastanza condivisibili le linee ideologiche dettate da Ojetti.
Per affrontare più profondamente il dibattito, occorre spostare il piano della questione da quello formale-urbanistico a quello filosofico-politico, complicando notevolmente il grado di difficoltà di ragionamento, che sarà affrontato nelle prossime pagine.
All’inizio si è ricordato che la strada rettilinea era stata privilegiata fin da tempi remoti da varie civiltà antiche(13).
Anche la griglia urbana ortogonale rappresentava un sinonimo e un ideale di ordine, di misura, di geometria; gli stessi concetti artistici attraversano, in modi e quantità diverse, gli stili architettonici e urbanistici presenti in molti imperi antichi, compreso il mondo Romano.
La brusca rottura che si verificò col crollo dell’impero romano e il seguente lungo periodo di crisi del Medioevo, comportò la perdita di questi ideali, inoltre permasero enormi difficoltà che impedirono il rifiorire di questi ideali, che nei secoli successivi saranno lentamente ripresi e rielaborati nel Rinascimento.
Successivamente, il rigore dell’ordine, e quindi del puro rettifilo, attraversano alcuni momenti di ridefinizione e ridiscussione, riconfermati più volte dalle correnti neoclassicheggianti.
La creatività umana ancora oggi oscilla tra tutte le possibili sfumature artistiche comprese nell’intervallo che inizia da un ideale di rigoroso ordine e finisce con l’ideale di ordine empirico, anche se quest’ultimo termine risulta antitetico.
Il problema sollevato da Ojetti riporta alla mente un importante interrogativo riguardante la disciplina urbanistica: esiste una sua assoluta oggettività? Ovviamente la risposta è negativa, al contrario, come in tutte le arti, esiste una mera soggettività relativa.
Il fatto è che una scelta urbanistica è differenziata in base al relativo contesto politico e sociale.
Non stupisce molto che lo spirito eccessivamente ordinatore degli Ingegneri abbia ottenuto consenso per effettuare notevoli trasformazioni urbane che tanto hanno indispettito Ojetti.
Questo nuovo ordine, rigorosamente geometrico e già presente in varie altre forme artistiche, applicabile su larga scala, allora si presentava come una grossa novità abbastanza convincente e supportata da argomenti innovativi per l’epoca, suscitando inconsciamente una tentazione politica di sperimentare la nuova strategia progettuale.
Il pensiero di Ojetti, anche se con accenti tesi, ha tuttavia una buona linea pragmatica, riesce infatti ad esaltare il bello, il pittoresco e il senso della proporzione, mantiene una linea coerente multidisciplinare che gli consente di essere facilmente compreso.
La sua ideologia ha molti punti in comune con molti altri studiosi ed esperti di urbanistica, in primis con Camillo Sitte, addirittura è possibile rilevare un parallelismo tra i due soggetti.
Entrambi contestano e mettono in discussione i criteri della nuova urbanistica, destando in Ojetti il pregiudizio del rettifilo e in Sitte, una sorta di “pregiudizio delle piazze”(14).
Tutti i più grandi architetti e urbanisti, nonché studiosi di urbanistica, nei loro progetti hanno manifestato o meno la propensione al rettifilo stradale quale sinonimo di ordine e regolazione.
Per esempio, Le Corbusier, personaggio veramente poliedrico, affronta in diverse sfumature il senso dell’ordine rigoroso nei suoi piani urbanistici, anche se sono molto audaci(15).
Nei piani per l’America Latina progetta le strade quasi come “serpentoni adagiati” sulle colline costiere, mentre a Chandigarh pianifica un intero insediamento utilizzando l’ordine e la maglia ortogonale, quasi in maniera antitetica con Buenos Aires.
Riprendendo la trattazione del rettifilo stradale, il pensiero di Ojetti a tratti sfocia in una vera e propria utopia urbanistica, al pari di quelle diffuse nel XIX secolo.
Sembra quasi che egli pretenda il divieto assoluto di apportare ogni tipo di modifica all’interno degli abitati e di annullare le espansioni, delle quali contesta la loro anima economica e il loro stile architettonico, anch’esso ormai giudicato sradicato dal contesto e livellato intransigenze eclettiche della nuova classe sociale dirigente, la borghesia.
Sarebbe quasi lecito affermare che il suo pensiero conservatore gradisca, in estremis, di gran lunga l’immutabilità o stabilità caratterizzante il Seicento, anziché la “perturbazione” urbanistica alla quale assiste.
E’ facile da comprendere, interventi notevoli e micidiali come gli sventramenti urbani per quei tempi dovevano essere veramente un duro colpo psicologico per chiunque, figurarsi per uno storico dell’arte del calibro di Ojetti.
Tuttavia, l’urbanistica moderna si è affermata come scienza interdisciplinare autonoma per risolvere i problemi del sovraffollamento degli insediamenti e delle loro condizioni igieniche, cercando di contenere l’inedito fenomeno di urbanesimo.
E’ per questo che nel secolo XIX l’urbanistica, ancora in uno stato embrionale, è preceduta da una fase utopistica, caratterizzata dalla ricerca di una perfetta città del futuro, espressione di una nuova società, in alternativa alla città e società dell’epoca.
Chiude il secolo l’utopia urbanistica Ebenezer Howard(16) (1850-1928), che rappresenta un punto di arrivo e di sintesi di varie utopie associazioniste e la cui originalità maggiore consiste nell’accento posto sulla realizzazione urbanistica come strumento per l’eliminazione non solo dei mali urbanistici del presente ma come supporto per una società migliore.
Con Howard il processo utopia sociale-modello urbanistico si rovescia: il modello urbanistico, concepito non sotto forma progettuale ma come insieme di principi, di norme e di procedure, deve precedere e facilitare la riforma sociale.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
La trattazione inerente “Il Pregiudizio del Rettifilo” è meritoria di una critica personale.
A quasi cento anni dalla sua stesura, essa si prefigura quasi come un campanello d’allarme per l’edilizia e l’urbanistica italiana, paventando rischi di urbanizzazione selvaggia, incontrollata e incontrollabile da parte della pubblica amministrazione, dato peraltro confermato successivamente dalla tardiva e insufficiente normativa nazionale.
Paventa il rischio che l’urbanistica si possa imperniare alla mera speculazione edilizia, e proprio così avviene, infatti nei decenni successivi alla sua morte prende avvio il più grande fenomeno di urbanesimo mai visto nella nostra nazione.
Paventa il rischio di snaturare l’antica essenza estetica delle città non solo nelle nuove aree di espansione, che di fatto saranno vere e proprio “corone” del tutto aliene, ma anche all’interno degli stessi centri antichi.
Alla luce di quanto da lui preannunciato, e considerando l’attuale situazione urbanistica, nazionale, europea e mondiale, la sua problematica travalica gli orizzonti urbanistici e deve essere trattata sul piano politico.
Infatti, non si vuole discutere quale sia la migliore geometria della strada, che sia lineare o spontanea, ma piuttosto occorre discutere il modello paradigmatico di crescita urbanistica moderna, sopravvissuto fino ai giorni nostri.
A livello mondiale, in questo preciso istante, il fenomeno dell’urbanesimo sta ancora dilagando in varie nazioni, ed è molto arduo se non addirittura impossibile da interrompere.
Occorrono scelte politiche profondamente riformatrici, controtendenza e probabilmente impopolari, che necessitano di coraggio e di forza; tale politica, non potrà trovare applicazione nei regimi democratici, proprio a causa della loro mancanza di forza, persino in un paese a regime semi-dittatoriale come la Cina non riesce più a limitare il fenomeno dell’urbanesimo.
Se dovessimo soddisfare le richieste utopiche di Ojetti, per assurdo dovremmo paralizzare la crescita urbana ed indirizzare il “surplus” di crescita in direzione del territorio rurale, che necessiterebbe però di una costante e profonda ristrutturazione fondiaria di vaste dimensioni, cercando di ripristinare una situazione socio-politica di immutabilità degna del Seicento europeo.
La tendenza suggerita dallo sviluppo sostenibile del territorio è basata su giusti principi fondamentali, di ecologia, di uso sapiente e ponderato delle risorse, ma il consumo e i modelli matematici attuali indicano che già da tempo l’umanità sta consumando risorse riproducibili e non, in misura maggiore della massima capacità di rigenerazione globale.
Considerando la sua cinica retorica e la sua spudorata dietrologia, forse potremmo azzardare che Ojetti, oggi suggerirebbe di non svilupparsi ulteriormente, ma si tiene a precisare che si tratta di una pura e semplice ipotesi.
Note e riferimenti:
(1) F.R. Morelli, Critica e storia, in Realismo magico, Verona 1988
(2) U. Ojetti, Il Pregiudizio del Rettifilo e l’Arte delle Strade, Venezia 1908
(3) Serena Vicari Haddock, La città contemporanea, Bologna 2004
(4) Ibidem.
(5) Arturo Lanzani, I paesaggi Italiani, Roma 2003
(6) Norman Iscke, La verità vi renderà liberi, Milano 2001
(7) Alberto Magnaghi, Rappresentare i luoghi, Firenze 2000
(8) Norman Iscke, La verità vi renderà liberi, Milano 2001
(9) U. Ojetti, Il Pregiudizio del Rettifilo e l’Arte delle Strade, Venezia 1908
(10) W. Pedrotti, Il grande libro della bioedilizia, Firenze 2002
(11) Alberto Magnaghi, Rappresentare i luoghi, Firenze 2000
(12) Citazione verbale di G. Censini, 2005
(13) Atlante universale della storia, Rizzoli-Larousse, Roma 1973
(14) Camillo Sitte, Der Stadtbau
(15) Le Corbusier, F. Tentori, R. De Simone, Roma-Bari, Laterza, 1987
(16) Ebenezer Howard, Tomorrow, a Peaceful Path to Real Reform 1898
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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