Le due definizioni normative convivono insieme, ma indipendenti l’una dall’altra, almeno in apparenza
La sanzione di nullità si applica ai soli atti traslativi, restando esclusi quelli con efficacia obbligatoria qualora manchino tali riferimenti.
Ancora la costante giurisprudenza conferma l’indirizzo stabilito da anni.
La sentenza di Cass. Civ. II n. 20707/2017 ha confermate che ai contratti preliminari di compravendita immobiliare, i cosiddetti compromessi, stipulati dopo l’entrata in vigore della L. 47/85 non è applicabile la sanzione della nullità contrattuale, introdotta dall’art. 15 della legge 10/1977 in relazione agli atti giuridici aventi ad oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, essendo stata detta disposizione interamente sostituita da quelle di cui al capo primo della citata legge n. 47 (ex multis Cass. Civ. II, 26 aprile 2017, n. 10297, Cass. Civ. II, 21 agosto 2012, n. 14579).
Per costante giurisprudenza, la sanzione della nullità contrattuale prevista dall’art. 40 della legge n. 47 del 1985, e succ. mod., con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria, trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita.
Infatti le dichiarazioni delle Parti e la relativa documentazione sulla regolarità dell’edificazione può essere prodotta successivamente al preliminare, ovvero all’atto della stipulazione del definitivo contratto traslativo, ovvero in corso di giudizio e prima della pronunzia della sentenza ex art. 2932 cod. civ., che tiene luogo di tale contratto (Cass. Civ. II n. 20707/2017, Cass., Sez. II, 9 maggio 2016, n. 9318, Cass. Civ. II, 28 maggio 2010, n. 13117; Cass. Civ. II, 6 ottobre 2010, n. 20760; ).
Si tratta di aspetti che possono emergere con molta frequenza.
In particolare la fattispecie riguardante la sentenza Cass. Civ. II n. 20707/2017, ha confermato la tesi che non poteva esservi inadempimento contrattuale dei promettenti venditori in quanto:
- la parte promissaria acquirente era perfettamente a conoscenza della situazione di abusività sin dalla stipula del preliminare, seppur parziale difformità;
- sia perché detta situazione edilizia non precludeva la possibilità di rogare l’atto definitivo, essendosi di fronte, sotto il profilo della tipologia dell’abuso, ad un vizio di regolarità urbanistica non oltrepassante la soglia della parziale difformità (Cass. Civ. II n. 20707/2017, Cass. Civ. II, 18 settembre 2009, n. 20258).
In questi casi, quando si commentano le sentenze simili, occorre sempre premettere che ciascuna di esse riguarda una specifica fattispecie per la quale occorre prudenza nella estensione a casi affini.
Rispetto alla fattispecie della sentenza, faccio notare che possono capire casi di opere qualificabili come parziali difformità al permesso di costruire, le quali però non possono essere al “riparo” della possibile “fiscalizzazione” e quindi mancata rimozione: i cosiddetti abusi insanabili.
Pensiamo ad esempio agli abusi compiuti su immobili assoggettati a determinati vincoli: in assenza di espresso atto di assenso degli enti deputati a vigilare su di essi, non c’è sanatoria o fiscalizzazione che tenga.
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CARLO PAGLIAI, Ingegnere urbanista, esperto in materia di conformità urbanistica e commerciabilità immobiliare
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